1 settembre 1960, muore Mario Riva
[ACCADDE OGGI]
“Nientepopodimenoché!” Mario Riva.
Anche i quasi sessantenni di oggi lo ricorderanno appena quando con il suo faccione sorridente usciva ogni sabato sera dagli schermi televisivi ovali e rigorosamente in bianco e nero per ricordare a suo modo agli italiani che il giorno seguente sarebbe stata domenica e le città si sarebbero svegliate al suono di campane.
Quelli che lo ricordano pensano ad un’altra Italia, l’Italia del boom economico. L’Italia della corsa in vespa e dell’agognata utilitaria Fiat 600. L’Italia del gigantesco pacco di cambiali per assicurarsi un tetto sulla testa nei palazzoni che sorgevano nelle periferie urbane disboscate dalle bombe della guerra e dalle ruspe dei palazzinari d’assalto. L’Italia dell’abbandono delle campagne per inseguire, con valigione di cartone al seguito, il sospirato posto fisso. L’Italia che fischiettando il bel motivo di “domenica è sempre domenica” si buttava alle spalle il dramma e l’orrore di una guerra assurda e fratricida per riversare negli affollati stadi di calcio tutta la rabbia per un sogno di gloria svanito urlando e sfogandosi per ogni goal dei propri beniamini del pallone.
Anche Mario Riva frequentava ogni domenica lo stadio Flaminio di Roma perché “ogni volta che rintocca er campanone ho voglia di cantare questa canzone… Lazio sul prato verde vola, Lazio tu non sarai mai sola, vola un’aquila nel cielo più in alto sempre volerà”; sì la Lazio, la squadra di calcio del suo cuore per cui anche tanti tifosi biancocelesti ricordano Mario Riva, attore, doppiatore e presentatore televisivo famoso per i grandi ascolti del suo “Musichiere” il programma televisivo del sabato sera che teneva l’Italia incollata agli schermi della neonata televisione italiana.
Mario Riva morì appena 47enne il 1 settembre 1960 a Verona per i postumi di una tragica e banale caduta dal palco dell’Arena mentre si accingeva a presentare la serata finale del Festival de “Il Musichiere”. Ai suoi funerali nella sua Roma si riunì una moltitudine di gente che incredula e ammutolita piangeva l’uomo e l’artista nella consapevolezza che la domenica non sarebbe stata più la stessa anche se le campane avrebbero continuato a suonare.
(Franco Seccia/com.unica, 1 settembre 2018)