Le contraddizioni tra quanto dichiarato ai media e sui social network da alcuni uomini di governo e gli atti formali. L’analisi di un giurista. 

La tragedia del crollo del ponte “Morandi” ci mostra una lunga serie di anomalie, verificatesi sin dall’inizio della vicenda e protrattesi fino ad oggi.

In primo luogo, nel 1963 il ponte stesso costituì una scelta progettuale assai innovativa (uso di calcestruzzo armato precompresso per l’impalcato e cemento armato ordinario per le torri e le pile), un’anomalia rispetto alle soluzioni tradizionali per ponti strallati. Tanto che l’opera dell’Ing. Morandi è stata oggetto di studio e vivace dibattito in sede scientifica sin dalla sua realizzazione, ma anche entusiasmo nell’opinione pubblica. Questo ed altri ponti coevi dello stesso progettista procurarono grande fama a livello internazionale all’Ing. Morandi in quanto all’epoca le strutture a telaio intrecciato erano considerate fra le più moderne ed affidabili.

Neppure può dirsi normale l’ubicazione di quel ponte di 1.100 metri, il cui piano stradale largo 18 metri è sospeso a 45 metri di altezza sul fiume Polcevera e sul tessuto cittadino di Genova, a sua volta anomala per la conformazione orografica su cui sorge.

Poi, venendo ai giorni nostri, non possiamo considerare normale il crollo stesso di un viadotto che viene attraversato giornalmente da decine di migliaia di utenti e che da oltre mezzo secolo rappresenta l’asse viario principale della città che ospita il principale porto italiano.

Tuttavia non è l’unica tragedia italiana degli ultimi anni che ci ha esposto all’internazionale ludibrio perché non devono e non possono accadere in un paese moderno che è fra le prime 10 potenze economiche mondiali: ci siamo forse dimenticati del rogo della Moby Prince a Livorno (1991), del crollo della scuola di S. Giuliano di Puglia (2002) e del naufragio della Costa Concordia al Giglio (2012)?

Purtroppo l’elenco di opere pubbliche crollate in Italia è alquanto lungo e tragico: il primo forse risale alla diga del Vajont (1963); poi, per limitarsi all’ultimo lustro: crollo del ponte sulla provinciale Oliena-Dorgali (2013), crollo del ponte a Carasco sul torrente Strula (2013), cavalcavia sulla A14 tra Loreto e Ancona (2014), viadotto sulla tangenziale di Fossano – Cuneo (2014), pilone del viadotto Himera sulla A19 Palermo-Catania, viadotto Scorciavacche sulla statale Palermo-Agrigento, inaugurato due giorni prima (2014), cedimento di un tratto del viadotto Petrulla sulla statale tra Ravanusa e Licata (2014), cavalcavia di Annone-Lecco (2016). La gestione di queste opere faceva carico a più enti, dunque ogni livello istituzionale possiamo dire sia stato coinvolto in crolli presuntivamente dipendenti da incuria.

Il crollo del ponte di Genova è dunque l’ennesimo – non il primo – fatto assai grave, in primo luogo per i 43 morti ed i numerosi feriti che ciò ha provocato, per non parlare delle centinaia di sfollati. Ma anche per il senso di vaga insicurezza che ha diffuso nell’opinione pubblica e che ha spinto addirittura alcune amministrazioni pubbliche a chiudere in via precauzionale al traffico ponti finora solo oggetto di monitoraggio (es. ponte Morandi di Benevento), senza che sia ben comprensibile se tali misure sono dettate dalla sopraggiunta “paura del buio” – dunque sulla base di un sentimento irrazionale – oppure dalla sopravvenuta consapevolezza della necessità di seguire puntualmente (anche in modo più prudenziale) le raccomandazioni degli esperti del settore – in tal caso in omaggio al principio della superiorità della scienza sul fato.

Sempre la contrapposizione tra scienza ed emotività segna il dibattito sull’individuazione dei responsabili del crollo del ponte di Genova, anzi sulle cause del crollo. Nell’immediatezza del fatto, in particolare uno dei viceministri e il ministro delle infrastrutture, seguiti a ruota dall’altro viceministro e dal Presidente del Consiglio dei ministri sia pur con contenuti – il primo – e toni – il secondo – meno eclatanti, hanno senza mezzi termini sentenziato sia in riferimento alle cause del crollo del ponte (evidente mancata manutenzione) che dei responsabili (gli amministratori della concessionaria società Autostrade per l’Italia – ASPI). Precisamente detti uomini di governo hanno ipotizzato le motivazioni di siffatte omissioni (massimizzazione dell’utile societario, a qualunque costo, anche a disprezzo della vita degli utenti), insinuando come il contesto politico avrebbe ciò consentito (finanziamento delle campagne elettorali dei partiti “tradizionali”), rilevando altresì il profilo psicologico di particolare disvalore morale e sociale del principale azionista di Autostrade per l’Italia (la famiglia Benetton, accusata di fare profitti in Italia con metodi predatori, ma di avvalersi del regime fiscale molto più agevolato lussemburghese, nonché di essere “disumana”) e proponendo come rimedi la revoca immediata della concessione, con obbligo di risarcire le vittime, pagare la ricostruzione del ponte, applicazione della penale massima pari a 20 miliardi di euro e costituzione dello Stato come parte civile nel processo penale quale parte offesa. Il tutto, si badi bene, motivato sulla base della asserita “oggettiva evidenza” dei fatti.

Ora, l’anomalia qui sta nel fatto che dopo oltre due settimane dal fatto nessun ingegnere strutturista (né della società Autostrade, né del Ministero delle Infrastrutture, né nessun docente universitario o altrimenti esperto del settore) ha potuto affermare quale sia la causa del cedimento del ponte. Di converso, tutti coloro che non possono definirsi “esperti” hanno affermato (in televisione, alla radio, sui social network) che il nesso causale non può che consistere nella mancata manutenzione a cui era tenuta la società Autostrade in virtù dell’atto concessorio (altrettanto evidentemente da ricondurre ad un inconfessabile intreccio affaristico-politico). Invece,  occorre muovere dalla consapevolezza che l’individuazione delle cause è essenziale per ripartire le responsabilità tra lo Stato italiano (proprietario del bene, che lo fece progettare e costruire, e che infine l’ha affidato in concessione alla società Autostrade) e la società concessionaria e/o eventuali terzi. Non deve infatti dimenticarsi, che in astratto e in concreto, dal punto di vista giuridico l’ente concedente ha un obbligo di controllo del concessionario, sul quale incombono tutti gli oneri manutentivi e di custodia (art. 3 della convenzione).

Peraltro, era fatto notorio che la soluzione progettuale dell’ing. Morandi non si fosse dimostrata indovinata, tanto che il ponte ha mostrato una obsolescenza assai spiccata con conseguenti obblighi di manutenzione ben superiori a quanto accade normalmente: il grido dall’allarme fu lanciato dallo stesso progettista negli ultimi anni della sua vita. L’inadeguatezza funzionale del ponte è stata oggetto negli ultimi lustri di ampio dibattito, anche nella comunità locale, con la contrapposizione tra coloro che ritenevano indispensabile ed indifferibile la realizzazione di una viabilità alternativa (la cd. Gronda) e chi invece riteneva che il pericolo imminente del crollo del ponte fosse la solita “favoletta” raccontata dai “poteri forti” per giustificare una nuova opera infrastrutturale che sarebbe stata occasione di sperpero di denaro pubblico e corruzione. E’ alquanto singolare che siano adesso esponenti della stessa forza politica che aveva teorizzato la “favoletta” (in un articolo sul sito del fondatore del movimento, peraltro genovese, prontamente rimosso dal blog subito dopo la tragedia) ad invocare rimedi di giustizia sommaria e additare di “vergogna” la società Autostrade e le altre forze politiche che negli anni hanno ricevuto finanziamenti elettorali da parte della famiglia Benetton.

Peraltro, proprio tale contesto di diffusa conoscenza circa l’inadeguatezza del ponte potrebbe giocare un rilevo non secondario nell’allocazione delle responsabilità tra concessionaria e concedente, in quanto anche il Ministero delle infrastrutture non avrebbe potuto (o meglio, dovuto) ignorare l’esistenza del problema e conseguentemente agire in via sostitutiva.

In realtà l’evidenza e l’oggettività stanno nel crollo del 14 agosto e nei danni a persone e cose, cioè nell’evento, ma non nell’azione od omissione che l’avrebbero determinato, né tanto meno nel nesso di causalità. Parimenti impregiudicato è al momento l’elemento psicologico (dolo o colpa). Dunque mancano al momento 3 dei 4 elementi costitutivi della responsabilità civile, posto che la fattispecie non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva del concessionario.

Per di più l’azione del Governo pare, a tacer d’altro, quanto meno ondivaga, mentre di fronte a tragedie di questo genere occorrerebbe avere la mente lucida e la mano ferma.

Nell’immediatezza del fatto, come abbiamo ricordato, i due Viceministri, il Ministro delle Infrastrutture e il presidente del Consiglio dei Ministri hanno affermato essere “oggettiva” ed “evidente” la grave responsabilità della società concessionaria per aver violato gli obblighi di manutenzione dedotti nel contratto di concessione del 2008 e che pertanto la “revoca” della concessione ad Autostrade per l’Italia era un atto dovuto, ineludibile anche per rispetto ai morti e all’interesse pubblico nazionale alla sicurezza nei trasporti. Addirittura il Ministro alle Infrastrutture afferma perentoriamente che come prima cosa sarà revocata la concessione e poi si leggeranno le “carte”. Aggiunge e ripete più volte tra il 14, il 15 e il 16 agosto il Vicepresidente del consiglio: “La nostra intenzione è revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia. Chi non vuole revocare le concessioni ad Autostrade deve passare sul mio cadavere. C’è una volontà politica chiara”. Dunque i fatti sono enunciati come evidenti, la decisione è già presa, manca solo di mettere nero su bianco, anche se non si chiarisce se la decisione politica di revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia si riferisca solo all’A10 (nel cui ambito si è verificato il crollo del ponte) oppure a tutte le concessioni autostradali gestite da ASPI (come se ne dovrebbe dedurre necessariamente in considerazione del drastico giudizio sull’inaffidabilità della società concessionaria). Il dubbio non è di poco conto, considerato che ASPI gestisce in regime di concessione 19 tratte autostradali italiane per complessivi quasi 3.000 km di reti, circa la metà della rete autostradale italiana. L’incertezza che ne deriva non è una sanzione prevista dalla legge, anzi pare funzionale solo a gettare discredito sulla società concessionaria e sulla sua controllante Atlantia Spa.

Qui, però, cominciano le contraddizioni tra quanto dichiarato ai media e sui social network, e gli atti formali.

Infatti, il Consiglio dei ministri si riunisce d’urgenza il 15 e il 18 agosto presso la prefettura di Genova, ma i comunicati stampa ufficiali delle riunioni non sono affatto nel segno delle attese. Il comunicato stampa del 15 agosto, infatti, riporta la decisione di dichiarazione dello stato di emergenza e di un primo stanziamento ad hoc di 5 milioni. Così in riferimento alla riunione del 18 agosto: “Il Presidente Giuseppe Conte, inoltre, ha svolto una relazione al Consiglio dei Ministri sulle iniziative intraprese dal Governo al fine dell’accertamento della responsabilità del concessionario e delle conseguenze sul rapporto concessorio e sugli obblighi di risarcimento.” Poi, il successivo 16 agosto il Direttore generale del Ministero dei trasporti ha inviato alla concessionaria una comunicazione di avvio del procedimento contenente “la contestazione del gravissimo inadempimento di codesta Società agli obblighi di manutenzione (ordinaria e straordinaria) e custodia, in oggettiva considerazione del collasso dell’infrastruttura, delle vittime accertate e degli ingenti danni riportati ai beni anche di soggetti terzi, senza considerare l’interruzione del sistema di viabilità e quindi la compromissione della funzionalità delle infrastrutture concesse. A seguito della contestazione in oggetto, e all’esito della valutazione delle controdeduzioni che codesta Società farà pervenire, si fa riserva di esperire tutte le iniziative di tutela apprestate dall’ordinamento giuridico, ferma restando l’idoneità della presente ad attivare i procedimenti di cui agli artt. 8, 9 e 9-bis della Convenzione di concessione. (…) Alla luce degli specifici poteri e compiti ricadenti su codesta Società ai sensi dell’art. 14 del Codice della Strada nonché degli obblighi connessi alla gestione e manutenzione del corpo autostradale definiti dalla Convenzione di concessione, si richiede di inoltrare alla scrivente Direzione Generale, entro 15 giorni dalla data odierna, una dettagliata relazione nella quale sia fornita chiara evidenza di tutti gli adempimenti posti in essere per assicurare la funzionalità dell’infrastruttura in questione e prevenire lo specifico evento accaduto, con allegato ogni atto posto in essere al fine di garantire il mantenimento della funzionalità dell’infrastruttura e volto a prevenire il crollo poi in effetti verificatosi. Fatta salva, in caso di accertata responsabilità del concessionario, ogni integrale tutela in ordine ai danni e ai pregiudizi derivanti dalle inadempienze contrattuali, si resta in attesa di valutare le iniziative di risarcimento anche in forma specifica per i danni patrimoniali e non patrimoniali che codesta Società riterrà di formulare.” (enfasi nostra)

In realtà, chiarisce lo stesso Ministero dei Trasporti che sin dal 14 agosto – giorno della tragedia – è stata istituita una “Commissione ispettiva” il cui lavoro “è il primo atto” con cui si “intende fare luce sull’accaduto e avviare tutti gli accertamenti necessari“. “Le risultanze del lavoro svolto dalla Commissione – si legge ancora – entreranno nella valutazione per la procedura di un’eventuale revoca della concessione“. Inoltre si chiarisce esplicitamente che il concessionario Autostrade per l’Italia dovrà mettere a disposizione tutta la documentazione riguardante la realizzazione dell’opera e la manutenzione della stessa, nonché fornirne ogni informazioni necessaria alla esatta ricostruzione dell’accaduto.

Nel frattempo, a causa delle citate improvvide dichiarazioni dei principali esponenti del governo, il titolo di Atlantia Spa (che controlla Autostrade per l’Italia Spa) in un solo giorno ha perso il 25% del valore in borsa, circa 5 miliardi di capitalizzazione. Su ciò sta indagando la Consob, che pare abbia consigliato informalmente all’Esecutivo una maggiore continenza espositiva. Ed inoltre, il 22 agosto il CdA di Atlantia ha deliberato di valutare gli effetti delle continue esternazioni e della diffusione delle notizie sulla società, avendo riguardo al suo status di società quotata in borsa. Siamo sicuri che il crollo finanziario di Atlantia e conseguentemente di ASPI corrisponda ad un interesse pubblico? Ne dubitiamo, per usare un eufemismo.

Riguardo al da farsi, almeno a parole la posizione dell’Esecutivo pare assai chiara e ferma: ricostruzione del ponte con i soldi di ASPI, ma non da parte di ASPI (che si sarebbe dimostrata inaffidabile), bensì di Fincantieri. Ma anche qui la fretta non pare aver portato buoni consigli. Infatti per la ricostruzione del ponte di Genova, il Codice dei contratti pubblici rende necessario lo svolgimento di una procedura di gara “europea”, mentre un affidamento “diretto” sarebbe possibile solo in favore di una cd. società “in house” del Ministero (Fincantieri non risponde a queste caratteristiche). I tempi non sono brevissimi e soprattutto il nome dell’aggiudicatario non è predefinibile a priori, come in ogni gara degna di questo nome. Dunque, il ritenere di poter imporre Fincantieri quale costruttore del nuovo ponte è un fuor d’opera.

Il ministero delle Infrastrutture non è solo controparte contrattuale di Autostrade per l’Italia, ma ha anche poteri di vigilanza affinché i lavori di adeguamento delle autostrade siano eseguiti a regola d’arte (senza che ciò faccia venire meno la responsabilità del concessionario in caso di esecuzione in difformità ai progetti approvati).

Ogni anno la Direzione Generale per la Vigilanza sulle Concessionarie Autostradali del Ministero delle Infrastrutture pubblica una relazione (l’ultima è del gennaio 2018) sull’andamento delle gestioni autostradali e l’attività di vigilanza svolta dal Ministero. Siamo sicuri che tali atti fossero a conoscenza – come sarebbe stato normale prima di fare dichiarazioni tanto perentorie – del Ministro e gli altri membri dell’Esecutivo? Non è forse una gravissima anomalia che i rappresentanti delle istituzioni dichiarino perentoriamente di voler invertire la rotta di marcia dell’azione amministrativa (di cui esiste un principio di continuità) senza aver la benchè minima idea dei fatti (recte, idea basata sulla conoscenza dei fatti), degli atti amministrativi e della direzione da imprimere?

La disciplina della patologia nell’esecuzione del contratto prevede 4 diverse fattispecie (decadenza, revoca, recesso, risoluzione) aventi diversi presupposti e diverse conseguenze. Nel caso in cui venga accertata la responsabilità di ASPI, pare potersi procedere alla dichiarazione di decadenza, mentre nel caso in cui lo scioglimento del rapporto concessorio prescinda dalle gravi responsabilità del concessionario deve essergli corrisposto un congruo indennizzo (le prime stime ufficiose parlano di circa 20 miliardi di euro, vale a dire il valore di una legge finanziaria). Tali diverse ipotesi sono comunque accumunate da un dato: il provvedimento amministrativo finale deve essere preceduto da una adeguata istruttoria (da condursi in contraddittorio) e deve essere sorretto da una congrua motivazione delle ragioni in fatto e in diritto. Questi passaggi procedimentali devono essere effettivi, non ridotti a vuoto simulacro formale.

Ed infatti gli articoli del contratto di concessione citati nella nota ministeriale di avvio del procedimento prevedono in primo luogo una prima fase volta all’”accertamento dei gravi inadempimenti del concessionario” (art. 8), con contestazione dell’addebito e assegnazione di un termine congruo – il codice civile prevede almeno 15 giorni – per le controdeduzioni della concessionaria. Se le giustificazioni addotte non sono ritenute adeguate, allora ai sensi dell’art. 9 si apre – previa diffida con assegnazione di un ulteriore termine per controdeduzioni – un successivo procedimento volto a far eseguire i rimedi individuati e che può concludersi in caso di perdurante inerzia del concessionario con la “decadenza della Concessione”, nonché (art. 9-bis) con le ipotesi di “recesso, revoca e risoluzione della convenzione”. In ogni caso di decadenza, revoca, recesso, risoluzione (anche per colpa, prevede la Convenzione con una disposizione di dubbia conformità con i principi generali del diritto) spetta al concessionario un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione della concessione, dedotte le penali). Per la determinazione di tale importo è previsto l’accordo delle parti, in alternativa al ricorso per le vie legali.

Prima di ciò, al fine di valutare la legittimità dell’atto di revoca, la concessionaria potrà rivolgersi agli organi di Giustizia Amministrativa (TAR e Consiglio di Stato) per far valere la lesione di diritti soggettivi o di interessi legittimi (trattasi di uno dei casi di giurisdizione esclusiva).

Ogni scorciatoia renderebbe l’atto annullabile dal Giudice amministrativo ed esporrebbe lo Stato a una significativa azione risarcitoria. Come è intuitivo, sono tutti elementi che dovrebbero consigliare l’attenta analisi della fattispecie dal punto di vista tecnico, giuridico ed economico. Ma non pare questa la strada imboccata ed anzi, proprio in ragione della perentorietà delle affermazioni sui media e sui social network dei membri del Governo, non è peregrino ipotizzare che se il Governo confermerà tali dichiarazioni con atti formali, la difesa di ASPI si fonderà anche sul pregiudizio ideologico (anziché sulla motivazione preceduta da una reale ed adeguata istruttoria) di un atto caducatorio della concessione, espressione di una decisione presa sin dal giorno del crollo ed a cui il procedimento in contraddittorio ha solo svolto la funzione di foglia di fico.

Circa l’allocazione delle responsabilità del crollo, tutti gli occhi sono puntati sulla concessionaria ASPI, come è naturale in considerazione degli obblighi di manutenzione della rete. Infatti l’art. 3 della convenzione prevede l’obbligo per la concessionaria del “mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e l riparazione tempestiva delle stesse”. Ma anche il Ministero delle Infrastrutture, che è parte contraente della concessione e autorità amministrativa vigilante, potrebbe non essere scevro di responsabilità, in quanto l’art. 7 individua tra i poteri del concedente (cioè il Ministero) la richiesta di informazioni e l’effettuazione di controlli “con poteri di ispezioni, di accesso, di acquisizione della documentazione e delle notizie utili in rispetto degli obblighi” di ASPI. Tali eventuali responsabilità ministeriali che almeno in astratto potrebbero elidere o anche aggiungersi, in tutto o in parte, a quelle di ASPI, sulla quale comunque incombe l’onere di dimostrare di aver prestato tutta la diligenza e perizia nel manutenere il ponte Morandi. Si tratta di compiti e pertanto di responsabilità dal perimetro molto vasti, ma che tuttavia non configurano una responsabilità oggettiva. Il 1° settembre ASPI ha inviato al Governo la nota di controdeduzioni, nella quale ha riaffermato di aver svolto con la massima diligenza e tempestività tutte le verifiche e manutenzioni sul ponte Morandi, anzi andando ben oltre quelli che sono gli obblighi di legge e facendosi assistere dagli istituti di settore più accreditati a livello internazionale. Non passa giorno che la stampa dia notizia di comunicazioni inviate da ASPI al Ministero circa la doverosità di interventi manutentivi (senza però, pare, che fosse riferito come imminente il crollo). Addirittura ASPI ha nei mesi scorsi più volte sollecitato, rappresentandone l’urgenza, il Ministero per l’approvazione dei lavori ai malandati piloni n. 9 e 10. Poiché l’approvazione tardava ad arrivare nonostante i solleciti, ASPI aveva comunque svolto la gara per l’affidamento dei lavori che sarebbero iniziati in autunno. Quanto ha inciso causalmente tale ritardo ministeriale? Ed inoltre, che accadrebbe se, ad esempio, dalla documentazione versata da ASPI e dalle risultanze della Commissione ministeriale d’inchiesta risultasse che sulla base della miglior scienza ed esperienza al momento disponibile non era ragionevolmente prevedibile il crollo immediato del ponte Morandi?

In una tale vicenda ovviamente non poteva mancare l’intervento della locale Procura della Repubblica. Il Procuratore capo non si limitava a informare i media circa la doverosa apertura di un’indagine penale, bensì già il 15 agosto affermava che “non è stata una fatalità ma un errore umano” e il 18 agosto non riusciva a trattenersi dall’esternare che “lo Stato è espropriato dai suoi poteri (…), è diventato una sorta di proprietario assenteista che ha abdicato al ruolo di garante della sicurezza (…). Il concessionario è come se fosse diventato il padrone delle autostrade” quindi “ha maggiori poteri” e “quindi ha maggiori responsabilità (…). Ho qualche difficoltà ad accettare l’idea che il tema della sicurezza pubblica stradale sia rimesso nelle mani dei privati”. Affermazioni probabilmente dettate dall’euforia di trovarsi circondato dai microfoni dei giornalisti, dunque di carattere emozionale e non razionale, ma il tema, nemmeno a dirlo, veniva subito ripreso dal principale partito di governo nella vulgata “nazionalizziamo le autostrade” (che sia detto per inciso, detta così è l’ennesima sciocchezza perché il servizio autostradale è già gestito dallo Stato, che ha liberamente scelto il sistema della concessione a terzi). Orbene, l’esigenza di ben declinare il rapporto tra l’informazione come dovere d’ufficio del PM e la riservatezza come condotta permeante l’intera azione del PM. Ecco, cosa c’entrino tali affermazioni del Procuratore capo di Genova sulle scelte di indirizzo politico-economiche fondamentali di competenza di Governo e Parlamento con il dovere di informare il pubblico è tema di non facile comprensione, al pari della oramai quotidiana cronaca dell’andamento delle operazioni peritali che un collegio di tecnici sta facendo su incarico della stessa procura. Il rischio che dal dovere di informazione si passi alla spettacolarizzazione è sempre in agguato.

Nel contesto del processo penale che seguirà, il Ministro delle infrastrutture ha da subito manifestato l’intenzione di costituirsi parte civile quale parte lesa: staremo a vedere se ciò sarà possibile perché, proprio in considerazione della notorietà della fragilità del ponte Morandi e dei poteri di sorveglianza attribuiti al Ministero concedente, non è affatto scontato che la posizione dedicata ad esponenti ministeriali sia quella di parte lesa piuttosto che quella ben più scomoda di coimputato.

Per di più, nella conferenza stampa successiva alla riunione di ferragosto del Consiglio dei Ministri, il Premier dichiarava con tono ieratico “non possiamo attendere i tempi della giustizia penale!”. L’espressione è particolarmente infelice, soprattutto se pronunciata da un docente ordinario di diritto. Presa alla lettera, essa è un errore bello e buono: l’autorità amministrativa, per di più se concedente, non solo non “può” ma neppure “deve” aspettare l’eventuale sentenza di ultimo grado circa le responsabilità penali (così come quelle della Giustizia civile) perché i provvedimenti amministrativi hanno la caratteristica di essere esecutivi ed esecutori, come si legge in ogni manuale di diritto amministrativo: cioè hanno la capacità di produrre effetti e di essere portati ad esecuzione dalla stessa PA emanante. Anche in ciò consiste il “potere di supremazia” della PA verso i cittadini, i quali invece – loro si – devono invocare ed attendere il giudizio della magistratura amministrativa se intendono reagire verso atti amministrativi che considerano illegittimi. In altre parole, un eventuale provvedimento di revoca produrrebbe immediatamente i suoi effetti caducatori e sarebbe onere di ASPI di impugnarlo per chiederne la sospensione e l’annullamento (che deve essere positivamente statuita dal Giudice Amministrativo). Se invece con essa si vuole intendere, come parrebbe dal contesto, che l’”avvocato degli italiani” e il “Governo del cambiamento” non possono star dietro al rispetto del diritto quando si tratta di questioni di tale gravità, essa è molto più che un errore perché esprime l’idea che il rispetto delle regole sia un inutile orpello che danneggia le vittime e beneficia i responsabili (individuati in base allo “spirito del popolo”, di cui ovviamente l’attuale Governo si sente unico ed autentico interprete).

Purtroppo, come sopra esposto, in questa situazione sia i politici che i magistrati del pubblico ministero pare che non abbiano intenzione di attendere l’accertamento dei fatti ed abbiano invece fretta di dare in pasto alla piazza dei presunti colpevoli.

Pare di essere di fronte all’ennesimo episodio in cui per necessità politica e/o per vanità mediatica si cerca un capro espiatorio per comunicare agli elettori che si è risolto assai rapidamente – in apparenza – ogni problema derivante dal crollo del ponte.

Dal punto di vista culturale, piuttosto che politico, le responsabilità vanno in primo luogo sicuramente cercate fra coloro che hanno contribuito a costruire un clima di lassismo nella gestione e supervisione con criteri eventualmente diversi da quelli della prevenzione e precauzione, ma anche tra chi – proprio in riferimento al ponte Morandi – pur di cavalcare l’onda demagogica non esitava a definire una “favoletta” il pericolo imminente di crollo del ponte.

Ma di ciò non bisogna meravigliarsi più di tanto, perché in qualsiasi Paese dove succedesse una tragedia di tali dimensioni tutto ciò sarebbe inevitabile. Le parole in libertà sui social network e sulla stampa sono ineludibili. La vera anomalia è che coloro che dovrebbero, per dovere istituzionale e costituzionale, tenere la barra dritta sulla ragione e sul diritto invece sono proprio coloro che soffiano sul fuoco dell’emotività e dell’idea che lo stato di diritto sia solo un inutile orpello.

Marco Mariani*, com.unica 3 settembre 2018

*Marco Mariani è un avvocato con studio in Firenze e Roma. Abilitato all’esercizio dinanzi alle giurisdizioni superiori. Docente universitario a contratto in Diritto dei servizi pubblici. Ha curato 23 volumi di contenuto giuridico e pubblicato 50 articoli su riviste giuridiche. È stato relatore in oltre 100 occasioni tra convegni, seminari e corsi (www.cattemariani.com).

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