Elogio dei pochi
Una riflessione dello studioso Mario Setta sulla necessità di aprire un dibattito sulla cosiddetta “aristocrazia dello spirito” per ridare centralità al problema politico.
In un tempo in cui si guarda ai grandi numeri, alle moltitudini, all’auditel, alle manifestazioni oceaniche sindacali o politiche, sembrerà anacronistico elogiare i pochi. Ma l’elemento che caratterizza l’attualità, valido per ogni epoca, è uno solo: il senso della vita. Il progresso in questo campo non dipende dal semplice scorrere del tempo, ma dalla capacità che ha l’uomo di capire la lezione del passato. L’acquisizione di una verità non dipende dalla quantità di coloro che la condividono, ma dalla sua validità oggettiva.
Gli aforismi di Eraclito, un filosofo del V sec. a.C., sono ancora di grande attualità. “Uno per me è diecimila, se è il migliore”, affermava, volendo così accentuare il valore dell’aristocrazia dello spirito. Forse perché riteneva fosse più facile trovare un uomo buono, onesto, generoso, piuttosto che un popolo buono, onesto, generoso. Eraclito conduceva fino all’esasperazione la difesa dell’uno e dei pochi, affermando che “solo i pochi sono buoni e i molti non valgono nulla, e pensano soltanto a saziarsi come bestie”.
Nonostante la forma paradossale delle sue invettive, resta la validità del suo pensiero. Aprire, oggi, un dibattito sul tema della “aristocrazia dello spirito”, sarebbe la forma migliore per ridare centralità al problema politico. Politica non è solo amministrazione della cosa pubblica, dialettica parlamentare, gestione del potere, ma è anche interesse culturale, sensibilità ai valori umani.
Se la televisione è lo specchio in cui si riflette la società italiana, il giudizio che se ne deduce non può che essere deludente. È il trionfo della rozzezza, della volgarità, dell’ignoranza, della banalità. Si resta stupefatti di fronte a spettacoli insignificanti, spesso insulsi e scandalistici, premiati da un alto grado di share. Che milioni di persone restino impalate a vedere scene d’una stupidità disarmante è un sintomo preoccupante del declino della civiltà. Se uno spettacolo televisivo, per avere successo, deve rivolgersi a persone di cultura elementare, la televisione non tenderà mai a migliorare un popolo, ma ne aumenterà l’ignoranza, la dipendenza, l’arretratezza. Ma, forse, è proprio ciò che vuole il “padrone”. Un “grande fratello”, che ha capito la lezione freudiana, secondo cui “la massa desidera essere governata da una forza illimitata”.
Nel romanzo “1984” di George Orwell, il teleschermo è la voce del grande fratello: “Nessuno ha mai visto il Grande Fratello. È un volto sui manifesti, una voce che viene dal teleschermo. […] Winston pensò al teleschermo e al suo orecchio in perenne ascolto. Potevano spiarti giorno e notte, ma se restavi in te potevi ancora metterli nel sacco”. Il romanzo di Orwell è ancora oggi di una attualità drammatica, perché non riguarda più una nazione o un sistema politico, ma il mondo intero.
Oggi la massificazione non è più un pericolo incombente. È una catastrofe. Già nel 1930, Ortega y Gasset nell’opera “La ribellione delle masse”, aveva sostenuto che il comportamento della massa non può che essere il “linciaggio”, rappresentato nei film di David Lynch. L’America, “paradiso delle masse” e l’Italia di Mussolini, in cui la libertà era stata annientata da un regime totalitario, offrivano l’esempio lampante della massificazione. Che, comunque, secondo Ortega, presentava anche un aspetto positivo, sottolineando: “quando arriva al massimo sviluppo, automaticamente comincia il suo declino”.
Era ottimista, allora, ma pochi anni dopo avrebbe assistito al grande “linciaggio” della guerra civile spagnola e della seconda guerra mondiale. Tuttavia le parole con le quali concludeva la sua opera erano un monito che gli europei di allora non ascoltarono e che anche oggi meritano di essere profondamente meditate: “Il vero problema è che l’Europa è rimasta senza morale”. L’affermazione dei totalitarismi in Europa dipendeva dall’eclissi della morale.
Il rapporto individuo/società è un problema morale, prima che politico. Uno dei temi più scottanti e studiati, sotto il profilo sociologico e psicologico. Ma non è sufficiente. Uno Stato deve offrire valide garanzie perché ciascuno sia posto in condizione di realizzarsi. E per farlo, ricorrendo ai suggerimenti terapeutici di Freud, l’uomo deve soddisfare due esigenze fondamentali: amare e lavorare (“Lieben und arbeiten”). Sono queste le peculiarità che rendono gli uomini diversi l’uno dall’altro. Ma spesso essi rinunciano alla diversità per omologarsi.
Un dilemma analizzato, già molto tempo fa, da Riesman ne “La folla solitaria”. Se gli uomini, per eludere l’angoscia delle scelte, accettano di essere eterodiretti, la massificazione ne diventa logica conseguenza. Soli nella folla. Che sia già in atto la catastrofe sono pochi ad averne consapevolezza. Pochi e tacciati come prefiche, iettatori, uccelli del malaugurio. Per l’Italia la massificazione all’insegna della Tv è un destino esecrabile, anche con l’avvicendamento dei padroni di turno. Contro il pericolo della regressione di massa, non c’è che un rimedio: l’uso critico della ragione.
Ma negli anni più recenti l’umanità sta vivendo l’ubriacatura da social network. I mezzi di comunicazione diventano oggetti e soggetti di vita. E come tutti gli strumenti mediatici in sé non sono né buoni né cattivi. Dipendono dall’uso che se ne fa. Alla televisione, trionfo della rozzezza, della volgarità, dell’ignoranza, sembra essere subentrata una televisione personale, altrettanto rozza, volgare, superficiale. Quella della propria pagina facebook. Facebook, spesso, sostituisce la persona, ne fa le veci. Ne stimola desideri inconsci e irrazionali. Ogni utente può lanciare sulla propria pagina, dal proprio canale, foto e parole, spesso senza gusto, senza criterio, senza morale. Un giornale aperto a miliardi di lettori al quale ognuno può collaborare come vuole. Una vera bagarre. E in questa bagarre diventa difficile e quasi impossibile ritrovare l’uno, il migliore. Forse solo quelli che se ne astengono.
Per questo Patricia Wallace, insegnante nel Maryland University College, nella seconda edizione della ricerca dal titolo “La psicologia di Internet”, offre spunti interessanti e profondi su tutta la problematica dei mezzi di comunicazione on-line. Non più Persona, ma Persona on-line; non più Homo sapiens, ma Homo sapiens digitalis e sostiene che i tentativi di analizzare i mezzi di comunicazione on-line restano ancora agli esordi, citando Bruce Sterling, autore di fantascienza, che ritiene Internet come Icaro: cerca di volare con le ali di cera, ma muore quando il sole la scioglie. L’atteggiamento della Wallace non è né positivo né negativo aprioristicamente, ma induce alla riflessione. Nelle considerazioni conclusive si esprime così: “La natura umana non cambia e l’Internet della prossima generazione non farà altro che fornire strumenti più efficaci per rendere miserevole la vita on-line”.
Mario Setta, com.unica 15 settembre 2018
*Nell’illustrazione in alto: Affresco di Scuola di Atene (Raffaello Sanzio 1509-1511). Stanza della Segnatura dei Musei del Vaticano.