La ristrutturazione del mondo
Le sfide dell’economia globale e i rischi legati al protezionismo e a una possibile rottura tra gli Stati Uniti e gli alleati tradizionali. L’analisi del premio Nobel per l’Economia Michael Spence.
L’economia globale sta attraversando una profonda trasformazione. Il cambiamento è trainato da fattori quali gli spostamenti delle popolazioni, la produttività, la ricchezza, il potere, le ambizioni, e ha subito un’accelerata dettata dalle mosse del presidente americano Donald Trump di ridefinire le catene di forniture, alterare gli incentivi per gli investimenti transfrontalieri e limitare la circolazione di persone e tecnologia al di là dei confini.
Le tensioni che questi cambiamenti stanno producendo sono più evidenti nell’escalation di controversie sul fronte degli scambi commerciali. A prescindere da alcune turbolenze nelle economie emergenti, la reazione dei mercati ai dazi “occhio per occhio” finora è stata solo modesta. Gli investitori probabilmente presumono che tutto faccia parte di un processo di rinegoziazione che alla fine produrrà nuove regole di impegno per l’imprenditoria mondiale – regole che sono ancora più favorevoli per i potenti.
Ma è possibile che tali ipotesi sottostimino la complessità delle questioni in gioco, a partire dalla questione politicamente saliente sul dove creare investimenti e occupazione. Dal canto loro, le barriere doganali e commerciali, se viste come una tattica di negoziazione transitoria, non cambieranno in modo significativo i modelli di investimento globale o la struttura delle catene di fornitura mondiali e l’occupazione.
I protezionisti come Trump sostengono che il potere dei dazi e di alter barriere commerciali risieda nella loro capacità di frenare truffe e parassitismo. L’implicazione è che tali misure possono contribuire a eliminare le tensioni, gli squilibri e la polarizzazione associati alla globalizzazione.
“Truffa” ovviamente sta negli occhi di chi guarda. I sussidi statali per specifici settori, compreso il trattamento preferenziale delle aziende pubbliche, potrebbero essere considerati una truffa. E così anche la richiesta del trasferimento di tecnologie in cambio dell’accesso al mercato, appalti pubblici a favore di enti nazionali, l’accettazione di condizioni di lavoro non sicure e pratiche di sfruttamento del lavoro, e la manipolazione del tasso di cambio.
La prova del parassitismo consiste nel valutare se un paese contribuisca troppo poco, in base alle proprie capacità, alla fornitura di beni pubblici globali, come la difesa e la sicurezza, la conoscenza tecnica e scientifica, la mitigazione del cambiamento climatico e l’assorbimento di rifugiati. I colpevoli dipendono dall’argomento in questione.
Ma qualunque sia il rovescio della medaglia delle truffe e del parassitismo, è improbabile che affrontare questi comportamenti elimini le condizioni che hanno contribuito alla polarizzazione economica, sociale e politica. Dopo tutto, l’arbitraggio del lavoro è da almeno tre decenni il principale fattore trainante dell’organizzazione delle catene di fornitura mondiali – accelerato, ovviamente, con l’ascesa della Cina – con significativi effetti distributivi e occupazionali. Sembra improbabile che, se la Cina e altri paesi emergenti avesse aderito alla lettera delle regole della World Trade Organization, gli effetti distributivi della loro integrazione nell’economia globale sarebbero scomparsi.
Allora qual è il reale scopo dei dazi? Trump potrebbe essere solamente interessato a garantire condizioni più eque, e a quel punto accetterà i risultati del mercato globale. Ma è più plausibile che tutto ciò faccia parte della sua strategia – cui fanno eco i leader di un crescente numero di paesi di tutto il mondo – di guadagnare supporto affermando le priorità nazionali e la sovranità.
Queste azioni stanno spingendo il mondo verso un sistema più balcanizzato. Inoltre, le sfide e i timori sollevati dai progressi in campo tecnologico, soprattutto nella digital technology, in merito alla sicurezza nazionale e alle performance economiche stanno anche trascinando il mondo verso una maggiore frammentazione.
Quindici anni fa, in pochi avrebbe previsto che le mega-piattaforme quali Google o Facebook sarebbero diventati attori chiave in aree come il riconoscimento delle immagini, l’intelligenza artificiale e lo sviluppo di veicoli autonomi (compresi veicoli militari). Eppure questo è esattamente ciò che è accaduto. Google ora fornisce servizi per il dipartimento della Difesa (anche se forse non rinnoverà il contratto di appalto).
Date le implicazioni di tali sviluppi sulla sicurezza, oltre a tutta una serie di questioni come la riservatezza e la sicurezza dei dati, la frammentazione sociale e le ingerenze straniere nelle elezioni, i paesi non sono disposti ad accettare un vuoto normativo su Internet. Ma non sono neanche disposti a delegare la regolamentazione a un ente sovranazionale. Di conseguenza, molti stanno prendendo in mano la situazione, e questo porta a una crescente divergenza tra paesi sul tema della regolamentazione di Internet.
Per riflettere il ribaltamento di tali iniziative sulla sicurezza nazionale è stata recentemente ampliato il campo d’azione e l’autorità della Committee on Foreign Investment negli Stati Uniti – l’organismo che valuta le implicazioni degli investimenti stranieri nelle aziende e nelle transazioni americane sulla base della sicurezza nazionale.
Malgrado questi tentativi, però, resta il fatto che l’innovazione non può essere facilmente essere bloccata dai confini nazionali. Anzi, la diffusione delle idee potrebbe diventare la dimensione più consequenziale della globalizzazione in futuro.
Se da un lato ciò potrebbe complicare i programmi sulla sicurezza nazionale, dall’altro rappresenta nuove e potenti opportunità per l’imprenditoria, anche se il commercio dovrà affrontare venti contrari. Si è già registrata un’esplosione di modelli di business innovative e basati sul digitale, molti dei quali potrebbero diventare potenti propulsori di crescita inclusiva, soprattutto nelle economie emergenti. Gli ecosistemi su base digitale, con un’architettura aperta e poche barriere all’ingresso, sono un esempio di modello emergente con un considerevole potenziale economico.
C’è poi un’altra dinamica cruciale che definirà come si svilupperà nei prossimi decenni l’economia globale: la rivalità strategica tra Cina e Usa. A questo punto è impossibile dire precisamente quale forma assumerà questa rivalità. Ciò che è chiaro è che ogni parte dell’economia globale sarà colpita dal mix di cooperazione e concorrenza che emergerà.
Di fronte a un potente rivale, ci si aspetta che gli Usa perseguano una strategia che punti a costruire, espandere e consolidare alleanze con gli alleati naturali, ossia paesi con strutture governative simili e visioni condivise sui vantaggi della cooperazione internazionale e dell’apertura dei mercati. E invece Trump ha alienato vecchi alleati e attaccato strutture e istituzioni multilaterali, il tutto mentre cerca di opporsi alla Cina in quello che presto si è trasformato in un gioco a due.
Si tratta di una strategia bizzarra. Qualunque tipo di vantaggio Trump pensi di ottenere posizionando gli Stati Uniti in opposizione ai suoi alleati naturali sarà sovrastato dalle perdite. Una rottura tra gli Stati Uniti e gli alleati tradizionali, se diverrà caratteristica permanente del nuovo ordine globale, porterebbe a una maggiore frammentazione tra le democrazie del mondo orientate al mercato. E questo certamente non farà che spostare la bilancia del potere a lungo termine a favore della Cina, che si muove a passo spedito per diventare la più grande economia del mondo.
Michael Spence – Project-Syndicate 27 settembre 2018
* Michael Spence è un economista statunitense, insignito del Premio Nobel per l’economia nel 2001 insieme a Joseph E. Stiglitz e George A. Akerlof per le loro analisi dei mercati con informazione asimmetrica. Oggi insegna alla New York University.