[ACCADDE OGGI]

Di Luigi Cadorna, il comandante supremo delle Armate italiane fino a Caporetto, lo storico Piero Melograni scrive “…Era un uomo rigido, militaresco, autoritario, caparbio e ostinato. A differenza di altri generali non apparteneva alla massoneria e subiva l’influsso di ambienti clericali. Due sue figlie si erano fatte monache. Il generale riteneva che l’indisciplina degli italiani fosse cresciuta negli ultimi decenni proprio perché il freno del sentimento religioso era stato sradicato”. Cadorna emanò direttive per “una salutare giustizia sommaria” e particolarmente ordinò ai suoi ufficiali “…Non vi è altro mezzo idoneo a reprimere reato collettivo che quello della immediata fucilazione dei maggiori responsabili, allorché l’accertamento dei responsabili non è possibile, rimane il diritto e dovere dei comandanti di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte”.

Oggi che finalmente gran parte degli archivi militari a lungo secretati si sono dischiusi, anche grazie alla continua pressione di storici come il compianto Melograni, sappiamo che nel corso della “grande guerra” furono migliaia i soldati italiani passati per le armi in esecuzione di quelle direttive e tra questi oltre trecento sommariamente fucilati nella schiena senza nemmeno subire uno straccio di processo. Tra questi il caso immediatamente conosciuto e fortemente contestato dai civili che vi assistettero e approdato sulla stampa e nel Parlamento dell’epoca per le numerose interrogazioni parlamentari che ne scaturirono. È il caso del giovanissimo Alessandro Ruffini marchigiano di Castelfidardo così come poco dopo i fatti lo raccontò il giornale socialista Avanti “Il generale Graziani, di passaggio per Noventa di Padova il 3 novembre 1917, alle ore 16,30 circa, vede sfilare una colonna di artiglieri da montagna. Un soldato, certo Ruffini di Castelfidardo, lo saluta tenendo la pipa in bocca. Il generale non poteva sopportare quella che riteneva una grave mancanza di rispetto tanto meno si rendeva conto che dinnanzi a lui stessero sfilando uomini sfigurati dalla fatica, dai digiuni, vestiti a brandelli. “Ma chissenefrega. Le regole di buona educazione non potevano essere ignorate.” Graziani redarguisce il soldato Ruffini e riscaldandosi inveisce e lo bastona. Il soldato non si muove. Molte donne e parecchi borghesi sono presenti. Un uomo interviene e osserva al generale che quello non è il modo di trattare i nostri soldati. Il generale, infuriato, risponde: “Dei soldati io faccio quello che mi piace”, e per provarlo fa buttare contro il muricciolo il Ruffini e lo fa fucilare immediatamente. Poi ordina al tenente colonnello Folezzani (del 28mo artiglieria campale) di farlo sotterrare: “E’ un uomo morto d’asfissia” e, salito sull’automobile, riparte. Il tenente colonnello nel rapporto non ha voluto porre la causa della morte. Tutti gli ufficiali del 28mo artiglieria campale possono testimoniare il fatto”.

Nel registro parrocchiale di Noventa di Padova è possibile leggere quanto l’allora parroco don Giovanni Battista Celotto scrisse: “Ruffini Alessandro, figlio di Giacomo e di Bertoli Nazzarena, nato il 29 Gennaio 1893 nella Parrocchia di Castelfidardo, di condizione militare della 10a Batteria 34° Reg.to Artiglieria da campagna, morì il 3 Novembre 1917 alle ore 4 pom. per ordine del General Graziani fucilato alla schiena. Ricevette l’Assoluzione e l’O.S.. La sua salma dopo le esequie fu tumulata nel Cimitero Comunale”. In maniera incosciente fu un prete a rispondere a Cadorna che lamentava la carenza dei valori religiosi e redigendo l’atto di morte del povero Alessandro Ruffini indicò nel bieco esecutore degli ordini di Cadorna, il generale Andrea Graziani, l’assassino del soldato Alessandro Ruffini.

Per la cronaca il generale Andrea Graziani, passato alla storia come il “generale fucilatore”, quasi vent’anni dopo fu trovato morto sui binari della linea ferroviaria Prato-Firenze senza che le cause della morte fossero mai accertate.

A Noventa di Padova un targa e i fori dei proiettili sul muro ricordano Alessandro Ruffini morto per aver fumato la pipa o, come altri sostengono un mozzicone di sigaro, e non certo a causa delle conseguenze del fumo.

(Franco Seccia, com.unica 3 novembre 2018)

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