Oggi il rischio non è la fine della democrazia, ma una variante non meno insidiosa: una democrazia illiberale. L’analisi di Gian Enrico Rusconi per La Stampa.

Anche la Germania festeggia il novembre 1918 a suo modo. Ricorda la sua «rivoluzione democratica» del 9 novembre da cui è nata la prima repubblica tedesca. Questa passerà alla storia come la Germania di Weimar, dal nome della città dove viene elaborata la nuova Costituzione. Ma Weimar rimane nella memoria collettiva e nella storiografia come esperienza politica fallita: come il «fantasma di Weimar».  

Nessuno poteva immaginare che anche oggi le difficoltà della situazione politica tedesca potessero rievocare quel fantasma. Dieci anni fa, in occasione del novantesimo anniversario della rivoluzione, era stato molto apprezzato un saggio intitolato Dalla democrazia improvvisata alla democrazia riuscita. «Improvvisata» era considerata la democrazia di Weimar, «riuscita» invece era quella della Bundesrepublik.  

Questa aveva accolto molti aspetti positivi (soprattutto di ordine sociale) della Costituzione weimariana, ma ne aveva corretti altri. Aveva ridotto drasticamente le competenze del presidente della Repubblica che a Weimar aveva di fatto portato a un regime presidenziale diventato poi (preterintenzionalmente) un regime totalitario; aveva introdotto la «sfiducia costruttiva» per evitare i pericoli della ingovernabilità; aveva imposto ai partiti la soglia di sbarramento del 5% per evitare la frammentazione partitica. 

Ma l’iniziativa più importante è stata l’enunciazione di una serie di diritti fondamentali inalienabili che garantiscono l’intangilità stessa della sostanza democratica della Costituzione. Detto in termini più espliciti: nessuna maggioranza parlamentare può modificare i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. A questo scopo è stato istituito un organo di controllo effettivo della costituzionalità delle iniziative politiche partitiche: la Difesa della Costituzione (Verfassungsschutz). 

Tutto ciò mancava a Weimar. I suoi nemici godevano della libertà democratica di distruggerla – in nome del «popolo» quale era interpretato dalla destra estrema e poi dal nazionalsocialismo.  

Dobbiamo preoccuparci anche oggi? Perché gli organi per la Difesa della Costituzione hanno aumentato la loro attenzione verso i comportamenti di alcuni gruppi e movimenti di estrema destra, comprese alcune sezioni regionali della Alternative für Deutschland, il partito «populista di destra» che siede in Parlamento con il 12,6% ed è presente ormai in tutti i Parlamenti dei Länder? Mette in pericolo la democrazia? Si sta creando una sindrome Weimar?  

È sbagliato equiparare senz’altro il «populismo di destra» di oggi con la destra razzista e antidemocratica degli anni Trenta, con il nazionalsocialismo. Anche se non mancano frange neonaziste, saluti hitleriani nelle manifestazioni pubbliche e soprattutto atteggiamenti e linguaggi völkisch, che sono il modo tipico tedesco di essere populisti radicali. L’ Alternative für Deutschland (AfD) non è la Nsdap (il partito nazista); tra i suoi leader non ci sono Führer carismatici o aspiranti tali. I vertici politici dell’AfD non sono «negazionisti». Eppure lamentano il «culto della colpa», che sarebbe stato imposto ai tedeschi dalla sinistra e dal liberalismo di sinistra per quanto è accaduto con il nazismo. A detta del leader della AfD, invece, il nazismo è stata semplicemente una «stronzata» (sic) rispetto alla lunga gloriosa storia tedesca. 

Queste parole sono soltanto espressione dell’involgarimento del linguaggio pubblico o segnalano qualcosa di più insidioso? Nelle manifestazioni pubbliche dei movimenti affini alla AfD vengono urlate espressioni che risentono del vecchio linguaggio völkisch, diventato poi nazista, con particolare insistente denuncia della «stampa bugiarda» (Lügenpresse). Il rifiuto dei migranti assume toni ossessivi. Ogni migrante è visto virtualmente come un criminale e soprattutto non integrabile. La presenza di massa di migranti (soprattutto di fede islamica) mette a repentaglio la cultura e l’integrità della popolo tedesco. 

L’assoluta centralità del concetto di popolo-Volk, miticamente elevato a criterio di omogeneità etno-culturale, pretende unanimità dei consensi. Chi non è d’accordo in nome di quello che è diffamato come «astratto universalismo» o «impossibile multiculturalismo», è nemico del popolo.  

«Noi siamo il popolo» è lo slogan che ha caratterizzato la «rivoluzione pacifica» del 1989 nella ex Ddr comunista. Ora viene usato contro il governo democratico e in generale contro il sistema dei partiti esistenti. Ci sono tutti i motivi perché gli organi della Difesa della Costituzione siano in allerta. Ma probabilmente all’orizzonte non c’è una fine della democrazia in stile Weimar, ma una variante non meno insidiosa per la quale è già pronto il nome, sulla base di alcune esperienze che abbiamo sotto i nostri occhi: una democrazia illiberale. 

Gian Enrico Rusconi, La Stampa 9 novembre 2018

*Nella foto una manifestazione davanti alla sede del Reichstag a Berlino nel 1919.

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