Addio a Joffo, la Shoah in un sacchetto di biglie
Elena Loewenthal ricorda lo scrittore francese su La Stampa
A Joffo, scrittore sui generis, tutt’altro che un intellettuale puro, capace tuttavia di azzerare la distanza tra il narratore e chi legge con una sincerità e un’immediatezza davvero fuori del comune, si deve il libro che rappresenta il «prototipo» del racconto-testimonianza nell’abisso della Shoah: Un sacchetto di biglie (tradotto per Rizzoli) uscì nel lontano 1973, quando di Olocausto in Europa si parlava ancora poco o nulla. Da allora ha venduto circa venti milioni di copie in tutto il mondo, e ha visto diverse riduzioni cinematografiche.
Con la spontaneità del bambino di poco più di dieci anni che lui era in quell’epoca tremenda, con la forza delle esperienze attraversate armato della strenua volontà di uscirne fuori vivo, c racconta la fuga da Parigi occupata dai nazisti insieme col fratello maggiore, la discesa verso il Sud della Francia, gli spostamenti rischiosi, la clandestinità, l’arresto, i falsi certificati di battesimo che li salvano. Tutto comincia quando i membri della famiglia decidono che la scelta migliore per cavarsela è quella di disperdersi. E Un sacchetto di biglie è la cronaca terribile ma anche a suo modo divertente, e soprattutto terribilmente avvincente, di questa «diaspora» familiare.
Joffo ha scritto tanto altro, dopo la guerra – soprattutto memorie – ma questa resta l’opera che lo identifica e ha avvicinato tantissimi lettori alla Shoah: Un sacchetto di biglie è un libro straordinariamente intergenerazionale, capace di appassionare tanto gli adulti quanto gli adolescenti e persino i più piccoli. Forse perché, malgrado la morte fosse in quegli anni presente ovunque, quella che Joffo racconta è una storia piena di vita.
A Joffo, scrittore sui generis, tutt’altro che un intellettuale puro, capace tuttavia di azzerare la distanza tra il narratore e chi legge con una sincerità e un’immediatezza davvero fuori del comune, si deve il libro che rappresenta il «prototipo» del racconto-testimonianza nell’abisso della Shoah: Un sacchetto di biglie (tradotto per Rizzoli) uscì nel lontano 1973, quando di Olocausto in Europa si parlava ancora poco o nulla. Da allora ha venduto circa venti milioni di copie in tutto il mondo, e ha visto diverse riduzioni cinematografiche.
Con la spontaneità del bambino di poco più di dieci anni che lui era in quell’epoca tremenda, con la forza delle esperienze attraversate armato della strenua volontà di uscirne fuori vivo, Joseph Joffo racconta la fuga da Parigi occupata dai nazisti insieme col fratello maggiore, la discesa verso il Sud della Francia, gli spostamenti rischiosi, la clandestinità, l’arresto, i falsi certificati di battesimo che li salvano. Tutto comincia quando i membri della famiglia decidono che la scelta migliore per cavarsela è quella di disperdersi. E Un sacchetto di biglie è la cronaca terribile ma anche a suo modo divertente, e soprattutto terribilmente avvincente, di questa «diaspora» familiare.
Joffo ha scritto tanto altro, dopo la guerra – soprattutto memorie – ma questa resta l’opera che lo identifica e ha avvicinato tantissimi lettori alla Shoah: Un sacchetto di biglie è un libro straordinariamente intergenerazionale, capace di appassionare tanto gli adulti quanto gli adolescenti e persino i più piccoli. Forse perché, malgrado la morte fosse in quegli anni presente ovunque, quella che Joffo racconta è una storia piena di vita.
Elena Loewenthal, La Stampa 7 dicembre 2018