Fuoriesce dalle viscere il corto circuito della Francia che si uccide da sola. Alcune riflessioni sul libro del direttore de La Stampa, Maurizio Molinari

È l’incontro casuale con la rivolta del ceto medio il protagonista inatteso di Serotonina, il nuovo romanzo di Michel Houellebecq che arriva il libreria (il 4 gennaio da Flammarion, il 10 in Italia per la Nave di Teseo) in coincidenza con le proteste dei «Gilet gialli» nella Francia di Emmanuel Macron. Il protagonista è un uomo di mezza età, immerso proprio nella Francia di Macron, che tra racconti di sesso scabroso e scelte drammatiche trova sulla propria strada Aymeric, un personaggio delle campagne che suo malgrado diventa protagonista di duri scontri con la polizia.

Bisogna arrivare a metà del libro per incontrare, quasi casualmente, Aymeric, che a sua volta, senza alcuna pianificazione o intenzionalità, precipita al centro di un apparentemente banale corto circuito tra macchine agricole e agenti di polizia da cui degenera qualcosa di assai più grande, pericoloso e terribile. La prosa di Houellebecq accompagna il lettore quasi distrattamente nell’incontro ravvicinato con un lampo di violenza personale e collettiva che, sullo sfondo delle campagne francesi, sovrappone trattori e fucili d’assalto, cortine di fumogeni e agguati con tattiche di guerriglia. Nell’arco di una manciata di pagine si passa dalla descrizione minuziosa di rapporti di sesso sfrenato a un mondo contadino dove i singoli possiedono e parlano di armi personali in maniera identitaria.

Sono gli eccessi opposti di due volti diversi della stessa Francia, le città specchio dei giochi di seduzione e le campagne teatro di una rabbia improvvisa. Nasce così la descrizione di Aymeric, «che avevo sempre conosciuto uomo gentile, buono, desideroso di felicità», trasformatosi in ribelle a causa dell’«Unione Europea grandissima stronza sulle quote latte», suggerendo una lettura tutta francese dello scontento presente nella pancia della nazione contadina che nelle presidenziali del 2017 ha consegnato al Front National di Marine Le Pen circa 10 milioni di voti e ora genera la rivolta dei «Gilet gialli» che da quattro settimane tiene banco nel centro di Parigi per contestare le politiche sociali dell’Eliseo.

«Non riesco a capire perché le cose siano finite così, erano possibili diverse configurazioni di vita accettabili», fa dire l’autore al suo protagonista, dando voce alla sorpresa della maggioranza dei francesi che hanno difficoltà a spiegarsi la violenta protesta che ogni fine settimana aggredisce i Campi Elisi, mostrando alterne intensità. È un approccio che smitizza la protesta come anche la reazione degli agenti, descrivendoli come i protagonisti di una guerriglia casuale, fatta di incidenti e contrattempi, di fronte ai quali la voce di «noi stessi» non riesce a schierarsi in maniera netta. Mentre l’Europa è un soggetto lontano, considerato nemico dagli agricoltori ma in realtà assente, difficile da identificare in maniera concreta. Anche perché in realtà agenti e contadini non guardano solo alla Francia ma anche altrove: a Londra e Washington, capitali in affanno di ciò che resta dell’Occidente.

Nausea e incredulità
È la genesi di una rivolta che vede Aymeric sfidare la polizia armato di fucile fino a quando non è lui stesso a compiere l’atto più terribile, innescando una spirale di violenze alimentata da errori, deduzioni fuori luogo e macabre beffe. La «nausea e incredulità» con cui l’autore descrive quanto avviene nelle viscere della Francia fotografa la casualità di una stagione di rivolte in cui l’ideologia è assente, la pianificazione lontana anni luce, mentre a prevalere è un crogiolo di malintesi dove la Storia diventa accidentale per definizione. Facendo fuoriuscire dai singoli quanto di peggio hanno dentro. 

È la genesi dello shock per la «tragica fine di una grande famiglia francese» che si rispecchia nel funerale delle vittime degli scontri agresti nella cattedrale di Bayeux. A cui assistono, distratti spettatori in un Internet café, due arabi salafiti. Come a dire: è la Francia che si suicida da sola, dimenticando chi sono i veri avversari contro cui dovrebbe unirsi per proteggersi dalla minaccia jihadista. Il racconto poi riprende il suo corso, lasciando al lettore la sensazione di aver potuto sbirciare per alcune pagine nella ferita profonda e incomprensibile della democrazia francese.

Maurizio Molinari, La Stampa 21 dicembre 2018

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