Cina, come evolverà il suo modello di sviluppo?
Le nuove sfide esterne alla crescita economica del paese: l’analisi del Nobel per l’Economia Michael Spence
La strategia messa in atto dalla Cina per la crescita economica è un work in progress sin da quando nel 1978 Deng Xiaoping lanciò la “riforma e l’apertura” del paese. Anche se gli ultimi 40 anni di riforma sono stati tutt’altro che scevri da errori, il governo ha manifestato una certa volontà di adattamento, oltre alla capacità di guidare transizioni complesse, grazie al supporto di un sano dibattito politico interno. Ma in che modo si evolverà il modello di sviluppo della Cina di fronte alle nuove sfide esterne alla crescita economica?
I quarant’anni di riforma della Cina sono stati caratterizzati dall’evoluzione del ruolo dello Stato nell’economia, su cui c’è ancora molto disaccordo a livello nazionale. Per alcuni lo Stato – e di conseguenza il Partito comunista cinese – deve continuare a ricoprire un ruolo dominante per mantenere la stabilità sociale necessaria per sostenere lo sviluppo economico. Per altri il fatto di stimolare l’innovazione necessaria per ottenere lo status di alto reddito richiede allo Stato di essere meno operatore di mercato e più arbitro, regolatore e mediatore delle priorità economiche e sociali.
Senza dubbio, lo Stato si è rivelato fondamentale per lo sviluppo cinese, non solo per gli investimenti compiuti in aree come le infrastrutture e la tecnologia, ma anche per aver fatto da barriera di protezione dei mercati nascenti e delle istituzioni del settore privato sviluppate. Il coinvolgimento dello Stato è altresì necessario per aiutare a gestire la disuguaglianza e garantire che la crescita sia inclusiva, cosa che i mercati da soli non possono garantire.
Inoltre, lo Stato cinese ha risolto le problematiche di coordinamento che non sono gestite con facilità ed efficacia dai mercati decentralizzati nei paesi in via di sviluppo, dove le istituzioni di mercato e le capacità amministrative possono trovarsi in diverse fasi dello sviluppo. Nel suo piano quinquennale, il governo cinese stabilisce chiare priorità e aspettative in grado di garantire che le politiche e gli investimenti complementari avvengano simultaneamente o comunque in tempi adeguati.
I fautori di coloro che conferiscono ai mercati e al settore privato un ruolo “decisivo” nell’economia in gran parte non contestano questi punti; anzi, enfatizzano il fatto che l’innovazione, l’aumento della produttività e la crescita generale siano stati trainati principalmente dall’espansione del settore privato. Un vibrante mercato di idee è la parte chiave di questo modello. La crescente presenza del partito comunista cinese nelle aziende private, l’intervento economico dal duro approccio e la crescente preferenza dell’ortodossia potrebbero mettere a rischio il dinamismo e la crescita.
La mancanza di chiarezza sul ruolo dello Stato nelle aziende private sta già ostacolando gli investimenti delle multinazionali cinesi all’estero, soprattutto in quei settori che coinvolgono la sicurezza nazionale e informatica, un settore in rapida crescita, mentre le economie mondiali puntano alla digitalizzazione. Se la Cina ritorna al modello in cui lo Stato possiede proprietà nei settori chiavi, quei settori potrebbero registrare performance inferiori a causa della mancanza di concorrenza e sperimentazione, il che si tradurrebbe in una stagnazione.
Vale la pena far notare che la Cina non ha mai adottato il modello di governo societario che punta alla creazione di valore per gli azionisti, modello che prevale da tempo in Occidente, sebbene l’Occidente stia ora verosimilmente passando al modello degli stakeholder. Le autorità cinesi vedono le società (e i mercati finanziari) come strumenti per raggiungere obiettivi economici e sociali.
Per certi versi, quindi, la Cina vanta una sorta di modello degli stakeholder fin dall’inizio. Mentre in Occidente prende piede il governo ambientale, sociale e societario, i modelli cinesi e occidentali potrebbero iniziare a convergere, con la differenza chiara che, in Cina, il partito comunista e lo Stato rappresentano le parti interessate che non sono soci, o l’interesse pubblico.
I ruoli dello Stato e del mercato nell’economia cinese devono essere decisi in via definitiva. I dettagli del modello saranno probabilmente determinati da considerazioni pragmatiche e da correzioni di rotta. Ma è chiaro che per conseguire gli obiettivi tecnologici delle autorità, come definiti nel piano “Made in China 2025”, servirà la presenza di un settore privato dinamico e alquanto a ruota libera, nonché un significativo supporto statale nelle forme di investimento a monte in istruzione e ricerca scientifica di tipo avanzato.
Le iniziative promosse dallo Stato cinese per stimolare l’innovazione hanno sollevato tensioni con i partner economici, soprattutto con gli Stati Uniti. Ma la Cina può intraprendere azioni per attenuare le critiche, ad esempio impegnandosi a rispettare la proprietà intellettuale, rimuovere le barriere non doganali al commercio transfrontaliero e (soprattutto) agli investimenti ed eliminare i requisiti per gli investimenti privati transfrontalieri, così che i trasferimenti tecnologici non siano soggetti a coercizione.
Le sfide maggiori riguardano il ruolo dello Stato nel punto di incrocio tra tecnologia e sicurezza nazionale. Le aziende cinesi private che investono all’estero devono segnalare che il loro focus è puramente commerciale, e che non stanno perseguendo altri programmi, come la sicurezza nazionale. L’impegno dello Stato cinese di isolare le multinazionali private del paese da tali programmi contribuirebbe in maniera decisiva. Non ci si aspetta che i governi rinuncino all’uso di cyber-tool nello spionaggio, ma potrebbero evitare di essere coinvolti nel settore privato.
Le aziende pubbliche cinesi, invece, continueranno ad affrontare barriere elevate per compensare i processi di revisione degli investimenti esteri, e possono ricevere sussidi difficili da rilevare, accesso privilegiato al capitale a basso costo e tutela dalla concorrenza a livello domestico. L’aspetto più importante è che quando il governo è l’azionista di controllo, la sfida di separare in modo credibile gli interessi commerciali dagli obiettivi dello Stato sembra insormontabile.
Anche gli ostacoli agli investimenti transfrontalieri in Internet sono elevati e destinati a persistere. Anche in questo caso, sembra difficile, se non impossibile, superare le maggiori differenze di regolamentazione, compreso il ruolo dello Stato rispetto a contenuti e accesso ai dati.
È improbabile nel breve termine una convergenza con il modello occidentale in evoluzione. E persisteranno le tensioni tra Cina e Occidente, soprattutto in merito al ruolo dello Stato. Ma il percorso dello sviluppo orientato al mercato certamente contribuirà a ridurre queste tensioni. Una maggiore chiarezza sulla divisione delle responsabilità tra lo Stato e il mercato aiuterebbe a rimuovere un grande ostacolo al progresso.
Michael Spence – Project-Syndicate gennaio 2019
* Michael Spence è un economista statunitense, insignito del Premio Nobel per l’economia nel 2001 insieme a Joseph E. Stiglitz e George A. Akerlof per le loro analisi dei mercati con informazione asimmetrica. Oggi insegna alla New York University.