Il grande pianista racconta al Corriere la sua vita dopo l’assassinio del genitore: «Con lo Scià eravamo un porto di civiltà». La speranza dei giovani che rischiano la vita per il futuro.

Maestro Ramin Bahrami, chi era suo padre? 
«Mio padre si chiamava Paviz Bahrami, era un ingegnere iraniano. Fu assassinato nel 1991 con l’accusa di essere un oppositore della Repubblica islamica e di aver collaborato con lo Scià. Ricordo le sue parole: “Frequenta Johann Sebastian Bach… perché la sua musica potrà aiutarti molto”. Non le dimenticherò mai. Fui costretto ad emigrare in Europa a undici anni. L’idea era quella di inseguire le tracce del mio grande amore Bach in Germania, ma fu l’Italia il primo Paese ad accogliermi. Oggi vivo a Stoccarda, ma ritorno in Italia frequentemente. Sono nato 42 anni fa a Teheran, in un Paese dove gli stranieri si innamoravano dell’ospitalità, della generosità e della gentilezza della nostra gente. È la cultura della Persia che mi ha insegnato il dialogo, la conciliazione con il mondo». 

Rimpiange lo Scià?
«Durante il regno di Reza Pahlavi la Persia era un porto di civiltà, di equilibrio, c’era benessere e si viveva in maniera sicura. Certamente, come tutti i sovrani, anche Mohammad Reza Pahlavi può aver commesso degli errori, ma l’uomo che è senza difetti e peccati me lo faccia sapere. Non possiamo non riconoscere le virtù di un re capace di dialogare e far fiorire l’economia. Molto di quanto fatto, lo Scià Reza Pahlavi lo deve al suo meraviglioso padre Reza Scià, il cosacco. Era un grande uomo. Portò le autostrade in Iran, sosteneva che le donne non dovessero essere sotto- messe ai dogmi islamici, vietò l’uso dell’hijab. La donna persiana era una donna libera, emancipata e libera di esprimersi». 

Sogna giustizia per l’uccisione di suo padre?
«Mio padre è stato giustiziato, ma non abbiamo mai saputo come sia morto. La sua unica colpa è stata quella di aver contribuito a portare cultura e civiltà al suo Paese. Ma credo sia sbagliato accanirsi, i ricordi della sua bontà d’animo e della sua raffinatezza mi fanno compagnia. La ricompensa a tanta sofferenza sarebbe ridare una voce libera al nostro popolo. La sete della libertà è voglia e orgoglio di essere individui. E questo che porta tanti ragazzi iraniani a sacrificare persino la propria esistenza per un futuro migliore. Il nostro futuro sono questi giovani pieni di speranza. Avremo un futuro se riusciranno a trasformare l’Iran in un Paese libero e democratico. Il popolo iraniano, questo popolo orgoglioso e antico, è stanco dopo 40 anni di oppressioni e minacce».

Maestro Bahrami, che pezzo dedicherebbe all’Iran
«Messa in si minore di Johann Sebastian Bach. La Cappella Sistina dell’Oriente e dell’Occidente. Il pezzo polifonico più bello di tutta la storia della musica».

Francesco De Leo, Corriere della Sera 3 febbraio 2019

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