Gilet Gialli e odio antiebraico
L’editoriale del direttore de La Stampa Maurizio Molinari sull’aggressione contro il filosofo francese Alain Finkielkraut
L’aggressione dei Gilet Gialli contro il filosofo francese Alain Finkielkraut ci dice che il più pericoloso antisemitismo è tornato nel cuore dell’Europa. A descriverlo è quanto avvenuto all’angolo di boulevard Montparnasse, a Parigi, nella giornata di ieri. Un gruppo di Gilet Gialli ha riconosciuto il filosofo, lo ha spinto in un angolo e mentre lui era spalle al muro, uno dei manifestanti gli si è avvicinato, gli ha puntato l’indice contro ed ha iniziato a gridare: «Noi siamo il popolo, noi siamo il popolo». Altri Gilet Gialli sono arrivati, Finkielkraut si è allontanato protetto da alcuni passanti e dietro di lui i manifestanti gli hanno gridato: «Torna a Tel Aviv», «Palestina, Palestina», «vi cacceremo». Più il filosofo era lontano, più le grida dei Gilet Gialli crescevano, con i singoli che si toglievano mascherine e passamontagna per meglio gridare la propria rabbia. La sovrapposizione fra esaltazione del «popolo», insulti antisemiti, odio antisionista e promesse di espulsioni rappresenta quanto di più simile e contemporaneo può esserci alla dinamica con cui si innesca l’odio antiebraico nelle piazze, identificando nella casuale vittima di turno il male assoluto, da additare ed estirpare per il «bene delle masse».
È la stessa feroce dinamica con cui si originavano i pogrom in Russia al tempo degli zar, in Germania al tempo dei nazisti e nei Paesi arabi – da Baghdad a Tripoli – fra gli Anni Quaranta e Cinquanta. Ciò significa che nelle viscere dei movimenti di protesta presenti in Francia – e forse in altri Paesi d’Europa – alberga la più buia, miope e aggressiva delle intolleranze. Aggravata dalla volontà di chi ne è protagonista di diffonderla sul web per trasformarla in contagio: chi ha aggredito Finkielkraut ha anche filmato la scena con l’evidente intento di far capire ad altri fanatici come lui che questo è il modo in cui si devono aggredire i «nemici del popolo», spingendoli con la forza degli insulti e della rabbia ad «andarsene a Tel Aviv».
Quale che sia l’opinione politica, la fede religiosa o la cittadinanza, ogni europeo deve sentirsi non solo offeso ma minacciato da questo germe dell’odio che è tornato a germogliare fra noi. Con la complicità di tutti coloro che assistono, passivamente, davanti a simili violenze o addirittura le legittimano riconoscendo politicamente i Gilet Gialli.
Maurizio Molinari, La Stampa 18 febbraio 2019