Il “capitalismo progressista”, non un ossimoro ma una possibile alternativa a un’ideologia che ha chiaramente fallito. Una riflessione di Joseph E. Stiglitz, Premio Nobel per l’Economia.

NEW YORK – Che tipo di sistema economico è più favorevole al benessere umano? Tale questione è giunta a caratterizzare l’epoca attuale, perché, dopo 40 anni di neoliberismo negli Stati Uniti e in altre economie avanzate, sappiamo cosa non funziona.

L’esperimento neoliberista – riduzione delle tasse sui ricchi, deregolamentazione dei mercati del lavoro e dei prodotti, finanziarizzazione e globalizzazione – è stato un clamoroso fallimento. La crescita è inferiore rispetto a quella registrata nei venticinque anni successivi alla seconda guerra mondiale, e la maggior parte di essa si è accumulata ai vertici della scala dei redditi. Dopo decenni di redditi stagnanti o addirittura in calo per coloro che si trovano più in basso, il neoliberismo deve essere dichiarato morto e sepolto.

In corsa per succedergli ci sono almeno tre principali alternative politiche: il nazionalismo di estrema destra, il riformismo di centro-sinistra, e la sinistra progressista (con il centro-destra che rappresenta il fallimento neoliberista). Eppure, con l’eccezione della sinistra progressista, tali alternative rimangono vincolate ad una qualche forma di ideologia decaduta (o che dovrebbe esserlo).

Il centrosinistra, ad esempio, rappresenta il neoliberismo dal volto umano. Il suo obiettivo è portare le politiche dell’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e dell’ex primo ministro britannico Tony Blair nel ventunesimo secolo, apportando solo lievi correzioni ai sistemi dominanti di finanziarizzazione e globalizzazione. Nel contempo, la destra nazionalista rinnega la globalizzazione, incolpando i migranti e gli stranieri per tutti i problemi di oggi. Tuttavia, come ha dimostrato la presidenza di Donald Trump, essa non è meno impegnata – almeno nella sua variante americana – a ridurre le tasse per i ricchi, deregolamentare, diminuire o eliminare i programmi sociali.

Al contrario, il “terzo campo” sostiene ciò che io chiamo , che prescrive un’agenda economica radicalmente diversa, basata su quattro priorità. La prima consiste nel ripristinare l’equilibrio tra mercati, stato e società civile. La lenta crescita economica, l’aumento delle disuguaglianze, l’instabilità finanziaria e il degrado ambientale sono problemi nati dal mercato e quindi non possono e non saranno superati dal mercato lasciato a se stesso. I governi hanno il dovere di limitare e condizionare i mercati attraverso l’ambiente, la salute, la sicurezza sul lavoro ed altri tipi di regolamentazione. È anche compito del governo fare ciò che il mercato non può o non vuole fare, come investire attivamente in ricerca di base, tecnologia, istruzione e nella sanità dei suoi costituenti sociali.

La seconda priorità è riconoscere che la “ricchezza delle nazioni” è il risultato di  – l’apprendimento del mondo che ci circonda – e di un’organizzazione sociale che consenta a grandi gruppi di persone di lavorare insieme per il bene comune. I mercati hanno ancora un ruolo cruciale da svolgere nel facilitare la cooperazione sociale, ma servono a questo scopo solo se sono governati dallo Stato di diritto e soggetti a controlli democratici. Altrimenti, gli individui possono arricchirsi sfruttando gli altri, estraendo ricchezza attraverso la ricerca di rendite piuttosto che creare ricchezza grazie ad una effettiva ingegnosità. Molti dei ricchi di oggi hanno preso la via dello sfruttamento per arrivare dove sono. Sono stati ben serviti dalle politiche di Trump, che hanno incoraggiato le rendite mentre distruggevano le risorse all’origine della creazione di ricchezza. Il capitalismo progressivo cerca di fare esattamente il contrario.

Questo ci porta alla terza priorità: affrontare il crescente problema del  fortemente concentrati. Mediante lo sfruttamento dei vantaggi dell’informazione, l’acquisizione di potenziali concorrenti, e la creazione di barriere all’ingresso, le imprese dominanti sono in grado di impegnarsi nella ricerca di rendite su larga scala a scapito di tutti gli altri. L’aumento del potere di mercato delle corporation, combinato con il declino del potere di contrattazione dei lavoratori, la dice lunga sul perché le disuguaglianze sono così elevate e la crescita così tiepida. A meno che il governo non assuma un ruolo più attivo di quello prescritto dal neoliberismo, questi problemi probabilmente sono destinati a peggiorare molto, a causa dei progressi della robotizzazione e dell’intelligenza artificiale.

Il quarto punto chiave dell’agenda progressista è quello di separare il legame tra potere economico e influenza politica. Il potere economico e l’influenza politica si rafforzano reciprocamente e si autoalimentano, specialmente laddove, come negli Stati Uniti, individui ricchi e corporazioni possono spendere senza limiti nelle elezioni. Mentre gli Stati Uniti si avvicinano sempre di più ad un sistema definibile con la formula “un dollaro, un voto”, fondamentalmente antidemocratico, l’apparato di controlli ed equilibri così necessario per la democrazia probabilmente non può reggere: nulla sarà in grado di limitare il potere dei ricchi. Questo non è solo un problema morale e politico: le economie con meno disuguaglianze in realtà offrono prestazioni migliori. Le riforme del capitalismo progressista devono quindi innanzitutto limitare l’influenza del denaro in politica e ridurre le disuguaglianze rispetto alla ricchezza.

Non esiste una “bacchetta magica” in grado di invertire i danni causati da decenni di neoliberismo. Ma un programma complessivo, secondo le linee tracciate sopra, è assolutamente possibile. Molto dipenderà se la determinazione dei riformatori nella lotta contro problemi come l’eccessivo potere di mercato e le disuguaglianze sia forte quanto quella impiegata dal settore privato nel generarli.

Un’agenda globale deve concentrarsi sull’istruzione, la ricerca e le altre reali fonti di ricchezza. Deve proteggere l’ambiente e combattere il cambiamento climatico con la stessa vigilanza dei Green New Dealers negli Stati Uniti e dell’Estinction Rebellion nel Regno Unito. E deve fornire programmi pubblici per garantire che a nessun cittadino vengano negati i requisiti fondamentali di una vita dignitosa. Questi includono la sicurezza economica, l’accesso al lavoro e un salario di sussistenza, l’assistenza sanitaria e un alloggio adeguato, una pensione sicura, e un’istruzione di qualità per i propri figli.

Questo programma è estremamente accessibile; in effetti, non possiamo permetterci di non promuoverlo. Le alternative offerte dai nazionalisti e dai neoliberisti di certo comporterebbero ancora più stagnazione, disuguaglianza, degrado ambientale e acrimonia politica, cosa che potrebbe condurre ad esiti che non vogliamo nemmeno immaginare.

Il capitalismo progressista non è un ossimoro. Piuttosto, è l’alternativa più vitale e vibrante a un’ideologia che ha chiaramente fallito. In quanto tale, rappresenta la migliore possibilità che abbiamo di sfuggire al nostro attuale malessere economico e politico.

Joseph E. Stiglitz, project-syndicate giugno 2019

*Premio Nobel per l’Economia nel 2001, insegna Politica Economica alla Columbia University ed è capo economista presso il Roosevelt Institute.

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