Intervista a Darwin Pastorin, autore di un libro dedicato al grande campione della Juventus e della Nazionale scomparso 30 anni fa. Oggi la presentazione a Oliena.

Chi segue il calcio e non è più giovanissimo ricorda ancora oggi perfettamente quella “Domenica sportiva” del 3 settembre 1989 in cui il conduttore Sandro Ciotti fece interrompere bruscamente il “rullo” con i servizi sulla giornata di serie A per dare, con una voce più roca del solito, la notizia della tragica morte di Gaetano Scirea in un incidente stradale avvenuto in Polonia nei pressi di Babsk. Si stava recando all’aeroporto di Varsavia per tornare a Torino, dopo aver visionato il Gornik Zabrze, che avrebbe dovuto affrontare la Juventus in Coppa Uefa. Quell’annuncio, pur dato con molto garbo, ebbe per tutti l’effetto di una pugnalata alla schiena in quanto Scirea, punto di forza e bandiera della Juventus e della Nazionale campione del mondo del 1982, era un campione amato da tutti al di là dell’appartenenza di campanile. Una vera e propria icona di stile e di generosità come pochi altri al mondo, un campione nel campo e nella vita. “Il Gentiluomo”, insomma, come il titolo del bel libro di Darwin Pastorin a lui dedicato che esce in questi giorni a trent’anni dalla morte del campione per Giulio Perrone editore e che sarà presentato il 7 giugno a Oliena (Nuoro) in occasione della rassegna “Leggere lo Sport” e del Memorial “Ignazio Zola”.

Il libro non vuole essere una biografia in senso classico, ci tiene a precisare l’autore. Anche se chi lo leggerà scoprirà che è molto di più di una biografia: non ci sono le statistiche della carriera del libero juventino ma non mancano le pagine toccanti da cui emerge soprattutto l’uomo, l’amico. C’è la testimonianza di un legame di amicizia profondo che Darwin Pastorin ha intessuto con Gaetano Scirea sin da quando arrivò in punta di piedi a Torino nel 1974, proveniente dall’Atalanta, allora come oggi fucina di giovani campioni. Ad accompagnarlo il fratello Paolo, che dovette quasi spingerlo fuori dall’auto quando lo vide esitante e quasi intenzionato a voler tornare indietro. Ci sono i ricordi dei primi mesi vissuti a Torino, quando Gaetano si recava in pullman allo stadio e suo padre (ex operaio alla Pirelli) gli aveva consigliato di coprire col nastro adesivo la scritta Juventus sulla borsa, per discrezione, per non vantarsi mai.

Il libro cattura l’interesse del lettore anche perché ci fornisce un limpido affresco di quel periodo storico (stiamo parlando di un arco temporale che va dalla metà degli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta) in cui erano rari gli eccessi divistici che caratterizzano il calcio odierno e i calciatori non avevano ancora subito quella profonda mutazione genetica che ci fa apparire oggi il campione quasi inarrivabile, protetto dalle barriere dei procuratori e degli uffici marketing.

Altri tempi, certo. “Oggi – ci dice Pastorin – sono le società che decidono chi sono i calciatori che di volta in volta devono parlare e in molti casi anche cosa devono dire. Inoltre i campioni odierni, che arrivano a guadagnare cifre da capogiro, sono condizionati soprattutto dalle esigenze dello sponsor”. Pastorin racconta che in quegli anni l’unico filtro presente era rappresentato dalla segreteria del telefono fisso di casa. “E Scirea rispondeva a tutti: richiamava, sia che si trattasse dell’inviato del New York Times sia del ragazzo alle prime armi che scriveva per il bollettino della parrocchia. E soprattutto non si dimenticava mai di ringraziare, anche se la chiamata proveniva da qualcuno che voleva conoscere l’opinione del campione su una sfida non memorabile come quella tra Catanzaro e Sambenedettese.”

Un giovane Darwin Pastorin intervista Gaetano Scirea

“Gaetano ha incarnato per me la figura dell’Angelo calciatore” – afferma ancora l’autore. Il libro è soprattutto una lunga e accorata lettera all’amico che non c’è più. “Posso dire che in un certo senso siamo cresciuti insieme, io come giovane cronista sportivo al seguito della Juventus, lui come calciatore. È stato quel calciatore che ha saputo essere un campione nel senso più profondo del termine: mai espulso, una sola ammonizione, giocava a testa alta e sapeva fare tutto, come viene spiegato nel capitolo “Tacco, 1982”, in cui c’è il racconto della rete di Marco Tardelli del 2-0 nella finale mondiale contro la Germania che suggellò il trionfo degli “Azzurri”. Di quell’azione oggi ricordiamo soprattutto l’urlo liberatorio di Tardelli ma pochi hanno sottolineato il colpo di tacco smarcante di Scirea al limite dell’area avversaria che permise la conclusione a rete della mezz’ala azzurra: un gesto tecnico rivelatore di una classe sopraffina e degno di un calciatore universale in grado di interpretare nel migliore dei modi qualsiasi ruolo.

E a proposito di quella finale di Madrid non si può non menzionare un episodio che ci permette di capire chi era davvero Scirea: dopo la partita, mentre tutti i compagni si precipitarono in discoteca a festeggiare, nell’albergo degli azzurri rimasero solo Scirea e Zoff, che se ne stettero in camera tutta la notte a parlare delle rispettive famiglie e dei problemi di tutti i giorni, come se quella fosse stata una giornata uguale a tutte le altre.

Sono pagine dense di nostalgia, ma è una nostalgia che non è un semplice voltarsi indietro: “Sono davvero felice di aver conosciuto una persona così, un vero emblema del calcio pulito. Oggi mi piace ricordarlo anche ai più giovani affinché comprendano come sia possibile diventare campioni attraverso l’eleganza, attraverso la classe e la purezza. Oggi bisognerebbe ripensare il calcio ripartendo proprio da uomini come Gaetano Scirea. Immagino l’allenatore che arriva al campo e prima ancora di iniziare dice: ‘fermatevi tutti, adesso vi racconto chi era Gaetano Scirea. E magari con i genitori dietro. E quindi a chiedere: dopo che sapete chi era, avete ancora voglia di continuare? E ai genitori: avete capito cosa dev’essere il calcio anche ad alto livello?”

Ma non solo, ci sarebbe tanto lavoro da fare anche con le scuole, partendo proprio da modelli positivi come lui. “Per questo sono davvero felice di poter parlare sabato a scuola e per di più insieme a un’altra icona di stile e di sportività come Gianfranco Zola, verso cui ho sempre nutrito una grande ammirazione. Anche perché, forse per via delle mie origini brasiliane, ho sempre avuto una certa predilezione per i calciatori ricchi di estro e di fantasia come lui”.

Il lavoro nelle scuole non può prescindere dalla valorizzazione della letteratura sportiva: “Certo, e lo si deve fare partendo magari proprio dalle storie dei giocatori che hanno illustrato di più da un punto di vista poetico e in maniera positiva il calcio. Quando incontro i ragazzi noto con piacere che rimangono sempre molto coinvolti quando parlo di storie di calcio. Faccio sempre l’esempio di Garrincha: è un giocatore che non conoscono eppure chiedono, vogliono sapere, e così si avvicinano anche alla letteratura sportiva. Questo per me è fondamentale. È quello che vorrei fare in questi due giorni a Oliena: raccontare delle storie, che catturano ed emozionano grandi e piccoli. E attraverso queste storie arrivare a far scoprire che il calcio, come diceva Jean-Paul Sartre è davvero una metafora della vita. “

Prima di finire l’intervista Darwin Pastorin non può fare a meno di ricordare il motivo del suo forte legame per la Sardegna, nato soprattutto per via dell’amicizia con Gigi Riva, con cui ha condiviso negli anni Novanta lunghe giornate in giro per il mondo, soprattutto quando il campione del Cagliari era l’ambasciatore della nostra nazionale: “Mio figlio Santiago è diventato un grande tifoso del Cagliari soprattutto per lui: perché i nonni materni, Pietro e Grazia, di Tiana e di Teti, lo hanno cullato raccontandogli di quell’eroe in pantaloncini corti e maglietta di flanella, dal sinistro come una fionda, dalle reti impossibili.”


Note biografiche

Nato a San Paolo del Brasile, Darwin Pastorin è figlio di emigranti veronesi. Ha lavorato due anni al Guerin Sportivo e per vent’anni a Tuttosport, è stato direttore della redazione sportiva di Tele+, successivamente di Stream TV e nel settore Sport di SKY Italia. Editorialista de il Manifesto, Diario della settimana, Amica, collabora con La Stampa, Liberazione, l’Unità, Il Messaggero, Il Gazzettino di Venezia, Huffington Post e numerosi settimanali e mensili.

A La7 ha condotto, tra gli altri programmi, “Il gol sopra Berlino”, che ha seguito i Mondiali di Calcio 2006 in Germania, e “Le partite non finiscono mai”, che segue il Campionato italiano 2006/07. Dal febbraio del 2009 ha ricoperto il ruolo di direttore responsabile dell’emittente piemontese Quartarete con l’obiettivo di compiere un’operazione di restyling dell’intero canale, curando in modo particolare le trasmissioni di approfondimento, i telegiornali, e dando ampio spazio alle notizie della Juventus e del Torino, con apposite rubriche dedicate.

Oltre al libro dedicato a Gaetano Scirea ha scritto – tra gli altri – L’ultima parata di Moacyr Barbosa (Mondadori), Ode per Mané (Limina), Storie e miti dei mondiali con Gianni Minà (Cosimo Panini Editore), I portieri del sogno (Einaudi), Lettera a un giovane calciatore (Chiarelettere) e Storia d’Italia ai tempi del pallone. Dal grande Torino a Cristiano Ronaldo (CasaSirio ed.).

Sebastiano Catte, com.unica giugno 2019

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