65° Festival Puccini, Amarilli Nizza è “Turandot”, un ruolo che fa tremare i polsi
L’intervista al soprano a pochi giorni dal debutto (13 luglio)
“Amarilli Nizza, intensa voce sopranile che sa scovare sempre la giusta ed intrinseca drammaticità vocale dei suoi ruoli”: è il giudizio di un critico in evidenza sulla home page del sito del soprano. Il 13 luglio grande appuntamento al 65° Festival Puccini di Torre del Lago con “Turandot” con la direzione musicale del M° Marcello Mottadelli e la regia di Giandomenico Vaccari. Dopo altre donne pucciniane, questa è la prima volta per Amarilli Nizza nei panni della principessa che la stessa soprano definisce un personaggio davvero particolare perché “crudele, freddo, sanguinario”. Ci confessa le sue emozioni a pochi giorni dal debutto (13 luglio) e il suo privilegiato rapporto con il compositore toscano.
Ecco l’intervista.
Puccini sembra rappresentare un punto fermo nella sua carriera: negli anni come è “cresciuto/cambiato” il suo rapporto con il compositore attraverso i differenti personaggi che ha interpretato?
Puccini è stato l’autore che ha segnato gli inizi della mia carriera. La Butterfly il mio esordio assoluto sulle scene a cui poi sono seguite La Bohème e Suor Angelica. Nel giro di pochi anni, grazie al consenso del pubblico, della critica e degli addetti ai lavori mi sentivo sempre più identificata con le opere pucciniane sebbene anche Giuseppe Verdi riscuotesse grandi consensi, arrivati però qualche anno dopo perché Verdi era uno di quei compositori che incuteva in me grande timore reverenziale e cercavo all’inizio di evitarlo.
Quando ho deciso di essere coraggiosa e mi sono tuffata nella produzione verdiana, che ho tanto amato, sentivo spesso la mancanza di Puccini. Mi mancava il Suo linguaggio musicale, la sua empatia con i personaggi scritti, mi mancava il pathos e la immedesimazione che solo con Puccini riesco ad avere. All’inizio amavo Puccini in maniera istintiva. Con il passare degli anni ho preso consapevolezza di quanto unico sia questo autore e di quanta verità riesca a trasmettere in tutto ciò che scrive. La mia personalità ha bisogno di cercare verità e di esprimerla sul palco. Puccini mi consente di farlo sempre.
Mi corregga se mi sbaglio: questa al Festival Pucciniano sarà la sua prima “Turandot” nel ruolo di Turandot, un personaggio nell’immaginario collettivo anche di chi non è melomane. Vestirne i panni, cantarne la storia rappresenta per Lei una responsabilità particolare?
Turandot è uno di quei ruoli che fanno tremare i polsi. Innanzitutto la tessitura vocale è estrema, impervia, tagliente. Poi il personaggio è crudele, freddo, sanguinario. Caratteristiche che non riscuotono certo i favori del pubblico che immancabilmente fa il tifo per Liù, dolce, buona, coraggiosa.
Turandot è arroccata nel potere, nella sua arroganza data da una condizione di privilegio, ricchezza e nobiltà, è prepotente, vile, ingiusta. Insomma non è semplice trasferire tutto questo al pubblico e se lo si trasferisce si diventa odiosa per chi ascolta. Ho portato in scena numerose volte sia Lady Macbeth che Abigaille, due personaggi negativi ma che hanno coerenza drammaturgica. Nel caso di Turandot la coerenza manca e il suo improvviso amore per Calaf non è ben comprensibile da quali ragioni sia mosso.
Con il regista Giandomenico Vaccari su che cosa state specialmente lavorando? Che “Turandot” sarà la vostra?
Con il regista Vaccari abbiamo lavorato molto proprio sulla motivazione che spinge Turandot nel finale di Alfano nelle braccia di Calaf e la abbiamo messa bene in evidenza del primo atto dove lei non canta ma appare in scena e sarà in qualche modo folgorata da Calaf.
Abbiamo anche molto sottolineato certe sfumature di debolezza che appartengono alla principessa, dei piccoli cedimenti, delle piccole ombre che la pervadono nell’incontro con Liù (ad esempio), così come degli scambi di intesa con Ping, suo fidato, e con l’angelo della morte (un personaggio creato ad hoc proprio da Vaccari).
C’è un’aria, un’opera che potrebbe sintetizzare l’importanza che l’opera ha nella sua vita?
L’aria che più mi rappresenta è “Vissi d’Arte”. Più per il testo che per altro. Ho dedicato tutta la mia esistenza all’arte del canto lirico e della famiglia (un marito e due meravigliosi figli). Talvolta mi chiedo, di fronte a ingiustizie subite, perché io le stia subendo dal momento che non ho mai fatto male ad anima viva … ovviamente le subiamo tutti nella nostra esistenza ma credo che l’aria di Tosca ben sintetizzi tanti pensieri che possono affliggerci.
Ogni volta che entra in scena, per una prima ma non solo, fa qualche atto scaramantico, una preghiera o semplicemente una raccomandazione a se stessa?
Sì, qualche piccola preghiera parte dal cuore ogni volta. Ho tanti cari non più su questa terra che mi proteggono da lassù, di questo sono convinta.
Andando a ritroso, come vede la Amarilli Nizza degli esordi? c’è qualche elemento o tappa che cambierebbe nel suo percorso?
Non vivo di rimpianti e difficilmente mi guardo indietro. Anzi, se mi volto dico: accidenti! Ma ho davvero fatto tutte queste cose?
Al di là delle vicende, ritrova qualcosa di sé nelle donne pucciniane che ha impersonato?
Trovo tutto di me nelle donne di Puccini ed è per questo che le amo perdutamente. In me c’è un po’ di ognuna e non è difficile lasciarsi trasportare da loro sul palco perché sono così vere, così umane, così forti, così fragili così credibili. In una parola: così DONNE!
Giovanni Zambito, com.unica 6 luglio 2019