Alleviamo i nostri figli con dati e intelligenza artificiale
Intervista al professore israeliano Mooly Eden, uno dei massimi esperti mondiali di innovazione (da La Stampa)
Il messaggio è chiaro. «Dobbiamo preparare i bambini di oggi per lavori che al momento non esistono: risolveranno problemi che si presenteranno domani grazie a tecnologie che devono ancora essere inventate». Sulle alture del Carmelo, a due passi dall’università di Haifa di cui presiede il consiglio di amministrazione, da una terrazza che affaccia sul mare, lo sguardo di Mooly Eden spazia dal mare al futuro. Nel suo medagliere ci sono i riconoscimenti di Fast Company, che l’ha annoverato tra le persone più creative al mondo e di «Forbes», che lo considera tra le menti tecnologiche più brillanti a livello globale.
Nella vita personale ha una «moglie 1.0» (definizione un po’ «nerd», ma affettuosa per vantarsi di un matrimonio duraturo) e tre figli. Nella sua carriera – 33 anni – in Intel, culminata con la presidenza della filiale israeliana, è stato padre del processore Pentium Mmx, il primo dal valore multimiliardario mai concepito in Israele, e della tecnologia «Centrino», che ha dato il via alla rivoluzione delle comunicazioni mobili.
E allora che cosa rende una persona capace di produrre innovazione?
«Certe persone nascono con un quoziente intellettivo più alto, ma chiunque ha bisogno di un mix di opportunità, fortuna e capacità per trarre beneficio delle situazioni favorevoli. La società in cui si vive è un altro elemento. In Israele è consentito mettere tutto in discussione, ma in India, dove il rispetto della gerarchia è sacro, non puoi permetterti di contraddire un superiore. In Israele, invece, se non hai almeno un insuccesso nel curriculum significa che non hai rischiato abbastanza. Nel mondo arabo il fallimento è inaccettabile».
Nei suoi interventi, come al festival per l’imprenditoria innovativa «SilicoNegev» a Be’er Sheva, esprime apprensione per l’immobilità dell’istruzione. Come si rimedia?
«La tecnologia sta avanzando esponenzialmente e cambia ogni aspetto della nostra vita, dalla geopolitica all’economia. Cos’è stata la primavera araba, una rivoluzione sociale o tecnologica? Il povero Mohamed Bouazizi, in Tunisia, protesta contro il sequestro della propria merce da parte della polizia e si dà fuoco. Qual è la differenza con gli altri gesti di dissenso estremo prima di lui? Facebook e Twitter, che hanno amplificato e innescato una rivoluzione in tutto il Medio Oriente. E parliamo di politica?».
Un emblema, secondo lei, è Donald Trump: è così?
«Dato che nessuno considerava Trump nemmeno come caricatura, oggi, checché se ne dica, è il Presidente della più grande nazione al mondo. Per capire come ha fatto basta seguire il suo profilo Twitter e il modo in cui riesce a bypassare i media. Quanto alle molestie alle donne, sono forse un fenomeno nuovo? Certo che no, ma nel momento in cui inizi a usare la tecnologia è subito #MeToo! E quali aziende forniscono rispettivamente il maggior numero di taxi e di stanze in affitto al mondo? Uber e Airbnb. Eppure la prima non è una compagnia di taxi e la seconda non è una catena alberghiera. Entrambe sono realtà puramente hi-tech che hanno rivoluzionato l’economia. Se c’è un settore in cui siamo rimasti al Medio Evo, invece, è l’istruzione».
Come immagina la scuola del futuro?
«Non ho idea di come sarà la nostra vita tra 20 anni, ma quello che so è che ciò che i bambini imparano oggi, a scuola, domani non sarà rilevante. Nasciamo innovatori, ma i nostri genitori e il sistema scolastico uccidono questo istinto. A un anno un bambino è curioso e chiede continuamente “Cos’è?”. A tre anni vuole capire e chiede “Perché?”. Poi a 10 anni inizia a chiedere agli adulti “Come si fa?”. Da un lato ci sono i genitori che insegnano ai bambini a colorare dentro i margini. Dall’altro la scuola insegna a scrivere come nel Medio Evo, con le lettere entro le righe. Non si può insegnare a un bambino a restare in un recinto e aspettarsi che da adulto pensi fuori dagli schemi».
Ma qual è la strada possibile di una rivoluzione?
«Con la scienza dei dati, che inizia dalla statistica e arriva all’Intelligenza Artificiale. Oggi possiamo personalizzare tutto, dalla pubblicità online alla medicina, dalle assicurazioni ai servizi bancari. Perché non possiamo ambire anche a un’istruzione personalizzata? Ogni bambino si sviluppa in modo diverso, dal parlare al camminare. Invece a scuola si pretende che siano tutti allineati».
Lei che cosa insegna ai nipoti per fare la differenza?
«Con i miei figli ho agito d’istinto e direi che ho fatto un buon lavoro. Uno di loro, Eran, è molto più innovativo di me. In questi giorni è in Cina, dove la sua start-up MeMed riceverà un riconoscimento come una delle aziende più avanzate al mondo. Oggi con i miei nipoti agisco intenzionalmente. Cerco di insegnare loro l’arte di imparare».
Fabiana Magrì, La Stampa 17 luglio 2019