La guerra delle petroliere nel Golfo
I Guardiani della rivoluzione iraniana hanno annunciato ieri sera il sequestro di una petroliera britannica, la Stena Impero, nello Stretto di Hormuz, per “violazione delle norme marittime internazionali”. Controllato, ma poi rilasciato, un altro cargo del Regno Unito. L’atto potrebbe essere una ritorsione nel giorno in cui Gibilterra annuncia il fermo per un mese della nave iraniana Grace 1, intercettata dalla Marina britannica lo scorso 4 luglio e sospettata di trasportare greggio iraniano verso la Siria in violazione delle sanzioni europee a Damasco (Guardian).
Il ministero degli Esteri inglese, Jeremy Hunt, chiede l’immediato rilascio della nave pena “conseguenze” (Reuters). Il presidente Usa Donald Trump avverte Teheran di “non fare nulla di stupido”, altrimenti “pagherà un prezzo che nessun altro ha mai pagato” e rinforza lo schieramento militare in Arabia Saudita per “fare fronte a minacce concrete e credibili” (Reuters). Intanto l’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad in un’intervista telefonica al New York Times apre al dialogo e dice: “È il momento di risolvere 40 anni di animosità con gli Usa parlando direttamente con Donald Trump”.
Perché accelera l’orologio dei pasdaran, si chiede oggi il Corriere. In questi mesi il primo ministro Benjamin Netanyahu sembra aver moderato – almeno in pubblico – la sua retorica contro gli ayatollah iraniani: da protagonista e volto delle strategie per contenere quello che considera l’offensiva della Repubblica islamica, è diventato quasi un osservatore delle tensioni attorno allo Stretto di Hormuz. I suoi consiglieri e lo Stato Maggiore temono però che la crisi – assieme al rialzo dei prezzi del petrolio – si stia sviluppando troppo lentamente, almeno secondo l’orologio dei Pasdaran iraniani. Che hanno bisogno di riportare gli Stati Uniti al tavolo dei negoziati. In fretta.
com.unica, 20 luglio 2019