Il grande vecchio e Francesco Lenoci
Il tour in Italia d’un infaticabile promoter delle eccellenze pugliesi
MILANO – Il grande vecchio non è un vegliardo dal volto incartapecorito che nei paesi del Sud si sedeva su un muretto o sul basamento di una statua o su una panchina e regalava ai giovani scampoli della sua esperienza. È un ulivo secolare, saraceno, dalla sagoma barocca, superba, maestosa, con il tronco aggrovigliato e l’ampia chioma ad ombrello. Troneggia con altri 800 esemplari nella masseria Brancati di Ostuni, dove il professor Francesco Lenoci il 24 agosto ha tenuto una conferenza sul tema “Olio olio olio”.
Quel parlatore instancabile, che è appunto Lenoci – docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – che va scoprendo valori veri durante i suoi “tour” da un capo all’altro dello Stivale, così appassionato da trascorrere anche l’estate non al mare o in montagna, bensì saltando da un’architettura rurale a Matera, al Castello Aragonese; a Cellino San Marco, nella tenuta di Al Bano, a parlare di vino, di ceramica, di olio… Pochi giorni fa era nel complesso di via Sparta Cavalluzzo, di Silvia Caramia, a celebrare davanti a un pubblico interessato e attento anche quella sostanza che ogni giorno condisce e delizia i nostri piatti, appunto l’olio di oliva, ricorrendo, a volte, anche alla favola per chiarire un concetto o per dare al discorso un tocco di poesia.
Parla e dialoga con i presenti, fa loro domande, ottiene risposte corali. In una delle sue “lezioni” ha recitato il dialogo tra il giornalista Fabrizio Mangoni e una bottiglia di vetro trasparente su cui è evidenziato un ramo d’olivo: “Signora bottiglia, se le ricorda le olive?”. “Certo che le ricordo bene! Porto ancora nel cuore l’odore della campagna, il sole e il vento che muoveva i rami e ho ben presente mio nonno: l’ulivo forte e rispettato. Non posso dimenticare l’affetto di mia madre: l’oliva. Quante attenzioni per proteggerla, per difenderla fino a settembre, al momento della raccolta. Ricordo le lunghe braccia d’acciaio che scuotono i rami e mani ruvide stranamente delicate. Ho ancora nelle orecchie voci di donne e uomini che sono lì a realizzare speranze…”. Alla fine chiede alla bottiglia di rivelare la definizione che dà di sé il suo olio. “Sono sfuggente e cangiante… viaggio nel cuore degli uomini… raggiungo la loro mente… frequento i pensieri, vivo tra le emozioni. Pensi che di me parlò Omero. Non voglio apparire presuntuoso, ma con gli uomini io ho attraversato la storia”. Era infatti vivo e vegeto ai tempi di Gesù e ancora prima.
Il dialogo e la passione con cui Lenoci lo ha riproposto risvegliando ricordi di frantoi, centrifughe, profumi, il mondo contadino, le sue sofferenze, le sue fatiche, a volte commuove. Spesso si versa l’olio sulla minestra senza pensare al suo percorso fra la pianta e la tavola. Dalla masseria di Ostuni a Matera per lui il passo è stato breve. E nella capitale della cultura 2019 ha tenuto una delle sue conferenze più coinvolgenti sulle bellezze del luogo, sulla sua storia, sulle attività artigianali, sui Sassi, che poi abbiamo ritrovato nelle foto scattate da un maestro dell’obiettivo, un artista dell’immagine: Cataldo Albano, che le espone nella galleria meridionale del Castello Aragonese di Taranto. L’inaugurazione si è svolta il 26 agosto, poche ore dopo la notizia che la città dei due mari a Patrasso era stata scelta come sede dei Giochi del Mediterraneo del 2026.
L’appuntamento era per le 20, ma i primi invitati sono arrivati mezz’ora prima, assediando Lenoci con quesiti su questo e quell’argomento. C’era chi lo interrogava sui Giochi e chi gli chiedeva della sua imminente prolusione nella tenuta di Al Bano, il grande cantante pugliese che con la sua voce scatena le platee. Lui riferiva anche su quella del 23 giugno a Matera in quel meraviglioso ipogeo che risponde al nome di Lopa, dove ha anche citato quell’attrezzo munito di rampino che serviva a recuperare il secchio caduto nel pozzo (“a Martina ce n’erano tanti, in città e in campagna, e il ‘curcele’, la lopa, il rapino sempre a portata di mano). Non perde occasione per rispolverare anche i suoi ricordi: il pane che faceva in casa sua madre e i sacri riti che accompagnavano l’alimento sulla tavola.
Il ceramista Cosimo Vestita gli ha mostrato in anteprima un gallo in terracotta, un dono per l’ammiraglio Salvatore Vitiello, comandante della Marina Militare per il Sud Italia. Silvia Brambilla, titolare del Bed & Breakfast di via Sparta Cavalluzzo a Martina Franca, accennava ad alcuni amici l’intervento del docente nella sua proprietà il 2 agosto. Mentre Cataldo Albano schizzava di qua e di là per dare gli ultimi ritocchi all’allestimento, i posti si riempivano. “Momento, devo controllare il microfono”, diceva a chi tentava di bloccarlo per sollecitargli un’informazione. Qualcuno sfogliava l’elegante catalogo della mostra collocato su un tavolino e ne elencava le doti.
Ed ecco l’ammiraglio Vitiello nella sua divisa bianca attraversare la sala, avvicinarsi al microfono, salutare i convenuti. Tra lui e Cataldo Albano c’è stato uno scambio di doni (anche il gallo dai colori vivaci), sotto l’occhio magico della televisione. L’alto ufficiale ha preso quindi la parola, spiegando l’attività che si dipana nel maniero, elogiando l’artista e le sue opere. È toccato poi ad Albano, che ha descritto i suoi quattro giorni a Matera per riprendere chiese, case-grotta, vicoli, scalinate, scalpellini, mani impegnate in lavori in legno, di cartapesta, nella confezione di fischietti o nella lavorazione del pane, il famoso pane di Matera, al quale ha accennato anche Francesco Lenoci, in questa e in altre occasioni, a Laterza e ad Altamura.
Poi Cosimo Vestita ha esibito un vaso dal quale nell’antica Grecia si beveva il vino, ha elogiato anche lui i “quadri” esposti, che danno emozioni, coinvolgono l’osservatore, fanno vivere la città, la fanno subito amare. Albano ha colto i dettagli, puntato l’obiettivo su un campanile, su un agglomerato di case, su un monumento, su una stradina attraversata da una fanciulla in fiore con passo da modella, e lo ha fatto con grande slancio. Bisognerebbe vederlo al lavoro: esplora il contesto, si acquatta per catturare la luce giusta. Artista pellegrino, riesce a sorprendere ovunque angoli insospettati. E’, come Lenoci, un paladino della bellezza. Anche per lui la bellezza salverà il mondo. E’ soltanto una speranza? Allora organizziamo la speranza, come esorta il docente, che alla Cattolica insegna metodologie e determinazioni quantitative d’azienda nell’innovativo Corso di laurea Blended “Direzione e Consulenza Aziendale DECA, e viene definito “il miglior ambasciatore della Puglia a Milano”. A giudicare dal suo dinamismo, dai suoi viaggi, non soltanto nel capoluogo lombardo.
Matera è nel cuore di entrambi. La Matera in cui iniziò la sua carriera di professore di latino e greco Giovanni Pascoli, il 7 ottobre del 1882 e dove, nel vecchio carcere, con un’accusa infondata, dalla quale venne assolto con formula piena, trascorse un periodo di tempo Rocco Scotellaro, scrittore, poeta e uomo politico (si ricordano “L’uva puttanella”, “E’ fatto giorno”, l’inchiesta sui contadini del Sud…). La Matera in cui furono girati tanti film: “La Lupa” di Alberto Lattuada, nel ’53; “La passione di Cristo”, di Mel Gibson, nel 2004; “Il Vangelo secondo Matteo”, di Pier Paolo Pasolini, nel ’64; “Volare come il vento”, di Matteo Rovere, nel 2016; nella vicina Craco, il paese disabitato per una frana, “Cristo si è fermato ad Eboli,” di Francesco Rosi con Gian Maria Volonté… E la Matera dei poeti: per Angela Aniello Materia è “divina, ridono i Sassi come voci stanche di contadini/ sublime bellezza il malinconico profilo dei sensuali abbracci in un presepe di cuori, vissuti, sentiti…”.
Quando è venuto il suo turno Mariella Cuoccio, di Bitonto, in provincia di Bari, ha letto pagine di Carlo Levi, che a Matera scontò il confino e ha citato Guido Piovene che nel suo “Viaggio in Italia” si è soffermato anche su questa splendida città. Ha quindi recitato alcuni suoi versi: “Sola nel mio cuore/ mi interrogo, mi accarezzo/ piango, sorrido/ solo alla fine capisco che ho Matera ‘dentro’”. Peccato che lo spazio c’impedisca di ricordare gli altri poeti che alla città della cultura si sono ispirati.
La serata si è conclusa con un assaggio di Aglianico del Vulture e fette di pane di Matera con gocce d’olio. Il pubblico sembrava non avere voglia di rientrare a casa. Ha dato un altro sguardo alle foto di Cataldo Albano e alla piazza d’armi del Castello. Fuori, la facciata del municipio era tutta illuminata, una fila di gente percorreva la ringhiera affacciata sul Mar Grande, che accoglieva balli di stelle palpitanti. Il dottor Enzo Rocca, vicedirettore del Credito Valtellinese, che prima del “vernissage” aveva fatto un giro per il borgo vecchio, puntando l’obiettivo della sua macchina fotografica sul Mar Piccolo e i pescherecci che lì sono all’ormeggio, ha invitato sulla propria auto Lenoci, già pronto per Verona e Milano, dove quest’evento verrà replicato. Noi siamo rimasti ad osservare la ringhiera e il bus, i cui fanali sembravano occhi che perforavano il buio. E pensavano alla poesia di Sante Ancona, appena letta da Lenoci: “È bello ritornare laddove siamo nati/ … bello portare in patria/ un seme che germogli e si moltiplichi… “. Bella Taranto, “capitale del mare… quelle onde se le cuce addosso”.
Franco Presicci, com.unica 29 agosto 2019