Una vita per gli altri: Umberto Postiglione
In un libro la vicenda umana d’un anarchico abruzzese tra Stati Uniti, sud America e il suo Abruzzo
Sono pochi gli uomini che si spendono per gli altri. Eccezioni. Ma sono le eccezioni che aiutano a credere negli uomini. E per convincersi che l’umanità non è proprio quella “massa damnata” di cui parlava Sant’Agostino, riferendosi alla colpa del peccato originale e della cacciata dal paradiso terrestre. Una interpretazione fallace, che ha segnato secoli e millenni di storia occidentale. Ma quando si incontrano uomini che si offrono nel far del bene agli altri si capisce che l’uomo non è sempre “lupo all’altro”, ma ci sono coloro che si spendono per gli altri. E di esempi non mancano nelle pagine di storia. E se la storia è l’uomo, come hanno sostenuto gli storici più aperti dell’ultimo secolo, l’uomo è la storia e la fa secondo la sua natura. L’uomo buono farà la storia buona, mentre l’uomo malvagio fa la storia malvagia. Il bisogno di conoscere, di sapere se nel tempo ci sono stati uomini buoni è insito nell’uomo. Per questo la Chiesa Cattolica, nella sua storia, ha sempre presentato all’attenzione dei fedeli e alla venerazione persone, uomini e donne, dichiarandoli “santi”.
Umberto Postiglione non è stato dichiarato santo, anche se morendo, alla giovane età di 31 anni, il 24 marzo 1924, dice: “Avrei voluto vivere di più, per avvicinarmi maggiormente al Cristo del Vangelo”. Non era credente né praticante, ma essenzialmente anarchico, Nella vita e nel pensiero. Nato a Raiano, in Abruzzo, il 25 aprile 1893, frequenta la scuola elementare, la scuola tecnica e consegue il diploma di ragioniere a L’Aquila. All’età di 17 anni decide di emigrare negli Stati Uniti, partendo il 3 ottobre 1910. L’8 ottobre si imbarca dal porto francese di Le Havre e sbarca a New York il 18 ottobre. Uno dei venti milioni di immigrati negli Stati Uniti, tra il 1870 e il 1930.
Tra loro numerosi italiani, come racconta Edoardo Corsi, abruzzese di Capestrano, nel libro “Storia dell’emigrazione” o Giuseppe Prezzolini nei “Trapiantati”. Soprattutto tra gli abruzzesi, vi furono vari testimoni che raccontarono le loro esperienze di emigranti. In particolare Pascal D’Angelo, nato a Cauze, una frazione di Introdacqua, il 21 gennaio 1894 e sbarcato in America col padre il 20 aprile 1910. Anche lui sedicenne. Scriverà uno dei libri più interessanti e avvincenti, “Son of Italy”, sulla sua vita da “poeta del piccone e della pala”.
Francesco Durante, americanista e traduttore di John Fante, disgraziatamente scomparso di recente mentre lavorava alla pubblicazione presso le edizioni Carabba di Lanciano del libro “Camillo & Son”, intendeva proseguire il lancio di quella “bomba atomica” nel campo degli studi italo-americani, come ha sostenuto Robert Viscusi, presidente dell’associazione degli scrittori italo-americani. Un “cantiere aperto”, lo definiva lo stesso Durante, perché si trattava del “più rilevante fatto di tutta la nostra storia”, la storia di personaggi abruzzesi, anarchici e sfortunati, come Carlo Tresca, Umberto Postiglione, Virgilia D’Andrea e tanti altri.
Enrico Deaglio, nel libro appena uscito da Sellerio, dal titolo “La zia Irene e l’anarchico Tresca” ha cercato di descrivere, con spirito di grande attualità, la realtà americana del secolo scorso, tra i nodi inscindibili delle mafie e le manovre politiche comuniste e fasciste che provocarono l’assassinio di Tresca, l’11 gennaio 1943. Dalle testimonianze di vita dei protagonisti sembra emergere una certa “abruzzesità”, come “lo stigma di un popolo che non entrò mai nei libri paga della mafia” (Giacomo D’Angelo).
La linea anarchica è quella che caratterizza la persona e l’opera di Umberto Postiglione. Ideologia ed esperienza presentate nel libro di Edoardo Puglielli, “L’autoeducazione del maestro – Vita di Umberto Postiglione”, nella collana di studi storici dell’Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea (D’Abruzzo, edizioni Menabò). Una panoramica storica estremamente vasta, articolata, minuziosa, con l’acribia di uno storico, attento ai numerosi documenti d’archivio e alle varie biografie, edite e inedite, del personaggio. Ne risulta un lavoro che coglie meravigliosamente l’uomo Postiglione, la sua fede politica, la sua azione di elevazione sociale, la sua dedizione alla lotta dei lavoratori per ottenere un salario dignitoso o per migliorare le condizioni d’un lavoro da schiavi.
Postiglione è stato una voce che gridava da ogni “pulpito”, alto o basso, per informare e stimolare gli ascoltatori ad aderire alle sue idee. Idee fondate sulla verità e sul benessere di tutti. Parlava in maniera sincera, emozionante. Il parlare franco, come la parresia degli antichi greci. Nella sua opera “Scritti sociali”, alla presentazione Venanzio Vallera scrive: “Postiglione possedeva una carica di vitalità al servizio dei lavoratori tutti, particolarmente di quelli emigrati per modificare, meglio per sovvertire il sistema di ingiustizia, di sfruttamento e di ignoranza cui erano costretti”. È presente nei più importanti scioperi realizzati nelle varie città americane: un elenco numerosissimo di città e un numero altrettanto numeroso di ascoltatori da raggiungere, migliaia e migliaia. Scrive su numerosi giornali e su riviste di stampo anarchico. La più famosa, “Cronaca sovversiva”. Durante la prima guerra mondiale, la rivista si schierò contro il ritorno degli italiani. Su 400.000 italiani che avrebbero dovuto rimpatriare, ne ripartirono 65.000. Circa il 15%. Il periodo della prima guerra mondiale fu il più critico e reazionario, a causa delle leggi contro i disertori. Numericamente la stragrande maggioranza optò per la diserzione, ma si rispose con la costrizione ad abbandonare gli Stati Uniti.
Umberto Postiglione lasciò gli Stati Uniti, dirigendosi prima in Messico e poi in varie nazioni del Sud America. Si reca in Bolivia, Paraguay, Uruguay. Poi in Nicaragua e Costa Rica, dove stabilisce una grande amicizia con un abruzzese, Ettore De Benedictis. Si avvicina e approfondisce la filosofia di Emerson. Il 7 ottobre 1919 torna in Italia. Era rimasto in America, tra Nord e Sud, nove anni. Un tempo che lo aveva segnato come emigrante e come combattente per una società a misura d’uomo. Di animo estremamente sensibile, stabilisce piena coerenza tra sentimento e ideologia, tra poesia ed esistenza. Tornato in Italia fu subito costretto a prestare il servizio militare. Venne congedato il 1ᵒ aprile 1921.
La volontà di contribuire alla elevazione sociale e culturale del popolo resta il suo obiettivo, la sua missione. Era il tema della “coscientizzazione” delineato da Paulo Freire. Propone una “casa del popolo” a Raiano. Partecipa al primo concorso magistrale in Abruzzo e lo supera ottimamente. Ha la fortuna di incontrare un bravo provveditore agli studi, Giovanni Ferretti, giudicato da Piero Calamandrei come “il più giovane provveditore d’Italia”. Scriverà parole di stima e di ammirazione nei confronti di Postiglione, al quale ebbe l’onore di assegnare la prima classe della scuola elementare di San Demetrio nei Vestini, in provincia dell’Aquila. Scriveva poesie in dialetto raianese, apprezzate e recitate dai raianesi.
Nei primi giorni di marzo del 1924, da Rocca di Mezzo, sommersa dalla neve, dove si trovava con alcuni amici, cerca di tornare a piedi a L’Aquila. Nei giorni successivi partecipa ad una riunione di insegnanti a Barisciano e cerca di tornare a San Demetrio, nonostante un vento freddissimo. Giunto a casa, avverte i sintomi della polmonite, che in pochi giorni, il 28 marzo 1924, lo condurrà alla morte. In un brano, dal titolo “L’Abruzzo Nostro”, termina con queste parole: “Quando fatto grande, tornando di lontano, dalle vie del mondo, tu ti riavvicinerai a questa tua terra e vedrai apparire la Maiella, come un altare tagliato nell’azzurro, ornato a festa con le sue frange e con i suoi merletti di neve scintillanti al sole, ti sentirai battere il cuore e inumidire gli occhi, come se la voce del sangue ti chiamasse. E ti parrà di vedere tua madre”.
Mario Setta, com.unica 12 settembre 2019