È finito il primato degli azionisti?
I nuovi modelli di governance aziendale per affrontare le sfide sempre più complesse dell’economia mondiale. L’analisi del premio Nobel per l’Economia Michael Spence
Nel corso di questo mese la Business Roundtable, il gruppo degli Amministratori delegati delle corporazioni più grandi e potenti dell’America, ha formalmente abbandonato la visione secondo cui l’ottimizzazione del valore degli azionisti dovrebbe essere l’obiettivo principale delle aziende. La principale conseguenza è che gli azionisti non avranno più la precedenza su altre parti interessate, tra cui clienti, dipendenti, fornitori e le comunità in cui queste società operano. Nella dichiarazione in cui viene spiegata questa mossa, l’organizzazione ha citato la necessità di garantire degli stipendi equi, maggiori benefit e investire nella formazione per aiutare i dipendenti a districarsi in un’economia in continuo cambiamento.
È da diverso tempo che la governance aziendale si è mossa in questa direzione grazie ad una crescente consapevolezza della necessità dell’impegno del settore privato per affrontare le sfide più complesse della società. Questo consenso emergente è essenziale per conciliare il modello che prevede un approccio rivolto a tutte le parti interessate e gli interessi finanziari di lungo termine degli investitori aziendali.
Una simile evoluzione si è già verificata con il settore della gestione patrimoniale. La percentuale di investitori che hanno aderito ai criteri “ambientali, sociali e di governance” è infatti aumentata negli ultimi anni e diverse aziende leader del settore hanno indicato la via da percorrere.
Questo trend pone tuttavia una questione, ovvero se gli azionisti che hanno un interesse esclusivamente finanziario avranno ancora il sopravvento. Molto dipenderà dal numero di azionisti, dai beni che controllano e dai loro orizzonti temporali. Tuttavia è evidente che il sostegno da parte degli investitori a lungo termine, come i fondi pensionistici, e altri investitori che gestiscono importanti aggregati di attività ha aiutato a spostare l’ago della bilancia verso i criteri ambientali, sociali e di governance.
Ad ogni modo, l’obiettivo del modello di approccio rivolto a tutte le parti interessate non è quello di rendere gli investitori e i consigli d’amministrazione aziendali passivi o disinteressati. Non ritorneremo all’era del “capitalismo manageriale”, ovvero il modello di governance aziendale che ha preceduto l’arrivo della figura dell’investitore attivista e del principio del primato degli azionisti. Ma d’altra parte, non dobbiamo neanche interpretare l’annuncio della Business Roundtable solo come un piccolo passo positivo in avanti in un trend più a lungo termine. Si tratta infatti di molto di più di questo.
Inanzitutto, l’annuncio di questo mese della Business Roundtable è un chiaro segnale dell’intenzione degli Amministratori delegati americani di voler cambiare non solo la governance aziendale, ma anche il ruolo delle aziende all’interno della società. Questo gruppo stabilisce infatti dei nuovi limiti per la ricerca di rendimenti sul capitale, ovvero limiti volti a proteggere i cittadini (dipendenti, clienti male informati, fornitori e generazioni future) che spesso non hanno alcun potere di mercato per proteggersi. Aspetto ancor più importante, questa mossa giunge in un momento in cui la disuguaglianza in termini di ricchezza sta aumentando e la proprietà di beni finanziari sta diventando sempre più concentrata nelle mani di pochi.
Ma un aspetto ancor più interessante di questo spostamento verso una governance aziendale socialmente consapevole è che apre le porte a nuovi modelli aziendali creativi. Alcune delle aziende più notevoli a livello mondiale (in termini di rendimento per gli investitori) stanno creando dei modelli di business utili per risolvere sfide economiche e sociali. Prendiamo in considerazione il gigante cinese dell’e-commerce Alibaba. Fondato con l’obiettivo di espandere l’accesso al mercato per le piccole e medie imprese, quest’azienda e la sua affiliata, Ant Financial, continuano a essere impegnate in questa missione. Un numero crescente di prove evidenti in Cina e in altri paesi suggeriscono che degli ecosistemi vibranti dell’e-commerce e del fintech, simili a quelli creati da Alibaba, possono dare un contributo importante alla crescita inclusiva.
All’inizio di questo mese, prima dell’annuncio della Business Roundtable, il conglomerato indiano della Reliance Industries Limited ha tenuto il suo incontro annuale a Mumbai durante il quale il suo presidente, Mukesh Ambani, ha fatto un discorso sensazionale. Dopo aver evidenziato che il valore della creazione per le aziende oggi dipende dalla partnership con le aziende indiane, alla stessa stregua delle multinazionali come Microsoft (per le offerte nel settore del cloud computing), Ambani ha poi identificato le parti interessate della Reliance nell’“economia indiana, nei cittadini indiani, nei suoi clienti, nei suoi dipendenti e nei suoi azionisti.” Non c’è una dichiarazione più efficace in grado di spiegare il modello di approccio rivolto a tutte le parti interessate.
Un elemento essenziale della strategia della Reliance è la sua affiliata Jio che ha iniziato a vendere gli smartphone ad un prezzo accessibile nel 2016 con l’obiettivo di connettere tutte le persone in India. Secondo Ambani, la Jio ha più di 40 milioni di utenti e ogni mese ne acquisisce dieci milioni. In altre parole, un’azienda fondata con una missione sociale meno di tre anni fa è già l’operatore più grande di smartphone in India e il secondo operatore più grande all’interno di un singolo paese a livello mondiale.
Inoltre, con l’uso del programma indiano di identificazione biometrica (Aadhaar), la Jio sembra aver contribuito in modo significativo alla connettività digitale a beneficio di un’ampia gamma di cittadini indiani comprese le persone più povere che prima non avevano conti correnti bancari o accesso al credito. Inoltre, con la sua crescita, la Jio sarà in grado di sviluppare una serie di altri servizi importanti per le piccole imprese e per milioni di imprenditori che rafforzeranno l’impatto positivo che l’azienda sta già avendo sulla crescita inclusiva.
Le tecnologie digitali tendono ad avere dei costi iniziali fissi elevati, che sono tuttavia bassi in relazione ai costi variabili trascurabili. Una volta fondata, un’azienda come Alibaba o Jio può quindi fornire una piattaforma per altri innumerevoli modelli di business costruiti intorno a obiettivi sociali. E quest’effetto è particolarmente significativo nei mercati potenzialmente grandi come la Cina, l’India, l’Indonesia, il Brasile e gli Stati Uniti.
La recente dichiarazione della Business Roundtable rappresenta un importante passo avanti per il modello di approccio rivolto a tutte le parti interessate. L’esempio dato dai leader di azienda è importante e non è un caso che alcune delle aziende oggi maggiormente di successo a livello globale sono state specificatamente concepite e create sulla base dei valori delle parti interessate.
Ma è importante usare cautela. Anche se la transizione verso un modello di approccio rivolto a tutte le parti interessate è necessaria per progredire verso altri obiettivi sociali, non è comunque sufficiente. Le corporazioni da sole non possono risolvere i problemi globali più urgenti e avranno pertanto bisogno del sostegno dei governi che hanno la responsabilità di creare lo spazio e fornire gli strumenti adeguati affinché le aziende con un approccio rivolto a tutte le parti interessate possano ottimizzare il loro impatto sociale positivo.
Michael Spence – Project-Syndicate settembre 2019
* Michael Spence è un economista statunitense, insignito del Premio Nobel per l’economia nel 2001 insieme a Joseph E. Stiglitz e George A. Akerlof per le loro analisi dei mercati con informazione asimmetrica. Oggi insegna alla New York University.