L’antisemitismo in Polonia
Con la crescita degli estremisti di destra ritorna l’antico spettro dell’odio razziale. L’analisi su un fenomeno che mette in allarme l’Unione Europea (da La Stampa)
Nel marzo di quest’anno si è sfiorato un incidente diplomatico tra Parigi e Varsavia in occasione di un convegno dedicato alla «nuova scuola storica polacca della storia della Shoah», tenutosi nella capitale francese. Il ministro dell’Insegnamento superiore si è rivolto al suo omologo polacco chiedendo spiegazioni circa gli interventi organizzati di disturbo, con affermazioni antisemite, dei militanti del settimanale filogovernativo Gazeta Polska e le ingerenze dell’Istituto nazionale per la memoria, sostenute dalla stessa Ambasciata polacca.
Cosa sta accadendo in Polonia? Due ragazzi che lavorano nei pressi della Vecchia Sinagoga, sulla piazza dell’antico quartiere ebraico di Kazimierz, a Cracovia, non sanno cosa sia quel grande edificio, del quindicesimo secolo, devastato dai nazisti, restaurato e ora parte del sistema museale della città. Davanti a «Stara synagoga» un cubo di pietra commemora qualcosa, in polacco. Forse qualcuno ha creduto che ricordasse gli abitanti deportati, perché infilata in un vaso c’è una bandiera di Israele. In realtà ricorda 30 polacchi uccisi per rappresaglia, nell’ottobre del 1943. All’epoca gli ebrei di Kazimierz non erano più lì, anzi, la maggior parte di loro non era più e basta. Li ricorda una stele al centro della piazza, della Nissembaum Foundation. Poi ristoranti ebraici, musicisti che alternano musica klezmer alle arie di Schindler’s list. Un clima un po’ per turisti, ma anche reali testimonianze di un passato e di una sopravvivenza, come la sinagoga Remuh, attivo luogo di culto, e il suo antico cimitero. Nel cortile le lapidi di parenti commemorano i loro cari perduti nello sterminio. La loro assenza non è narrata lungo le strade del quartiere, non vi sono «pietre di inciampo».
Tuttavia quell’assenza si ritrova nella mostra del Museo ebraico della Galizia, vicino alla Vecchia Sinagoga, sostenuto da fondazioni. Un racconto in parole e immagini delle tracce dello sterminio delle comunità ebraiche nella Polonia meridionale e dei successivi pogrom ad opera dei «vicini» non ebrei. La travagliata storia della Polonia porta con sé una travagliata memoria.
Sei milioni di morti durante la guerra, tre milioni ebrei (90% della popolazione ebraica). Un plurisecolare antisemitismo. La contrapposizione tra il dramma dei polacchi e lo sterminio degli ebrei che investe il luogo per eccellenza della distruzione degli ebrei d’Europa: Auschwitz, Oświęcim in polacco, a 60 chilometri da Cracovia. In Polonia Auschwitz è stato via via interpretato come luogo del martirio polacco (vi furono deportati circa 150 mila polacchi non ebrei); come simbolo della resistenza internazionale al fascismo (durante il regime comunista e in particolare sino ai primi anni settanta); attraverso il simbolismo cattolico. Il suo significato ebraico rimane ai margini sino a metà degli anni Ottanta, sino alle polemiche tra organizzazioni ebraiche e istituzioni cattoliche e attorno al documentario Shoah di Lanzmann e alcuni saggi, che testimoniano di atteggiamenti passivi o attivamente antiebraici presenti nella popolazione.
La Shoah cresce di importanza presso l’opinione pubblica polacca. La natura di strumento di sterminio del popolo ebraico di Auschwitz-Birkenau diventa più evidente. Nel frattempo, ricordiamo, cade il Muro e l’oriente si apre all’occidente. Ma il nazionalismo polacco è resiliente, anche nelle sue componenti religiosa e etnica. Le foto nel corridoio di uno dei blocchi di Auschwitz 1, dove sono raccolti beni, occhiali, capelli degli ebrei mandati al gas, sono soprattutto di prigionieri polacchi: «pole» e «Jew from Poland». Gli ebrei non erano percepiti come parte della «nazione polacca».
Oggi, con il partito nazionalista e populista Diritto e Giustizia al potere, quel nazionalismo riprende vigore, trascinando con sé l’antisemitismo. Nel febbraio 2018 il parlamento polacco approva una legge che prevede tre anni di reclusione per chi accusa la nazione o lo stato polacchi di complicità nei crimini del Terzo Reich. Di fronte alle proteste di Israele e degli Stati Uniti il governo arretra, prevedendo solo una sanzione amministrativa. Ma quella legge produce nei media una liberazione del discorso antisemita e alimenta campagne di odio, come quella contro il direttore del Museo di Auschwitz-Birkenau, accusato di sottrarre al campo le testimonianze dell’eroismo polacco, facendo il «gioco delle narrazioni ebraiche». L’abitazione di una guida italiana è vandalizzata con graffiti antisemiti. Il 27 gennaio Auschwitz è teatro di una manifestazione di estremisti di destra contro le «narrazioni di Israele e della nazione ebraica». A maggio, a Varsavia, contro le pressioni americane sul governo polacco per affrontare la questione della restituzione dei beni delle vittime dello sterminio, si tiene quella che il sociologo Rafal Pankowsky ha definito «probabilmente la più grande manifestazione apertamente antisemita in Europa degli anni recenti».
Spesso distratta, l’Unione europea si trova ora di fronte ai fantasmi contro i quali aveva preso il proprio avvio. Fantasmi che così nitidi ad Est, si aggirano anche a Ovest. Nazionalismo e antisemitismo. Potrà ignorarli a lungo?
Sofia Ventura, La Stampa 21 settembre 2019