Le reazioni alla decisione dell’Unione europea di equiparare i due totalitarismi novecenteschi, nazismo e comunismo (Alfonso Berardinelli per Il Foglio)

Scandalizzato perché l’Unione europea ha deciso di equiparare ufficialmente i due totalitarismi novecenteschi, nazismo e comunismo, il professor Luciano Canfora, illustre grecista, storico e comunista, ha commentato in televisione la notizia dicendo per prima cosa che una tale decisione è solo frutto di profonda ignoranza e che per confutarla potrebbe bastare quanto disse Alcide De Gasperi nel 1944: e cioè che nella Russia di Stalin si stavano realizzando gli ideali cristiani. Come molti professori, Canfora rischia di risultare ignorante per pura e superba testardaggine. Ricordo che Hannah Arendt, fino a tutti gli anni Settanta, era malvista nella sinistra europea perché la categoria di totalitarismo, da lei studiata, sembrava equivoca e sospetta di liberalismo filoamericano in quanto poteva essere estesa sia al totalitarismo di destra (hitlerismo) che a quello di sinistra (stalinismo).

Certo i due totalitarismi avevano origini, basi ideologiche e progetti diversi. Hitler voleva dare al “purissimo” popolo tedesco-ariano il dominio sull’Europa e forse sul mondo. Stalin voleva che il partito e lo stato comunista esercitassero in nome del proletariato una dittatura totale, capillare, spietata sulla società. Lo scopo forale, considerato bene indiscutibile e necessità storica, giustificava qualunque mezzo, dalla persecuzione e omicidio dei singoli allo sterminio metodico e sistematico. In una sola battuta (e dato che Canfora brandisce una sola frase di De Gasperi senza parlare della sua politica anticomunista come uomo di governo) si potrebbe dire che, mentre Hitler faceva quello che diceva, Stalin diceva di volere uguaglianza e liberazione e faceva il contrario. Dite voi cosa è peggio. I dati sugli orrori compiuti dall’uno e dall’altro sono da tempo a disposizione. E comunque ha ucciso più comunisti Stalin in Russia che Hitler in Germania.

Tengo a portata di mano la “Storia della letteratura greca” del professor Canfora, ma vorrei dire che la sua difesa del comunismo dovrebbe andare a spiegarla a Varsavia, a Praga, a Budapest e in Germania orientale. Il caso vuole che io stia leggendo proprio in questi giorni le lettere che Albert Camus e Nicola Chiaromonte si sono scambiate dal 1945 al 1960, anno della morte di Camus (“Correspondance”, Gallimard, 232 pp., 22 euro). Ebbene, i loro costanti e profondi sentimenti di amicizia erano fondati sull’aver condiviso un’idea allora pochissimo accettata e che bastava da sola a far ritenere “traditore”, conservatore o reazionario chiunque la condividesse: l’idea che bisognava essere antitotalitari, cioè sia antifascisti che anticomunisti.

Accanto a loro c’erano davvero pochi intellettuali di sinistra. Quelli internazionalmente più noti, impegnati e coerenti erano Orwell, Koestler, Silone. Nicola Chiaromonte, bene accolto negli Stati Uniti negli anni Quaranta dal gruppo di Dwight MacDonald, con la stessa Arendt, Mary McCarthy, Paul Goodman, Charles WrightMills, ha pagato la sua posizione politica con l’isolamento e resta tuttora il saggista morale e politico italiano più ignorato in Italia. Camus, soprattutto con la pubblicazione dell'”Uomo in rivolta”, cioè dal 1951 in poi, fu attaccato dal suo ex amico Sartre e dalla sua famosa rivista Temps Modernes. Così, data la grande notorietà dei due, la polemica Sartre Camus fu uno degli episodi più clamorosi nella storia della sinistra intellettuale e europea di quel decennio.

Si estenderà a proposito della guerra d’Algeria, ma al fondo di tutto c’era la posizione nei confronti dell’Unione sovietica, dello storicismo marxista, dell’idea di “necessità storica”, del rapporto fra comunismo e nichilismo, fra politica di potere e politica di libertà. Secondo Camus, nel momento in cui una “legittima passione” di rivolta diventa “volontà astratta” si supera la soglia oltre la quale c’è il nichilismo, cioè il “tutto è permesso” nel presente purché sia compiuto in vista di un bene superiore nel futuro. Sappiamo tutti (o no?) che il futuro può diventare nelle nostre mani facilmente immaginario nonostante la supposta “scientificità” delle previsioni: ma intanto i mezzi impiegati senza scrupoli per raggiungere ogni ottima realizzazione finale non sono affatto immaginari, sono realissimi.

L’idea condivisa da Camus e Chiaromonte è che il Dio-Storia avesse dimostrato di essere una “falsa religione”, una nuova, moderna trascendenza metafisica, di fronte alla quale i singoli individui non devono fare altro che inginocchiarsi e offrire la vita. In questo senso, benché Camus abbia detto e ripetuto di non essere esistenzialista, la sua era una filosofia dell’esistenza individuale inalienabile, molto vicina a Kierkegaard (la cui opera filosofica somiglia a un diario) e a Kafka, non a Heidegger. Nella lettera in cui commenta la stroncatura dell’Uomo in rivolta” pubblicata da Francis Jeanson su Les Temps Modernes, Chiaromonte respinge l’idea secondo cui “l’esistenza di miriadi di esseri umani avrebbe un senso non solo univoco, ma obbligatorio. Cioè sarebbe l’enunciazione di questo senso per bocca di ideologi, uomini di partito e dittatori a stabilire quale è il dovere di una persona onesta in un momento dato”.

Forse queste idee non sono più credute da nessuno, ma soprattutto perché nessuno crede più in nessuna idea. Però quando si parla di comunismo odi democrazia, di libertà e di giustizia, qualche idea bisogna sia averla che discuterla.

Alfonso Berardinelli, Il Foglio 28 settembre 2019

Condividi con