Il fallimento del codice degli appalti
“I contratti pubblici nell’era della codificazione”, il convegno alla Biblioteca della Camera dei deputati. Intervista all’Avv. Marco Mariani, uno dei curatori del volume “La legge sblocca cantieri”
Nella splendida cornice della Sala del Refettorio di Palazzo S. Macuto, che ospita la Biblioteca della Camera dei Deputati, si è tenuto il convegno su “I contratti pubblici nell’era della codificazione” alla presenza di oltre 100 partecipanti.
Dopo i saluti dell’Avv. Giuseppe Benedetto (Presidente della Fondazione Luigi Einaudi), il quale ha richiamato alcuni passaggi delle “Prediche inutili” di Einaudi in tema di concorrenza e libero mercato, il Cons. Giancarlo Montedoro (Presidente della VI sezione del Consiglio di Stato) ha lumeggiato i profili evolutivi della materia dei contratti pubblici, seguito dal Cons. Leonardo Spagnoletti (membro della IV sezione del Consiglio di Stato) nel porre in evidenza le contraddizioni tra la naturale vocazione alla stabilità di ogni codice e i continui interventi del legislatore caratterizzati da una certa volatilità di obiettivi.
L’Avv. Marco Mariani (partner dello Studio legale associato Catte Mariani con sede in Firenze e Roma) ha esposto il contenuto della Legge 14 giugno 2019 n. 55 (cd. sblocca cantieri) attraverso l’esegesi fornita nel fortunato volume “La legge sblocca cantieri”, edito nel giugno 2019 da Giappichelli. L’Avv. Mariani ha ripercorso i profili di novità e continuità della novella normativa, richiamando anche i numerosissimi elementi critici.
La Dott.ssa Monica Piovi (Direttore generale di ESTAR, centrale di committenza e unica di acquisto del settore sanitario della Toscana) ha esposto il punto di vista delle stazioni appaltanti, descrivendo le più frequenti difficoltà applicative alla luce di una indagine interna condotta tra i dirigenti di vertice della stessa ESTAR.
Il Dott. Edoardo Bianchi (vice Presidente dell’ANCE) ha posto in rilievo i gravi ritardi accumulati dal Governo nell’adottare atti esecutivi di varie riforme legislative, indicando nella compressione dei tempi (piuttosto che nei poteri derogatori speciali) e nella riforma del reato di abuso di ufficio la soluzione dei problemi del settore.
Le conclusioni dei lavori sono state rassegnate dall’Avv. Emilio Toma (partner dello Studio legale Toma Papa di Bari), nel senso che la legge cd. sblocca cantieri non ha affatto centrato l’obiettivo di semplificare e ridare efficienza al settore: l’unico risultato positivo certamente raggiunto è l’abbandono del rito processuale cd. super accelerato.
Al termine del convegno abbiamo intervistato l’Avvocato Marco Mariani, curatore, insieme ad Emilio Toma e Leonardo Spagnoletti, del fortunato volume “La legge sblocca cantieri” edito nel giugno 2019 da Giappichelli.
Nelle intenzioni del legislatore la legge 14 giugno 2019 n. 55 avrebbe dovuto far ripartire l’economia attraverso un forte impulso ai cantieri: a distanza di 3 mesi, posiamo dire che la legge cosiddetta “blocca cantieri” abbia mantenuto fede al suo titolo?
Purtroppo no.
Quali sono le ragioni di tale fallimento?
Il mondo delle imprese e le pubbliche amministrazioni hanno in primo luogo bisogno di certezze: la materia dei contratti pubblici è invece caratterizzata da una costante instabilità – ossia l’esatto opposto di quello che occorrerebbe – a causa di continui interventi legislativi, che per di più sembrano mossi più da volatili esigenze politiche contingenti che da finalità sistematiche.
A quando risale questa instabilità normativa in materia di appalti pubblici?
Tale instabilità è iniziata all’indomani di “tangentopoli”, con la Legge n. 109/1994 (la cd. Legge Merloni). Per limitarci alle vicende del nuovo Codice dei contratti pubblici, basti pensare che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 aprile 2016 e che in poco più di tre anni ha già subito 15 interventi, alcuni dei quali piuttosto profondi.
L’impianto originario del Codice dei contratti del 2016 era soddisfacente?
Assolutamente no.
Quali sono le ragioni di un giudizio così netto?
Si trattava di un Codice velleitario. Alcuni numeri per rappresentarne la corposità: 220 articoli suddivisi in 1.354 commi, 130.000 parole. La parola “ANAC” (l’Autorità Nazionale Anticorruzione) ricorre ben 125 volte. Il nuovo Codice contiene novità assai rilevanti, come l’abbandono del Regolamento unico quale fonte di attuazione-integrazione-esecuzione in favore di un articolato sistema di cd. soft laws, vale a dire linee Guida ANAC e decreti ministeriali (nel complesso, più di cinquanta atti). Al di là dell’opportunità di tali scelta, la chiave di volta dell’insuccesso del Codice sta negli ultimi due articoli. L’art. 220 disponeva l’entrata in vigore il giorno stesso della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale: davvero si può ragionevolmente pensare di far entrare in vigore un testo normativo di tale dimensione e complessità lo stesso giorno della sua pubblicazione?! Si tenga conto che il precedente Codice dei contratti (il D. Lgs. n. 163/2006, cd. Codice de Lise) aveva opportunamente previsto sei mesi di vacatio legis. Infatti, un corpus di tal fatta ha bisogno di un tempo adeguato per essere conosciuto, altrimenti si produce un inevitabile senso di insicurezza negli operatori economici e nelle Pubbliche amministrazioni che porta al rinvio di tutto ciò che è rinviabile. Poi il penultimo articolo, l’art. 219, prevedeva la cd. clausola di invarianza finanziaria. Infatti disponeva che “dall’attuazione del presente codice non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente codice con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.” Ora, è veramente bizzarro poter ritenere che l’ANAC potesse assolvere una siffatta congerie di nuove e rilevanti funzioni con le risorse umane e strumentali esistenti. Ed infatti è andata in crisi, trasformandosi da soggetto di impulso a collo di bottiglia del funzionamento del Codice.
La legge sblocca cantieri prevede un ridimensionamento del ruolo dell’ANAC, a cominciare dal ritorno al passato per mezzo dell’abbandono delle linee guida in favore del Regolamento unico governativo, dunque pensa che la “strada” intrapresa sia quella giusta?
In questa materia, l’immagine della “strada” è fuorviante. Siamo piuttosto in una gincana fatta a zig-zag. Il legislatore è intervenuto così tante volte – quindici come sopra ricordato – dall’entrata in vigore del nuovo Codice che il senso di smarrimento regna oramai sovrano tra gli operatori economici e le pubbliche amministrazioni.
Dunque ritiene che neppure le modifiche introdotte dalla legge sblocca cantieri daranno impulso al settore?
Temo proprio di no. La tecnica normativa adoperata dal legislatore è veramente pessima, tanto che anche gli specialisti del settore hanno serie difficoltà nel comprendere il significato delle nuove norme.
Le tre principali novità della legge sblocca cantieri sembrano riguardare l’abbandono del sistema delle linee guida ANAC quale fonte attuativa privilegiata, la semplificazione della disciplina del subappalto e le disposizioni riguardanti gli appalti sotto soglia. Almeno per questi tre profili possiamo aspettarci un periodo di stabilità?
Neppure a questa domanda è possibile dare una risposta in chiave ottimistica. Il ritorno a sistema del Regolamento unico riguarda un aspetto sistematico-organizzativo dell’intera disciplina, che al di là delle intenzioni del legislatore nei fatti è esposto in tal modo ad un ulteriore periodo transitorio di grave instabilità. La disciplina degli appalti sotto soglia, lungi dal potersi definire di semplificazione ed attenta alle esigenze di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, pare essere sostanzialmente orientata alla medesima logica di sfiducia e sospetto verso le Amministrazioni pubbliche ben simboleggiata dall’istituto della “rotazione” degli affidamenti. Infine, in materia di subappalto – istituto da noi tradizionalmente mal visto per le possibili infiltrazioni criminali, mentre per la UE è un importante volano pro-concorrenziale per le piccole e medie imprese – il legislatore ha eliminato l’obbligo di indicazione della “terna”, ma ha elevato troppo timidamente la soglia massima subappaltabile (dal 30% al 40%), e peraltro con la bizzarra tecnica di drafting consistente nel congelamento della disposizione precedente e della contestuale novella in deroga temporanea. La tecnica normativa è stata così infelice da opacizzare la portata della novella normativa: basti pensare che anche la raccolta ufficiale delle leggi (Normattiva) riporta ancora la percentuale del 30% e l’interprete è costretto a ricercare nelle note utili indicazioni che sono assenti nel corpo del Codice.
L’azione della Giurisprudenza potrà agevolare la stabilizzazione della materia?
Bisogna premettere che in questo settore quando parliamo di “Giurisprudenza” ci riferiamo non solo alla Giustizia amministrativa, ma anche a all’Autorità giudiziaria ordinaria (penale e civile), alla Corte dei conti e alla Corte di Giustizia dell’UE. Ovviamente ciascuno di questi plessi giurisdizionali è autonomo e indipendente dagli altri e dunque un certo tasso di pluralismo ermeneutico è fisiologico. Detto ciò, va comunque riconosciuto che la Giurisprudenza ha svolto un significativo ruolo nella direzione della certezza del diritto, ma ci sono alcuni punti critici che richiedono necessariamente un sapiente intervento legislativo. Ad esempio, per rimanere al tormentato istituto del subappalto, la Corte di Giustizia UE ha recentissimamente (sentenza 26 settembre 2019, causa C-63/18) confermato l’interpretazione pregiudiziale della contrarietà del tetto massimo alle opere subappaltabili poste dal legislatore italiano: poiché le sentenze della CGUE sono immediatamente applicative e impongono sia agli organi giudiziari che alle Amministrazioni nazionali di disapplicare le disposizioni nazionali in contrasto, l’operatore pratico è posto immediatamente di fronte ad un grave problema ermeneutico con immediati riflessi pratico-operativi. Dunque sotto questo profilo è necessario e urgente un intervento del legislatore, che tuttavia dalle prime indiscrezioni di stampa pare intenzionato a confermare il tetto del 30%. Ecco, Luigi Einaudi richiamava la necessità di “conoscere per deliberare”, mentre la tendenza del legislatore italiano sembra connotarsi solo per elementi contingenti ed emozionali.
Paolo Pala, com.unica 3 ottobre 2019