Il futuro della Londra post-Brexit
L’analisi dell’economista Howard Davies, presidente della Royal Bank of Scotland, per Project-Syndicate
Sono passati ben più di tre anni da quando il Regno Unito ha votato, con uno scarto minimo ma significativo, per l’uscita dall’Unione europea, eppure non abbiamo ancora idea di come saranno le relazioni economiche future tra il Regno Unito e i 27 paesi che si lascia alle spalle. (Parte del dibattito a Londra ricorda, nella sua insularità, il titolo apocrifo degli anni trenta del ’900 “Nebbia sulla Manica, il Continente è isolato”.) Per quanto si possa tirare a indovinare, l’esito più probabile sembra essere un rapporto più distante di quello che i fautori dell’uscita avevano in mente durante la campagna referendaria e la maggior parte dei commentatori aveva previsto subito dopo il voto.
Tuttavia, malgrado questo cambio di direzione e la certezza della perdita del cosiddetto “passaporto comunitario”, che consentirebbe la libera vendita di servizi finanziari in tutta l’Ue, il temuto esodo in massa di aziende e professionisti della finanza da Londra non sembra essere cominciato. Le pasticcerie francesi e i negozi di würstel tedeschi continuano a fare ottimi affari. Perché?
Due elementi recenti danno il senso di quanto sta succedendo sul campo, mentre i politici continuano a discutere. La EY, società di consulenza specializzata in revisione contabile, ha monitorato le intenzioni dichiarate delle aziende in risposta alla Brexit negli ultimi tre anni. L’ultimo sondaggio, pubblicato a metà settembre, indica che il 40% delle società ha in programma di trasferire parte delle operazioni e del personale via da Londra, mentre il 60% delle aziende più grandi ha annunciato simili iniziative.
Ma il numero dei posti di lavoro che dovranno essere trasferiti da Londra a un’altra città europea ammonta adesso a 7.000 soltanto, una cifra molto inferiore a quella stimata un paio di anni fa. Cosa interessante, secondo EY, i due luoghi che più ne hanno beneficiato finora sono Dublino e Lussemburgo. Questa è una buona notizia per Londra, poiché entrambe le città sono centri di nicchia che difficilmente potranno trasformarsi in rivali potenti in tutte le attività finanziarie. Se le principali beneficiarie fossero state Parigi o Francoforte, le conseguenze sul lungo termine avrebbero potuto essere molto più pericolose. Le loro campagne di marketing stanno avendo, finora, risultati solo modesti.
Dal sondaggio emerge, però, un’altra notizia più preoccupante per Londra, e cioè la conferma, da parte delle aziende, di un probabile trasferimento massiccio di attività fuori dal Regno Unito. La stima più recente parla di un potenziale spostamento di attività gestite pari a circa un trilione di sterline (1,2 trilioni di dollari) verso altri centri quando il Regno Unito uscirà dall’Ue. Molti impiegati responsabili di queste attività resteranno a Londra per il momento, ma nel tempo lo scenario potrebbe cambiare.
Un secondo punto dati, inoltre, suggerisce che la reputazione di Londra sta cominciando a risentire della situazione. Da oltre un decennio, una società di analisi finanziaria chiamata Z/Yen pubblica con cadenza semestrale un indice dei centri finanziari mondiali, il Global Financial Centres Index. L’ultima classifica, uscita a metà settembre, riporta che, mentre Londra continua a essere seconda solo a New York a livello globale, la sua posizione relativa sta calando. Il vantaggio di New York è più che raddoppiato negli ultimi sei mesi. Il calo di Londra è stato, in relazione, più brusco rispetto agli altri centri più importanti, mentre Parigi è salita di posizione.
Di fatto, il divario tra Londra e Parigi è sceso a 45 punti dagli 88 del marzo scorso (il livello più alto è appena inferiore a 800). Il trasferimento a Parigi dell’Autorità bancaria europea e la decisione della Bank of America di spostare lì le proprie transazioni in euro sono probabilmente i fattori all’origine di questo cambio di percezione.
Passando dal sondaggio all’aneddoto, i manager affermano di aver trovato più difficile del previsto convincere il personale senior a spostarsi. Perfino gli italiani e i francesi a cui viene chiesto di ritrasferirsi a Milano o Parigi sono spesso riluttanti ad accettare. I loro figli vanno ormai a scuola lì, il coniuge o partner ha un lavoro non mobile a Londra, e magari non riescono a sopportare l’idea di riavvicinarsi troppo a mamma e papà!
Più significativo, forse, è il fatto che un mercato globale è un ecosistema complesso. I trader possono spostarsi, ma le infrastrutture e il supporto informatico saranno altrettanto sofisticati altrove che a Londra? Consulenti e avvocati qualificati saranno disponibili su richiesta, come lo sono nella City?
Questi fattori fanno esitare le società a intraprendere spostamenti su vasta scala, spingendone molte, invece, a cercare soluzioni alternative per superare gli ostacoli normativi che sicuramente dovranno affrontare una volta che il Regno Unito sarà uscito dal mercato unico.
Fra l’altro, la politica della Brexit continua a essere densa e complessa, e c’è una minima possibilità che il Regno Unito indica un altro referendum e cambi rotta, ipotesi che renderebbe irrilevanti i 4,2 miliardi di sterline che il governo ha promesso di spendere in piani d’emergenza. Ma l’esito più probabile è che il Regno Unito incespichi fino all’uscita e cada scompostamente oltre la soglia, senza un nuovo rapporto strutturale o un lungo periodo di transizione.
Successivamente, vedremo come si evolveranno i mercati finanziari europei. L’aspettativa centrale, tuttavia, considerato quello che abbiamo osservato finora, è che l’Europa migri verso un modello finanziario multipolare, con diversi centri piccoli e grandi, sfruttandone i rispettivi vantaggi comparativi. Dublino e Lussemburgo rafforzeranno la propria posizione, in particolare sul piano della gestione patrimoniale. La Banca centrale europea fungerà da polo di attrazione per Francoforte. Le transazioni denominate in euro avranno sempre più luogo nell’eurozona, mentre Londra potrebbe continuare a essere, per il prossimo futuro, la finestra dell’Europa sul resto del mondo.
Ci sarà un prezzo da pagare per gli utenti dei servizi finanziari, poiché un singolo centro dominante è quasi sicuramente più efficiente ed economico. Dopo la Brexit, però, tale soluzione non sarà più disponibile a Londra, e di certo non vi è consenso tra gli altri 27 stati su un’unica alternativa.
Howard Davies – Project-Syndicate ottobre 2019
*Sir Howard John Davies, economista e saggista britannico, è l’attuale presidente della Royal Bank of Scotland ed ex direttore della London School of Economics. In precedenza ha ricoperto il ruolo di primo presidente dell’Autorità per i servizi finanziari.