Tumore al seno, cosa fare?
L’importanza della prevenzione primaria: un contributo del dottor Prisco Piscitelli, ricercatore dell’ISBEM
In Italia, sui 365.000 nuovi casi di tumore che AIRTUM (Associazione Italiana dei Registri Tumori) stima ogni anno, ben 48.000 sono tumori mammari. Essi hanno oramai superato quelli polmonari (40.000 nuovi casi annui) e hanno quasi raggiunto il cancro del colon-retto (52.000 casi l’anno), nonostante quest’ultimo sia ampiamente diffuso in entrambi i sessi. Il cancro al seno rappresenta praticamente un terzo di tutti i nuovi tumori femminili che si registrano in un anno, circa 170.000.
Ciò significa che ogni mille donne 2 si ammalano di tumore mammario. Peraltro, essendo fortunatamente aumentata la sopravvivenza – grazie alla sempre più precoce capacità di diagnosi, terapia ed interventi opportuni – su circa 1.800.000 donne che in Italia vivono dopo diagnosi di tumore (i cosiddetti “casi prevalenti”), ben il 56% hanno avuto un cancro al seno. Si sta parlando quindi di 580.000 persone!
Noti agli epidemiologi e agli esperti che si occupano di oncologia, questi numeri danno un quadro completo dell’entità del fenomeno. Essi sono elevati e, nonostante il già ricordato miglioramento della prognosi, il tumore mammario è ancora al 1° posto anche per la mortalità: fra le donne che muoiono ogni anno per tumore per cancro, più del 16% perdono la vita per il seno. Guardando al sesso maschile, si ricorda che il tumore prostatico è responsabile solo dell’8,5% degli uomini che muoiono per tumore.
Già dieci anni fa, l’AIRTUM stimava oltre 100 casi ogni 100.000 donne quarantenni, ma fino a 200 casi nelle cinquantenni e 300 nelle donne con più di 60 anni (over 60).
In pratica, nell’arco della vita, 1 donna su 8 si ammala di tumore mammario e 1 su 33 ne muore. Invece 1 uomo su 9 si ammala di tumore polmonare e 1 uomo su 10 ne muore.
Purtroppo il Mezzogiorno d’Italia soffre ancora se paragonato al Nord. Se infatti per il tumore al seno migliora la prognosi e secondo l’AIRTUM aumenta la sopravvivenza a 5 anni (85% in media), nel nostro Sud questo dato è fermo all’81% contro un quasi 90% delle regioni settentrionali. Ma anche nel miglioramento della prognosi sembra ci siano due eccezioni storiche, fin dai dati AIRTUM del 2011: non c’è nessun aumento della sopravvivenza a 5 anni nelle donne colpite sotto i 40 anni e sopra i 74 anni di età!
Lo screening di popolazione con mammografia – la cui specificità massima è dell’80-85% e quindi questo esame non è infallibile! – ci potrebbe far ridurre la mortalità del 40%. almeno secondo i dati di letteratura. Tuttavia, il successo dello screening si basa non solo sulla disponibilità di tecnologie e di professionalità, bensì anche sul coinvolgimento e sulla fiducia dei cittadini, nonché sulle informazioni che si riesce a dare su larga scala. Esiste infatti un serio, serissimo, problema di aderenza, cioè di risposta, all’offerta di screening oltre che di copertura della popolazione. Infatti, nel Mezzogiorno, ciò non è soddisfacente: se invitate, si presentano allo screening solo il 40% delle donne al Sud, il 60% al Centro e il 70% Nord Italia.
Uno studio scientifico condotto dall’ISBEM (Istituto Scientifico Biomedico Euro Mediterraneo: www.isbem.it) che ha sede in un Monastero dei Cappuccini del XVI sec. proprio a Mesagne, città protagonista di una campagna di informazione sul tumore al seno, ha fatto emergere dati assai interessanti inerenti gli interventi di mastectomia e quadrantectomia eseguiti per tumore al seno. I ricercatori ISBEM hanno analizzato i cosiddetti BIG DATA, cioè quei grandi contenitori di informazioni (database) sanitari rappresentati dagli archivi informatici ministeriali delle SDO (Schede di Dimissione Ospedaliera). E qui si sintetizzano alcuni dei risultati emersi da tale rilevante studio:
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In particolare, le donne più operate per tumore mammario risultano quelle di età compresa tra 45 e 64 e quelle oltre i 75 anni.
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Gli interventi demolitivi radicali (mastectomie) in totale diminuiscono ma non nella fascia di età 25-39 o 40-44 e non diminuiscono al Sud.
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A sorpresa, tra 25 e 39 anni si registra il massimo incremento del numero di mastectomie: +23% negli otto anni dello studio e addirittura +40% tra i 40 e 44 anni!
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L’entità dell’incremento non può essere attribuito solo all’aumentata capacità e precocità di diagnosi dovuta allo screening: bisogna ammettere che aumentano i ricoveri e quindi i nuovi casi nelle giovani donne in fasce di età NON sottoposte allo screening mammografico e per le quali vanno trovati nuovi percorsi per la diagnosi precoce.
Per intervenire sul serio su un problema oramai così EPIDEMICO non è detto che la soluzione sia semplice, ad esempio abbassare l’età di esecuzione della prima mammografia. Bisognerebbe soprattutto chiedersi quali sono le CAUSE del sorprendente aumento dei tumori al seno nelle donne più giovani.
Indicazioni sulle cause emergono anche da studi, a cui ISBEM ha partecipato, che hanno dimostrato accumuli di diossine nel latte materno di giovani mamme nella cosiddetta “terra dei fuochi” in Campania, dove i livelli sono sovrapponibili a quelli riscontrati dall’Istituto Superiore di Sanità in un recente studio sulle neomamme tarantine.
Possibili risposte sono fornite dalla moderna scienza nota come EPIGENETICA, secondo cui la causa è da cercare nella ESPOSIZIONE A FATTORI AMBIENTALI riconosciuti dalla IARC di Lione (Agenzia Internazionale di ricerca sul Cancro) come cancerogeni certi per l’uomo o come interferenti endocrini.
L’unica via è quella della PREVENZIONE PRIMARIA dei tumori cioè l’applicazione del Principio di Precauzione nei confronti della chimica che popola la nostra quotidianità, da ciò che respiriamo a ciò che utilizziamo o mangiamo. È necessario passare dall’essere focalizzati sulla prevenzione secondaria e terziaria (diagnosi precoce o screening, terapie e riabilitazione) alla prevenzione primaria.
Per non perdere la battaglia per ridurne l’incidenza, esiste una sola via ed è questa: RIMUOVERE le CAUSE, cioè le ESPOSIZIONI ai CANCEROGENI AMBIENTALI, alle SOSTANZE VOLUTTUARI e agli ALIMENTI che ORIGINANO i TUMORI.
Per tale obiettivo, serve consapevolezza ed impegno di molti Cittadini, auspicabilmente tutti, non solo limitandosi ad un giorno o ad una settimana, bensì in modo duraturo e con costanza, tenace perseveranza e grande lungimiranza, Tale approccio, invero, può consentire di avviare – qui nel territorio – studi epidemiologici ed epigenetici.
Sarebbe pertanto saggio mettere attorno a un tavolo i Protagonisti del PROGRESSO vero senza i quali è impossibile PRODURRE SALUTE su larga scala. Quali sono questi Attori? Istituzioni, Ricerca, Imprese, Cittadinanza Attiva, Scuole e Mondo della Comunicazione. Ci si impegna tutti a essere di buon esempio, partendo da piccole città, come Mesagne?
Prisco Piscitelli, com.unica 23 ottobre 2019