“Liliana Segre, ebrea. Ti odio” Quegli insulti quotidiani online
La senatrice a vita riceve 200 messaggi online di insulti al giorno. L’articolo di Piero Colaprico su Repubblica
Leggiamo da un post una raffica di insulti irriferibili: «Questa (…) ebrea di m. si chiama Liliana Segre, chiedetevi che cazzo a fatto (così è scritto, senza h, ndr) per diventare senatrice a vita stipendiata da noi ed è pro invasione? Hitler non ai (ancora senza h, ndr) fatto bene il tuo mestiere». Come definire questo messaggio? Però viene scritto, letto, circola, resta dov’è. «Mi chiedo perché non sia crepata insieme a tutti i suoi parenti»: anche questa frase è dedicata alla senatrice.
Il19 gennaio 2018 è stata nominata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e tre giorni dopo un blogger si chiede: «Chissà quanto ci costerà». Classico attacco sui vitalizi, finché si arriva al punto. E cioè alla senatrice: le «sarebbe piaciuto – scrive il blogger – avere subito qualche milioncino, visto che la passione dei nasoni sono `li sordi’». Questione minore, questa degli insulti, si obietterà, perché ormai di un linguaggio crudo, volgare, feroce, variamente fascista è piena la Rete. C’è chi augura il cancro all’ex ministro, che ne è guarita, e la procura che chiede di non procedere contro le offese alla coppia Fedez-Ferragni con la motivazione che «sui social si può».
Quindi, bisogna rassegnarsi, si sente ripetere. Ma c’è un ma. Di messaggi come quelli qui riportati contro Liliana Segre, superstite dell’Olocausto, testimone del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, ogni giorno ne partono duecento. Ogni giorno si registrano attacchi politici e religiosi, insulti, maldicenze contro una donna di 89 anni, sempre moderata nel linguaggio, testimone dell’orrore, ancora adesso incapace di “sopportare” i fotogrammi di alcuni documentari di guerra. A prenderla di mira, a farla diventare un target, sono antisemiti protetti dall’anonimato, altri che lanciano i messaggi da blog e siti di estrema destra, e anche attivisti che credono alle teorie più deliranti.
L’osservatorio antisemitismo è stato costretto a realizzare un rapporto sugli attacchi e Repubblica ha potuto leggerlo. Dichiariamo un senso di malessere, nel riportare le frasi tratte da Internet, ma pensiamo che, oggi più che mai, bisogna tracciare una sorta di “dove siamo” e di “come siamo arrivati” in questo catalogo di deliri, cattiverie, meschinità, dove non mancano i professori. Ne sono segnalati due. Uno, Sebastiano Sartori, lavora al celebre istituto alberghiero “Barbarigo” di Venezia: «La senatrice a vita Segre sta bene in un simpatico termovalorizzatore». È un ex esponente di Forza Nuova, dice anche che «la Costituzione è un libro di merda buono per pulircisi il culo». Sulla stessa lunghezza d’onda Marco Gervasoni. È un docente di Storia contemporanea all’Università degli studi del Molise e dopo l’intervento della senatrice a vita a sostegno del Governo Conte, si legge nel report dell’osservatorio antisionismo, «ha twittato una serie di malevoli post cui sono seguiti decine di insulti contro Liliana Segre. Qualche esempio: ebrea di professione, stronza, vecchia rincoglionita, sionista pensa ai palestinesi, senatrice senza meriti che lucra sull’Olocausto, vecchia ignorante e in malafede, personaggio squallido, vecchia demente, Alzheimer».
Non pochi tra gli antisemiti digitali se la prendono anche con altri ebrei entrati nella luce dei media, come il giornalista Gad Lerner, il politico pd Lele Fiano, l’imprenditore George Soros, il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, e ultimamente anche sul presidente del parlamento europeo David Sassoli piovono insulti. Ma è la senatrice a subire il record negativo: «Liliana Segre morirà, ma il vittimismo giudaico durerà ancora secoli». A sostenerlo è Roberto Duria, un animalista convinto che i quattrozampe siano trattati malissimo per colpa di non meglio precisate tradizioni ebraiche. Secondo il sito, «strisciando come serpenti, gli ebrei ebbero la loro rivalsa sugli antichi persecutori». Uno che si firma Paolo Sizzi Lombardista, ed è già condannato nel 2013 per istigazione all’odio razziale e vilipendio al capo dello Stato, quando Liliana Segre pronuncia il suo discorso al Senato, dichiara che «i campi di sterminio sono una fandonia come 1’11 settembre». Un altro aggiunge: «Nessuno attualmente è più razzista delle blatte israelonazisioniste. Vivere nell’ombra dell’Olocausto ed aspettarsi di essere perdonati di ogni cosa che fanno, a motivo della loro sofferenza passata, mi sembra un eccesso di pretese».
Questa mareggiata d’odio fa emergere due questioni. Una, se sia democrazia consentire insulti ed espressioni simili, in quanto protette dal diritto fondamentale della libertà di pensiero. O, viceversa, se sia democrazia rendere più difficile, attraverso identificazioni, perquisizioni, eventuali richieste di rinvio a giudizio, la diffusione di razzismo e antisemitismo. Seconda questione: se i giornali osassero pubblicare articoli che contengono simili orrori ed insulti, prenderebbero denunce e condanne. Come mai non accade lo stesso agli antisemiti del web? Una spiegazione che riguarda la logica del diritto penale sta nel fatto che a gestire le piattaforme sono aziende americane, quindi si applica il diritto d’Oltreoceano. Però questi “sputi” virtuali volano in Italia, addosso a italiani. C’è stato anche un ex senatore che raccontava come gli ebrei praticano l’omicidio rituale. La domanda «Ma si può?» non è più da bar, diventa da amministrazione della giustizia.
Piero Colaprico, La Repubblica 27 ottobre 2019