L’analisi di Fiamma Nirenstein (Il Giornale) sul volto feroce del regime di Teheran

Ops, un errore. Un errore di valutazione, «umano», certo, come hanno detto gli iraniani, e di chi? Certo non degli extraterrestri. Ma si tratta del regime iraniano, lo stesso che in queste ore i soliti ragazzi coraggiosi contestano in piazza, sfidando in città e all’università Amir Kabir, mentre fioccano i lacrimogeni e le Guardie rivoluzionarie aspettano il solito ordine di sparare. Qui non ci saranno errori: la Guardia rivoluzionaria è fatta così, prima spara, poi ci ripensa, a volte non ci ripensa nemmeno.

La violenza, la difesa cieca del regime è la sua legge; e le scelte non sono certo accurate e precise, anzi, la rilettura della biografia di Suleimani fornisce l’idea di un personaggio agitato e forse persino ignorante, in cui il messianismo religioso era legge: nel ’99 minacciò Khatami che se non avesse sparato agli studenti in piazza, la Guardia si sarebbe rivoltata contro il regime. I suoi progetti imperiali basati sulle uccisioni in tutto il Medio Oriente, l’uso del terrore concordano concettualmente con la tragedia dell’aereo ucraino. È una storia di difesa di un regime violento e anche debole: la tragedia si è compiuta in dieci secondi e poi l’ordine è stato dato, il missile va su e l’aereo 737 va giù con le sue 176 persone a bordo: 82 iraniani, 62 canadesi, 11 ucraini e fra loro molti ragazzi che si muovevano per ragioni di studio.

Ad abbatterlo pochi minuti dopo il decollo dall’aeroporto Imam Khomeini di Teheran sono state le forze aeree delle Guardie della Rivoluzione sospettando che fosse un velivolo nemico. Il generale Ali Hajizadeh ha detto che il suo soldato ha avuto solo pochi secondi e non ha ricevuto risposta per un’interferenza nelle comunicazioni. Un errore mostruoso, frettoloso, ebbro, compiuto proprio sulla testa di Teheran dalle guardie più selezionate del regime, laddove le responsabilità dovrebbero essere più certificate e dense, le tecniche e le capacità in atto le migliori.

La scelta di parlare, dopo parecchie ore di rifiuto ad ammettere una verità che appariva già palese a molti capi di stato stranieri, probabilmente è stata dovuta alla pressione internazionale legata all’evidenza, ma anche certamente al fatto che gli iraniani abbiano pensato di cavarsela relativamente a buon mercato perché i media internazionali hanno attaccato Trump in coro come un terribile, irragionevole, insopportabile guerrafondaio che ha eliminato Qassem Suleimani dando fuoco al mondo. Così hanno cercato di dargli la colpa.

Mohammad lavad Zarif, il ministro degli Esteri, ha accusato «l’avventurismo americano» di avere provocato l’errore della contraerea della Guardia della Rivoluzione. E anche Rohani ha insistito: «Per difenderci da possibili attacchi da parte americana, le forze armate dell’Iran erano in piena allerta, il che ha portato sfortunatamente a questa terribile catastrofe».

Si legge debolezza e confusione, in queste risposte. Ma non funziona: l’Iran si dichiara per quello che è, un mondo fragile anche se armato fino ai denti, in cui le forze delle Guardie hanno licenza di uccidere, e dove se avessero a disposizione un bottone rosso che fa partire l’atomica, non è difficile immaginare che cosa ne farebbero. Per ora speriamo che il disastro aereo li induca a contenersi di fronte alle proteste in corso: dal 15 al 23 dicembre, durante le ultime manifestazioni, 1.500 persone sono state uccise; quattromila i feriti, dodicimila gli arrestati. Questo, dentro l’Iran. Ma i morti a causa del regime sono ovunque. Nei luoghi della conquista imperialista di Suleimani, migliaia di uccisi. Sull’aereo colpito per sbaglio, gli ultimi 176 innocenti.

Fiamma Nirenstein, Il Giornale 12 gennaio 2020

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