Il MAN Museo d’Arte Provincia di Nuoro ospita la prima grande mostra personale in un museo europeo dedicata a Kiluanji Kia Henda (Luanda, Angola, 1979), uno dei più significativi artisti e attivisti di origine africana nello scenario dell’arte contemporanea. Something Happened on the Way to Heaven” è il titolo della mostra che si è aperta il 31 gennaio e sarà allestita negli spazi del MAN sino al 1° marzo. Curata da Luigi Fassi, direttore del MAN, la mostra è prodotta ad hoc per il museo di Nuoro che in collaborazione con la Fondazione Sardegna Film Commission ha invitato l’artista a esplorare l’isola e a offrire il proprio sguardo estetico sulla Sardegna.

Il progetto ripropone una modalità di invito-residenza già attivato lo scorso anno con l’artista franco-ivoriano François-Xavier Gbré e prosegue una linea di ricerca avviata dal MAN sulla scena artistica africana contemporanea. Il progetto espositivo sarà poi presentato dal MAN all’interno degli spazi espositivi della Galerias Municipais di Lisbona nel mese di ottobre 2020.

“Something Happened on the Way to Heaven” presenta una serie di opere scultoree e installative realizzate ex-novo da Kiluanji Kia Henda durante il soggiorno sull’isola, accanto a lavori fotografici precedentemente prodotti. Nelle opere di nuova produzione le bellezze paesaggistiche della terra sarda si fondono con le tracce architettoniche della Guerra Fredda e delle basi militari ancora presenti sull’isola. Sono elementi che caratterizzano tutto il bacino Mediterraneo di oggi, terra di migrazioni e ingiustizie sociali all’interno di una paradossale cornice di idilliaca bellezza naturale. Il progetto “Something Happened on the Way to Heaven” si modula come un’osservazione a due vie sull’universo mediterraneo della Sardegna: un apparente idillio paradisiaco che come un velo di maya manifesta la presenza del suo contrario. La dialettica contraddittoria dell’isola appare qui, infatti, come una sintesi di uno splendore naturale dotato di caratteristiche idealizzate e di un controcanto oscuro (e mediaticamente rimosso) di minacce antiche e attuali.

Il primo elemento dialettico è per l’appunto il bello; rappresentato dalla natura mediterranea e dall’idealizzazione del mare e delle coste, una bellezza che è diventata una merce di massa nell’epoca del turismo contemporaneo. Il secondo elemento è invece il brutalismo architettonico, ciò che può essere etichettato come il “rimosso estetico”, costituito dalle tracce sul territorio della stagione della Guerra Fredda che hanno sporcato il locus amoenus con basi militari e rovine industriali nel segno, a oggi ancora indelebile, di un supposto progresso dopo il secondo dopoguerra. A questo “rimosso estetico” si aggiunge l’immagine perturbante del Mediterraneo del presente, non più ponte di prossimità sincretica tra mondi, lingue e culture, ma miraggio di speranza di una nuova vita tradottasi in morte per migliaia di persone che tentano di attraversarlo per raggiungerla.

Il territorio della Sardegna è così interpretato nel suo dissonante contrasto tra la meraviglia del paesaggio marittimo e il dramma del Mediterraneo odierno, come luogo di conflitto e sbarramento, confine di un’Europa che chiude sé stessa dietro una cortina di sempre più rigide barriere, giuridiche e fisiche. Il tema della migrazione e dello spostamento è evocato attraverso immaginari zoomorfi come quello dei fenicotteri, che vivono una mobilità nomadica come parte integrante della loro vita, senza rigide determinazioni stagionali, simboleggiando la migrazione come fenomeno libero, imprevedibile e universale; e di cui purtroppo facciamo ancora fatica a riconoscere il portato anche, se non soprattutto, umano.

In questo scenario esistenziale, il MAN nella poetica dell’artista diventa un porto sicuro, un’ancora di salvezza, un’oasi di umanità; un “museo aperto” secondo un felice accostamento semantico di Luigi Fassi, in grado di risemantizzare il territorio che lo ospita: “L’attività del MAN è finalizzata a valorizzare il ruolo della Sardegna come territorio privilegiato di ricerca e produzione per artisti internazionali, guardando con particolare attenzione al mondo del Mediterraneo. La Sardegna è un immenso archivio di ricerca sul mondo mediterraneo e per gli artisti che concepiscono la propria attività come forma di pensiero complesso. L’obiettivo è quello di continuare a pensare la Sardegna come crocevia di idee nel Mediterraneo, ribaltando la prospettiva geografica, l’asse nord-sud con cui si guarda alla Sardegna: non un territorio marginale, ma un avamposto di elaborazione”.

Visione che il museo MAN porta avanti negli ultimi anni in partnership con la Fondazione Sardegna Film Commission. Come sottolinea la direttrice Nevina Satta: “La strategia di declinare i nostri location scouting al servizio del lavoro degli artisti visuali – come già accaduto con François-Xavier Gbré e nelle collaborazioni con Film London Flamin e La Quadriennale di Roma – si inserisce in una volontà di potenziamento delle industrie creative nell’isola. Obiettivo della Sardegna Film Commission è investire nella sperimentazione di nuovi immaginari che raccontino la Sardegna, al fine di rafforzare la diffusione internazionale di una narrazione dell’identità contemporanea della Sardegna”. Come in un potente flash-back, chiude la mostra una serie di immagini realizzate nel 2006 dall’artista a Luanda in Angola, con cui Kiluanji Kia Henda aveva iniziato il suo percorso artistico, documentando la devastazione del territorio angolano durante la Guerra Fredda. Il Mediterraneo e i territori subsahariani sono così messi in relazione tra loro come geografie sociali instabili e in mutamento, testimoni delle trasformazioni recenti e future che attraversano i rispettivi continenti, l’Europa e l’Africa.

Kiluanji Kia Henda vive e lavora tra Luanda, in Angola, e Lisbona. Nato a Luanda nel 1979, Kiluanji Kia Henda è stato inserito nel 2014 dalla rivista politica americana “Foreign Policy” tra i Leading Global Thinkers più influenti del nostro tempo. La poetica di Kiluanji Kia Henda può, infatti, inscriversi nel cosiddetto “artivismo”, predisponendo una riflessione estetica che prende le mosse dalla storia del suo paese, in particolare sulla complicata relazione tra colonialismo e post-colonialismo. L’artista proviene infatti da un Paese, l’Angola, segnato da una delle più lunghe guerre civili del continente africano e da uno stato di perenne metamorfosi dove l’accesso alla storia e alla sua testimonianza sono possibilità ridotte e latrici di conflitti irrisolti. Kiluanji Kia Henda pone al centro del suo lavoro un confronto con l’eredità della storia occidentale per riflettere su temi cruciali del dibattito africano, europeo e globale, quali la migrazione, il nazionalismo e il ruolo della memoria come fattore di civiltà. L’artista lavora principalmente con la fotografia, il video e l’installazione nella forma del light-box ma anche attraverso opere inscrivibili nei paradigmi della land-art.

Nel 2007 ha rappresentato l’Angola alla Biennale di Venezia, mentre nel 2014 ha partecipato con la videoinstallazione “Concrete Affection” alla quattordicesima Biennale di Architettura di Venezia; il video parte dalle riflessioni del giornalista polacco Ryzard Kapucinski, pubblicate nel libro “Another day of life – Angola 1975”. Tema centrale del tutto sono le guerre civili che hanno dilaniato il paese nel corso degli ultimi giorni di dominazione portoghese. Nel 2017 ha vinto il Frieze Artist Award.

com.unica, 6 febbraio 2020

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