Sicurezza e tecnologia, così Netanyahu ha riconquistato Israele
Ribaltando i pronostici della vigilia, Benjamin Netanyahu ha nuovamente vinto le elezioni generali in Israele. Il commento di Gianni Vernetti (La Stampa)
Un’affluenza record (intorno al 70%) e per la prima volta con 16 seggi dedicati ai 5.000 cittadini in quarantena per il rischio coronavirus con personale medico, tute bianche e mascherine. “Bibi” ha vinto, ma non stravinto e anche se ora dovrà essere capace di allargare la sua coalizione per avere quei 3 voti in più in grado di governare, il risultato del voto del 2 marzo rimarrà un fatto storico.
Netanyahu è stato percepito come un leader in grado di difendere il Paese dalle molte minacce esterne, ma soprattutto essere colui che ha contributo in modo decisivo alla modernizzazione del Paese. Ha saputo difendere Israele contro la minaccia dell’Iran, non esitando ad attaccare i nemici di Israele in Siria distruggendo le nuove basi di Hezbollah, neutralizzando la micidiale rete di tunnel in Libano, colpendo ripetutamente la Jihad islamica a Gaza. Sotto la guida di Netanyahu, Israele ha poi realizzato il sistema di difesa missilistico più avanzato al mondo. “Iron Dome” (la Cupola d’Acciaio), “David’s Sling”, la Fionda di Davide e “Iron Beam”( la Trave di Ferro) sono nate grazie al dialogo fra l’industria militare tradizionale e molte start-up innovative.
Ma ciò che è stato più apprezzato della leadership di “Bibi” nel campo della sicurezza è aver saputo promuovere molte azioni diplomatiche eterodosse (e segrete) nel mondo arabo in funzione anti-iraniana. Pensiamo solo ai rapporti fra Israele e Emirati Arabi Uniti: apertura di una sede diplomatica ad Abu Dhabi presso l’Irena; partecipazione di aerei emiratini e israeliani a esercitazioni militari congiunte nel Mediterraneo; operazioni congiunte nel Sinai egiziano per contrastare il terrorismo jihadista e infine la partecipazione ufficiale di Israele all’Expo 2020 di Dubai.
Con l’Arabia Saudita, poi, sono stati siglati molti accordi di rilevante valenza geopolitica: fra tutti la possibile nuova ferrovia che collegherà il porto di Haifa con i porti dell’Oman (al di là dello stretto di Hormuz perennemente sotto la minaccia di Teheran), attraverso la Giordania e il deserto saudita. Un grande progetto infrastrutturale che potrebbe integrare sempre più l’economia di Israele con quella del Golfo. Infine, l’apertura di Israele verso l’Africa con il ripristino delle relazioni diplomatiche con Ciad e Sudan e trattative avanzate con Mali e Niger. Sul piatto: l’apertura dello spazio aereo all’aviazione civile di Israele, sicurezza, lotta al terrorismo e cooperazione nell’agricoltura e nella lotta alla desertificazione.
Ma forse il vero motivo della vittoria di Netanyahu sta nell’avere guidato un Paese che negli ultimi vent’anni è cresciuto con una media del 4,1% all’anno, diventando quella “Start-up Nation” (dalla brillante definizione di Dan Senor e Saul Singer nel saggio sul miracolo economico israeliano), oggi leader in tanti settori delle tecnologie informatiche, spaziali e biomediche. Un “Sionismo 4.0” che ha trasformato Israele in una delle democrazie più innovative e avanzate del mondo.
Gianni Vernetti, La Stampa 5 marzo 2020