18 marzo 1983, muore Umberto II, il “re di maggio”
[ACCADDE OGGI]
Chi lo ha conosciuto, magari profittando dei numerosi pellegrinaggi a Cascais organizzati dall’UMI (il movimento che raccoglie i nostalgici della monarchia sabauda), ricorderà un uomo elegante, dal portamento nobile e con lo sguardo che sembrava eternamente rivolto verso un orizzonte lontano. Forse quell’orizzonte a cui sempre guardava era il cielo della sua patria italiana a cui fu strappato, anche e soprattutto per suo volere, il 13 giugno 1946.
Umberto II di Savoia, morto in terra straniera il 18 marzo 1983 è stato l’ultimo Re d’Italia; un re senza potere sul trono per nemmeno 50 giorni tra maggio e giugno del 1946 passato alla storia come “il re di maggio”. Se, come sostiene Oriana Fallaci, “la Patria è un vincolo fatto di molti vincoli che stanno nella nostra carne e nella nostra anima, nella nostra memoria genetica. È un legame che non si può estirpare come un pelo inopportuno” quale Italia era stata la patria di Umberto II? Suo nonno era Umberto I di Savoia figlio di Vittorio Emanuele II che fu per 12 anni Re di Sardegna e per 17 Re d’Italia; il nono Umberto fu re per solo tre anni perché costretto dai colpi mortali sparatagli a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci a lasciare il trono all’unico figlio Vittorio Emanuele III, il padre. Suo padre, uomo intelligente e scaltro, ossessionato dal complesso della bassa statura che tentò di combattere, nonostante il suo scarso coraggio, imponendosi come re soldato, soffrì anche del grande cruccio di non vedere arrivare un figlio maschio dal matrimonio con Elena di Montenegro, la madre di Umberto, così rischiando di dover lasciare il trono all’odiato ramo dei cugini Savoia-Aosta tutti belli e alti. Quando finalmente arrivò il figlio maschio, l’unico pensiero di Vittorio Emanuele III fu rivolto a fare del pargolo un re.
Umberto fu quasi immediatamente tolto agli affetti materni per essere affidato all’ammiraglio Attilio Bonaldi incaricato dal padre dell’educazione del futuro sovrano secondo rigide regole militari. Così, il principe di Piemonte e non Principe di Roma per non infastidire ulteriormente il Papa fermo nella sua scomunica dei Savoia, visse la sua adolescenza vestendo sempre la divisa ma solo per ben apparire nelle sfilate militari. Suo padre, infatti, con l’accordo di Mussolini, lo tenne lontano dai teatri di guerra e mai gli consentì di mettere bocca nelle questioni politiche. Umberto ligio al motto dell’”obbedir tacendo” subì anche il matrimonio combinato con Maria José del Belgio, nata principessa del Belgio e che tale volle restare anche nei documenti ufficiali rifiutandosi di firmare come Maria Giuseppina di Savoia, il nome datogli dopo il matrimonio con Umberto. Al contrario del marito Maria José amava immischiarsi nelle faccende politiche e, soprattutto, aiutava e sosteneva le tresche che a corte lavoravano contro il governo in carica. Umberto lasciò fare e qualche volta ne prese parte ma pur di non immischiarsi preferì alla stanza da letto coniugale e alle conventicole di corte la bella vita fuori palazzo. Anche per questo si alimentarono le voci malevoli che, originate dallo scarsa intesa amorosa con Maria José, vollero Umberto più interessato sessualmente a giovani camerieri e soldati. In ogni caso sempre fuori dalle decisioni di palazzo e sempre subendole, compresa la vergognosa fuga da Roma a Brindisi l’8 settembre 1943, quando per “obbedir tacendo” scatterà sull’attenti alle parole di Badoglio che gli proibì di far ritorno a Roma.
Supinamente accetterà anche quello che per molti apparirà come un colpo di stato, quando, senza attendere l’esame della Corte di cassazione sul discusso esito referendario proclamerà agli italiani “…Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale e arbitrario, poteri che non gli spettano…”. Se ne andrà dall’Italia il 13 giugno 1946 fidandosi della parola di De Gasperi che gli avrebbe detto “che allontanandosi per poco dalla città tutto sarebbe stato più semplice e invece: quel “trucco” che è meglio non definire in termini “appropriati”! …”.
Lo ripagheranno con l’articolo XIII transitorio della costituzione che vieterà in perpetuo il ritorno in Italia a lui e ai suoi eredi. Morirà dopo 40anni di esilio si dice pronunciando al parola “Italia”, ben consapevole di una patria sospirata ma mai avuta e ancor più consapevole che con lui si estingueva una dinastia, tanto consapevole da far seppellire insieme a lui il sigillo reale simbolo visibile della legittimità per gli eredi al trono di Casa Savoia. Ai suoi funerali l’Italia sarà rappresentata solo dal console generale d’Italia a Lione.
(Franco Seccia/com.unica, 18 marzo 2020)