L’umanità allo specchio del coronavirus
Considerazioni e proposte per un mondo a misura d’uomo
In questi giorni drammatici l’umanità si trova davanti ad uno specchio che ne riflette l’immagine. Un’immagine vera, senza trucchi. Al naturale. Un’immagine che ci svela il senso della vita, riassunto nel concetto di precarietà. Non abbiamo nulla, ma siamo in tutto e per tutto precari. Tutto, infatti, ci viene dato: la vita e la morte, il bene e il male, la pace e la guerra, la gioia e il dolore, il sole e la pioggia, la terra ferma e la terra che trema. Siamo uomini e donne in cammino verso una meta che non conosciamo e non conosceremo mai.
Uomini e donne, naturalmente uguali, senza altri aggettivi. Semplicemente uomini e donne, che vivono quotidianamente la vita di tutti. Ricchi e poveri, intellettuali e ignoranti, europei ed extraeuropei. Anche dal punto di vista religioso: cristiani, ebrei, musulmani, buddhisti, taoisti, ateisti, tutti uguali nell’unico segno dell’umanità. Persone che si rispettano e si amano per vivere la stessa sorte.
Una sorte che non abbiamo chiesto. Nessuno ha chiesto di venire in questo mondo. Giunti in un mondo che non conoscevamo. Costretti. Come tutti. Prigionieri tra prigionieri. Proprio questa situazione iniziale comune dovrebbe creare tra gli uomini una famiglia di fratelli e sorelle. Purtroppo la storia, fino ad oggi, ci ha mostrato e continua a mostrarci che gli uomini si odiano, si combattono, si annientano.
La situazione mondiale del coronavirus è certamente una sventura, ma se l’esito producesse la consapevolezza e realizzazione d’un nuovo mondo, diventerebbe un miracolo. Miracolo meravigliosamente umano, perché è l’uomo e solo l’uomo che fa miracoli. La metafora del cerchio, in cui principio e fine, vita e morte, si identificano, rappresenta perfettamente l’unità dei contrari, esposta da Eraclito. Non si tratta di aspetti contrastanti, ma interdipendenti, perché l’uno implica l’altro: la vita corre verso la morte. “La stessa cosa sono il vivente e il morto” afferma Eraclito.
Nella cultura occidentale, la morte è considerata come il male per antonomasia. Il male dei mali. E per esorcizzarla si è ricorsi all’idea di immortalità. Un’idea pre-cristiana, che il Cristianesimo ha fatto propria, nel momento in cui ha accettato la dicotomia anima/corpo. Ma l’uomo è tale solo nell’unione di anima e corpo. Al momento della separazione non è più uomo. Come l’acqua non è più tale quando vengono separati i due elementi di ossigeno e idrogeno. Una trasformazione sostanziale. Senza il corpo, non ha senso parlare di gioie e dolori. Quindi non ha senso parlare di inferno o di paradiso.
«La morte conforme a natura, – ha scritto Feuerbach – la morte che è il risultato del compiuto sviluppo della vita non è un male. L’immortalità è un bisogno dell’immaginazione umana, non della natura umana». E nella sua opera più significativa, “L’essenza del Cristianesimo”, accusa il cristiano di essere un egoista, perché adegua il suo comportamento morale in funzione del castigo nell’inferno o della felicità in paradiso. Il paradiso conquistato sulla terra col denaro non è che nullità, mentre la felicità del benessere per tutti gli uomini sarebbe il ritorno all’Eden. A quel paradiso, sognato da millenni.
La ricchezza individuale è segno di inettitudine e inferiorità mentale. Ecco perché Erodoto racconta che Solone, dopo aver dato la Costituzione agli ateniesi, intraprese un lungo viaggio per il mondo, arrivando a Sardi, dove comandava il ricchissimo Creso. Di fronte alla domanda di Creso se avesse mai incontrato l’uomo più felice di tutti, Solone risponde con un’altra domanda: “Che cos’è la felicità per gli uomini?” E risponde che nessun uomo può essere considerato felice prima della morte e che la felicità consiste nel “filosofare”, cioè nel rispondere ai perché della vita.
In un periodo così particolare per l’umanità, con una pandemia che tende a colpire ogni individuo in ogni parte del mondo, si pone l’interrogativo “chi e cosa siamo”? Non raggiungeremo la verità, perché non lo sapremo nemmeno con la morte. Ma sulle ceneri degli uomini che hanno dato la vita per il bene dell’umanità, da sempre ed anche in questi giorni curando malati, nascerà un mondo nuovo e uomini nuovi. Forse sono ancora valide le parole di uno scrittore tedesco: “L’umanità è il lato immortale dell’uomo mortaleʺ.
Mario Setta, com.unica 29 marzo 2020
*Nell’immagine in alto ‘Infinity Mirrors’ dell’artista giapponese Yayoi Kusama