L’importanza della comunicazione nella lotta di Liberazione
In occasione del 25 aprile pubblichiamo un brano dal libro “Il Tramonto dei Giusti” di Pino Pelloni sul ruolo della stampa clandestina. Con una testimonianza di Antonio Ghirelli
I primi a sostenere l’importanza di una comunicazione rivolta sia alla popolazione e sia ai combattenti partigiani furono il toscano Carlo Ludovico Ragghianti, grande storico d’arte, e il torinese Dante Livio Bianco entrambi esponenti del Partito d’Azione. Nel 1944 sostenevano a gran voce che senza giornali la Resistenza non poteva operare al meglio. Anzi, Ragghianti ipotizzava pure che, senza un giornale, il suo partito avrebbe cessato di vivere. Si trattava di una stampa che operava tra grandi difficoltà ma che doveva raccontare e far conoscere la situazione del Paese, diversamente da come veniva proposta dalla stampa di regime: dalle vicende della guerra all’occupazione nazista, da quanto accadeva nella Repubblica Sociale di Mussolini all’attività partigiana.
A quel tempo Roma era sede di importanti quotidiani, dell’agenzia di stampa Stefani, della radio di Stato, dell’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede. Molti giornalisti e tipografi si servirono di questi canali per creare una rete di controinformazione destinata ai fogli prodotti in clandestinità. Va ricordato l’operato del giornalista Ettore Basevi, già redattore della Stefani, che con il suo “Bollettino giallo”, così chiamato perché realizzato su carta giallina, distribuiva alle redazioni clandestine una serie di preziose informazioni “passate” da giornalisti antifascisti che lavoravano nei giornali ufficiali e raccolte tramite il centro di informazione radiofonica del Fronte militare clandestino della Resistenza.
Quindi di primaria e strategica importanza fu il ruolo che ebbe la stampa clandestina nel corso della lotta di resistenza. Nella sola Bergamo circolavano due giornali illegali “Bergamo proletaria” e “Italiani che si liberano”. A Milano si stampavano alla macchia oltre dieci giornali di tutte le posizioni politiche della Resistenza, che venivano diffusi capillarmente e con molto rischio, fino nei più piccoli paesi, ad opera di una rete in cui accadeva che gli operai comunisti diffondessero anche la stampa del Partito d’Azione.
Alcune informazioni venivano addirittura da infiltrati negli uffici e comandi nazifascisti. Scritte murali, cartelli affissi nottetempo, diffusione di foto degli eccidi nazifascisti, erano altri mezzi di questa azione.
E se gli operai in sciopero ricevevano le informazioni dal giornale sindacale “La fabbrica”, si andava meglio definendo il ruolo delle radio clandestine al servizio della Resistenza. La radio, mezzo di comunicazione ampiamente usato da tutti i protagonisti della seconda guerra mondiale (Hitler, Mussolini, Roosevelt, Churchill, De Gaulle, Stalin e anche Pio XII), venne messa al bando durante l’occupazione nazista dell’Italia.
La radio era il medium più importante e più diretto di quegli anni. Nel 1920 in Cornovaglia l’emittente Marconi aveva dato inizio al primo servizio regolare di diffusione radiofonica ed è nel 1922 che prende il via ufficialmente la programmazione della BBC. In Italia invece la storia della radiofonia può essere datata al 1923 quando Guglielmo Marconi, grande scienziato e premio Nobel per la Fisica nel 1909, si presenta da semplice imprenditore al capo del governo Benito Mussolini per chiedere l’autorizzazione per avviare un servizio radiofonico. L’autorizzazione gli viene negata. L’anno dopo il governo emana un decreto che riserva allo Stato i servizi di radiofonia. Nasce così l’Unione radiofonica Italiana (URI). Si tratta di una società privata, tra i cui azionisti ci sono il Gruppo Marconi e forse la Fiat. È la prima concessionaria del servizio pubblico di radiodiffusione, sotto le direttive del ministero delle comunicazioni con a capo Costanzo Ciano. Contemporaneamente viene istituito il canone di abbonamento e la pubblicità e un regio decreto-legge, per l’esattezza il n.1266, impone il controllo del governo sui contenuti: occorre un visto prevenivo sulle notizie che non provengono dall’Agenzia Stefani, che è sotto il controllo della Presidenza del Consiglio.
L’Uri diventa Eiar, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, nel 1928 e la radio diventa lo strumento più importante di istruzione e propaganda del regime anche se pochi sono gli italiani a possedere un apparecchio ricevente per via degli alti costi. È negli anni Trenta che nascono il giornale radio, il varietà radiofonico, i concorsi a premi, le “conversazioni culturali” e le radiocronache in diretta degli avvenimenti sportivi e i commenti politici. Mussolini da abile comunicatore conosce il valore del medium e nel 1933 fa distribuire, dall’Ente radio rurale, apparecchi nelle scuole. La voce del regime deve raggiungere tutto il paese: nel 1937 inizia la produzione, da parte di diverse industrie, della Radiobalilla. È un apparecchio relativamente economico, pensato apposta dal regime per far arrivare la propaganda anche tra fasce meno abbienti. Nasce anche il Ministero della Cultura popolare (Minculpop), che assume il controllo delle radiodiffusioni dell’Eiar.
Gli anni della guerra vedono la crescita del ruolo propagandistico della radio, ma il pubblico ha già cominciato da tempo ad ascoltare, nonostante i divieti, le radio straniere. Tra le quali Radio Londra, seguitissima sino alla fine della guerra.
Quindi la radio, entrata in clandestinità, si rivelò un importantissimo mezzo per avere informazioni dai paesi alleati, per tenere i collegamenti con le truppe di liberazione, per informare gli italiani sulle fasi dell’avanzata delle truppe anglo-americane. Già dal luglio del 1938 fu emanato un decreto che comminava sei mesi di carcere per l’ascolto clandestino che divennero tre anni durante gli anni della guerra. Palmiro Togliatti, con lo pseudonimo di Mario Correnti, rivolgeva “Discorsi agli italiani” da Radio Mosca. E poi, sempre da Mosca, venivano diramate trasmissioni come “Radio Milano Libertà, e la “Voce della Verità”. Dagli Sati Uniti, sin dal 1942 “La Voce dell’America” si rivolgeva agli antifascisti anche con le notizie lette da Fiorello La Guardia. La più seguita di tutte era Radio Londra con le sue celebri voci, quella del Colonnello Stevens, dei nostri Ruggero Orlando e Pietro Treves. La radio Vaticana trasmetteva solo radiomessaggi pontifici ed apostoliche benedizioni ma era ugualmente considerata tra quelle nemiche. La nostra Eiar, da Bari e Napoli e poi dal 1944 da Roma, inviava notiziari e messaggi in codice per le formazioni combattenti.
Invece l’unica radio clandestina di partigiani, dal nome di “Radio Libertà”, operava alla fine del ’44 in Piemonte.
A Milano, dall’agosto del 1939 al luglio del 1942, L’Unità, il giornale fondato da Antonio Gramsci, viene stampato e diffuso in clandestinità. La polizia bracca le varie tipografie di fortuna che stampano le pagine del quotidiano comunista al quale danno il loro prezioso contributo soprattutto le donne. Dalle giornaliste alle tipografe alle staffette che corrono da una parte a all’altra della città per distribuirlo, rischiando carcere e tortura se non la vita. Tra queste donne, vanno ricordate Camilla Ravera, Rita Montagnana, Teresa Noce, Pia Carena Leonetti, Felicita Ferrero, Lucia Scarpone, Pierina Amerio, Giulietta Francini, Serena Seidenfeld. Donne che con il loro contributo hanno disegnato il percorso delle donne italiane in tempo di pace ritrovata.
Il numero de L’Unità distribuito il 7 novembre 1942 è profetico: ”Il 23 settembre 1942 – si legge nel titolo di apertura – è l’ultimo anniversario fascista che vede Mussolini al potere”. Il 7 settembre 1943 appare un articolo, ovviamente anonimo ma scritto però da Elio Vittorini, che incita la popolazione a prendere le armi per cacciare i tedeschi dall’Italia.
La testimonianza di Antonio Ghirelli
Ero di stanza come ufficiale di truppe antiparacadutiste a San Vito dei Normanni quando, avendo avuto una licenza per raggiungere la mia famiglia perché la nostra casa era stata bombardata, tentai di raggiungere Napoli passando per Benevento. Dalle Puglie a Napoli, dove giunsi il 12 settembre proprio mentre il comandante del presidio tedesco lanciava il bando di arruolamento per tutti gli uomini da 15 ai 41 anni per destinarli o nelle forze armate o nelle brigate del lavoro tedesche. Decisi in quel momento di scappare dopo aver lasciato una eroica lettera di saluto a mia madre. Con la vesuviana arrivai a Pompei insieme ad un pompiere calabrese che fuggiva pure lui verso il Sud.
Ricordo la meraviglia di questo pompiere nel sentire che alla stazione tutti parlavano pubblicamente e per la prima volta male di Mussolini. Mi disse una cosa che non ho più dimenticato: “Signurì… che confusionismo”. Lui aveva intuito genialmente quel che stava accadendo. Arrivato sulla costiera amalfitana, prima ho fatto il cameriere per un maggiore inglese e poi mi sono arruolato nella brigata partigiana Italia messa insieme da un capitano italiano, pure lui in licenza. Era il 18 o 19 settembre quando ebbi un fucile e l’ordine di portare un asino dall’altra parte della montagna verso il golfo di Napoli. Qui compii l’unica azione veramente eroica della mia vita. Sequestrai un asino e con un sacco di carrube in mano lo convinsi a seguirmi anche per obbedire all’ordine della regina di Inghilterra. Poi liberammo alcune località della penisola sorrentina, giungemmo a Castellamare di Stabia, il cui castello era già stato occupato dagli inglesi, i quali, avendo più un atteggiamento monarchico che antifascista, ci tolsero tutte le armi.
Tornai a Napoli per salutare mia madre e per qualche giorno feci lo scaricatore di porto, scaricavo più che altro cassette di munizione alleate. Poi ebbe la fortuna di entrare nella marina britannica come “Virtual office assistant”, era l’ufficio alimentazione che gli ufficiali della marina inglese avevano allestito in una vecchia caserma. Si mangiava regolarmente a pranzo e a cena e tutti i napoletani che rubacchiavano sui generi alimentari furono licenziati mentre io ebbi tre promozioni e rimasi a Napoli sino a vedere i feriti ed i morti di Anzio sbarcati dalle navi alleate. Fui poi chiamato da due ufficiali intellettuali a lavorare nel settore propagandistico della Quinta Armata americana e ho lavorato per loro cinque mesi. E quello che ricordo è che mentre gli inglesi monarchici erano monarchici anche rispetto ai Savoia gli americani invece, in quel momento rooseveltiani, erano molto più liberali. Per loro ho fatto i radiogiornali, i commenti senza avere mai una censura. Stavo alla sezione prosa che riguardava la propaganda, la cultura e l’arte di radio Napoli. La radio era allora, oltre ai giornali, l’unico mezzo di comunicazione. E beffa delle beffe noi ci servivamo dello straordinario impianto di Radio Bari, voluto da Mussolini per fare la propaganda contro gli inglesi nel mediterraneo, per fare la propaganda della libertà. Che gioia per un ragazzo di venti anni parlare con una città. Di chiamare a raccolta i sindacalisti, le donne, i giovani. Di chiamarli alla democrazia. E raccontare le oscenità del regime totalitario e annunciare la fine della guerra.
Fummo fortunati e felici. Quando però gli americani abbandonarono la mia Napoli per dirigersi su Roma, io ed un mio amico che poi sarebbe stato un grande giornalista e direttore dell’Europeo, Tommaso Giglio, decidemmo di seguire la Quinta Armata. Con dei camion raggiungemmo Civitavecchia e ci dirigemmo in Toscana, arrivando nelle campagne alle porte di Firenze. Avevamo con noi due camion, uno con una stazione trasmittente e uno ricevente. Impiantammo in una stalla la nostra radio a cui lavoravamo in quattro intenti a trasmettere i commenti e i giornali radio. Io e Giglio italiani e due prigionieri tedeschi, sicuramente antifascisti e fuggiti dai loro reparti, alle cui spalle c’erano sempre due soldati americani di origine tedesca a controllare che non dicessero cose inneggianti al Fuhrer. Noi avevano di fronte due nemici. Il generale Kesserling, un grande stratega che teneva saldamente sotto controllo la linea gotica a tutelare Firenze e Bologna, anche perché gli alleati avanzavano con grande cautela per non avere vittime e per non farne neanche tra la popolazione italiana. E il maresciallo Graziani che era il comandante di due divisioni fasciste in Liguria. E su questo fronte noi giornalmente trasmettevamo delle rubriche a sostegno della lotta partigiana contro il fascismo e contro i tedeschi. Però, come speso accade, tutte le tragedie hanno sempre un risvolto farsesco. L’energia per far funzionare la nostra radio ci era fornita da una antenna che era un pallone aerostatico innalzato dagli americani su questa nostra stalla adibita a redazione e che veniva bombardato regolarmente dai caccia inglesi quasi ogni sera. Per fortuna gli americani avevano tanti palloni e noi non fummo mai costretti al silenzio. Tale era la nostra euforia di trovarci in prima linea e di correre pochissimi pericoli per la verità ma soprattutto di fare un lavoro così politicamente stimolante tanto da divertirci. Finalmente la linea gotica fu travolta e arrivammo a Bologna dove già si respirava l’aria della fine della guerra e della vittoria dell’antifascismo. A Bologna, dove il partito comunista era molto forte, noi continuammo nel nostro lavoro di informazione e propaganda nella locale sede dell’Eiar. Dalla montagna, dove agivano delle formazioni di Giustizia e Libertà, scese un giovanotto, un certo Enzo Biagi, che già aveva fatto le sue prime prove di giornalista al Resto del Carlino e di partigiano combattente, io lo assunsi ed insieme avemmo la felicità di annunciare al microfono e solennemente, alle ore 20 di sera, la fine della guerra.