La riapertura di tutti i comparti produttivi e delle scuole – secondo gli esperti del comitato tecnico-scientifico – avrebbe causato un numero di persone in terapia intensiva pari a 151mila e un nuovo picco di contagi a giugno, 430mila entro fine anno. Ecco cosa c’è nel rapporto del Comitato tecnico-scientifico che ha spinto il Presidente del Consiglio, ieri in visita a Lodi, Cremona e Piacenza, a una condotta prudente e a fare poche concessioni per la fase 2 a partire dal prossimo 4 maggio. I dati della Protezione Civile confermano tuttavia il calo dei malati: gli attualmente positivi sono 105.205, 608 in meno rispetto a ieri. I casi totali  salgono a 201.505: 2.100 in più rispetto a ieri, contro i +1.739 di ieri. I morti sono 27.359, 382 nelle ultime 24 ore.

Anche gli altri paesi europei hanno dovuto rinunciare ad aperture eccessive. Il governo francese inizierà ad allentare il lockdown a partire dall’11 maggio. Il premier Edouard Philippe ha annunciato la riapertura di asili nido, scuole elementari, negozi e mercati. Le mascherine saranno obbligatorie nei mezzi pubblici (Bbc). L’obiettivo è quello di raggiungere 700mila test sierologici alla settimana. Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha annunciato invece un piano in quattro fasi per la fine delle misure restrittive, che sarà “graduale, asimmetrica e coordinata”, mentre le scuole rimarranno chiuse fino a settembre. In Germania, il tasso di contagio è risalito vicino alla soglia di 1. Secondo alcuni esperti, che spingono il governo a prendere misure più prudenti, le prime riaperture di negozi e scuole avrebbero aumentato le occasioni di contrarre il Covid-19. Nel Regno Unito aumenta in maniera considerevole il numero di decessi: secondo l’ufficio per le statistiche nazionali, il 17 aprile il numero di morti superava le 24mila unità.

Sul Corriere di oggi da segnalare la prima intervista al capo della task force di governo per la Fase 2 Vittorio Colao rilasciata ad Aldo Cazzullo, di cui proponiamo alcuni passaggi:

Vittorio Colao, gli italiani si aspettavano dalla fase 2 più libertà. Personali ed economiche. Che cosa risponde?
«Dal 4 maggio rimettiamo al lavoro quattro milioni e mezzo di italiani, tra costruzioni, manifattura, servizi collegati, ovviamente nel rispetto dei protocolli. Molti sono già partiti lunedì, anche se questo nella comunicazione si è un po’ perso. Ne rimangono due milioni e 700 mila, più la pubblica amministrazione. È una base per poter fare una riapertura progressiva e completa. Sarà un test importante. Dipenderà dai buoni comportamenti. Un’apertura a ondate permette di verificare la robustezza del sistema».
C’è anche chi dice invece che stiamo riaprendo troppo presto. In Germania i casi aumentano, la Francia rinvia l’apertura delle scuole. L’Italia ripartirà in sicurezza?
«Abbiamo raccomandato tre precondizioni che vanno monitorate. La prima: il controllo giornaliero dell’andamento dell’epidemia. La seconda: la tenuta del sistema ospedaliero, non solo le terapie intensive, anche i posti-letto Covid. La terza: la disponibilità di mascherine, gel e altri materiali di protezione. A queste condizioni si può riaprire».
E se l’epidemia riparte?
«L’approccio non dovrà essere nazionale e neppure regionale, ma microgeografico: occorre intervenire il più in fretta possibile, nella zona più piccola possibile. Abbiamo indicato al governo un processo. L’importante è che le misure siano tempestive; nella speranza che non siano necessarie».
Appunto: perché trattare allo stesso modo l’Umbria, che ha meno di dieci casi al giorno, e la Lombardia, che ne ha quasi mille? Non è meglio differenziare le regole a seconda delle Regioni?
«Io ho mezza famiglia a Catanzaro e mezza a Brescia. I numeri dell’epidemia sono molto distanti; nel lungo termine non li si può gestire allo stesso modo. Dovremo rispondere diversamente, per non penalizzare le zone che hanno meno casi. L’importante è che l’Italia si doti di un sistema per condividere le informazioni. La trasparenza sarà fondamentale. Se tanti lombardi e piemontesi vanno in Liguria, ogni Regione guarderà i suoi numeri, ma il ministero della Sanità dovrà guardare alle interrelazioni, per capire se il movimento crea focolai. Lo stesso vale per il corridoio di trasporto tra Lazio e Toscana. I numeri ci diranno quando potremo proseguire con le riaperture, minimizzando il danno economico e massimizzando la sicurezza».
Molte aziende sono aperte. Ma non ci sono regole chiare sui test.
«Gli italiani devono abituarsi a convivere con il problema. Molte imprese si stanno attrezzando per inserire i test nelle loro procedure di sicurezza interne; il Comitato tecnico-scientifico individuerà quello più affidabile. A livello individuale abbiamo l’App, a livello di grandi numeri lo screening».
L’App servirà davvero?
«Potrà servire se arriva in fretta, e se la scarica la grande maggioranza degli italiani. È importante lanciarla entro la fine di maggio; se quest’estate l’avremo tutti o quasi, bene; altrimenti servirà a poco». L’intervista completa sul Corriere di oggi e su Corriere.it.

com.unica, 29 aprile 2020

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