2 miliardi di persone in trappola tra bombe e coronavirus, l’allarme di Oxfam
La paralisi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la vendita di armi che prosegue senza sosta in tutto il mondo, anche verso le aree di conflitto, stanno facendo fallire la richiesta di un “cessate il fuoco globale” volto alle misure anti-Covid19, avanzata nello scorso marzo dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, e sostenuta secondo gli ultimi dati ufficiali da 59 Paesi, tra cui l’Italia. Lo scorso venerdì, ad esempio, gli USA si sono rifiutati di firmare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che andava proprio in questa direzione. Questo determina che, secondo il nuovo rapporto di Oxfam, circa 2 miliardi di persone sono in trappola tra bombe e coronavirus.
Il rapporto “Il Coronavirus nelle aree di conflitto” denuncia, infatti, una situazione drammatica, che sta compromettendo definitivamente la possibilità di contenere la pandemia da coronavirus in tutti quei Paesi attualmente in conflitto, nei quali le circa 2 miliardi di persone sono stremate da violenza, persecuzioni e carestie.
Uomini, donne e bambini che devono fare i conti con sistemi sanitari fatiscenti e ospedali distrutti, mentre a milioni si trovano in campi profughi, dove contenere il contagio è ancora più difficile, per la mancanza di servizi igienico sanitari adeguati e lo spazio vitale necessario a mantenere le norme di distanziamento sociale.
“Il Consiglio di sicurezza dell’Onu è paralizzato da settimane nei negoziati per l’adozione del cessate il fuoco, e appare in questo momento quanto mai lacerato e incapace di superare posizioni particolaristiche di alcuni dei suoi membri, in una fase della storia in cui la cooperazione per la pace sarebbe più che necessaria – ha detto Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia –. C’è un altissimo rischio che il cessate il fuoco possa arrivare tardi, a epidemia già iniziata, in tante aree già devastate da guerra e violenze. A quel punto, purtroppo, sarà stato il virus a fare le sue vittime, e il tanto auspicato cessate il fuoco quasi certamente non servirà più a niente e nessuno”.
Basti pensare a un Paese come lo Yemen, dove si stanno già registrando decine di contagi da Covid19, con solo metà delle strutture sanitarie in funzione e oltre 100.000 casi sospetti di colera registrati dall’inizio dell’anno. Dove gli scontri continuano e civili innocenti continuano a morire, nonostante l’Arabia Saudita e la sua coalizione (composta da Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein, Giordania, Senegal, Sudan) abbiano annunciato un cessate il fuoco unilaterale lo scorso 9 aprile, prima di due settimane e poi di un mese.
Ma in situazione drammatiche ci sono anche: Myanmar, dove l’esercito ha respinto appelli nazionali e internazionali per un cessate il fuoco e nell’ultimo periodo si sono inaspriti i combattimenti nello stato di Rakhine, con frequenti attacchi aerei e bombardamenti in zone piene di civili. Il tutto in una regione in cui centinaia di migliaia di persone vivono in campi sovraffollati con scarsissimo accesso a strutture sanitarie, con 1 milione di persone che non ha accesso a internet, diventato essenziale per ricevere informazioni sul virus; la Repubblica Centrafricana, dove l’ONU ha appena annunciato la sospensione della sua risposta umanitaria a causa della rottura del cessate il fuoco e dell’aumento esponenziale della violenza nel Paese, nonostante a febbraio 2019 i gruppi armati in conflitto avessero firmato una tregua con il Governo; la Colombia, dove l’Esercito di liberazione nazionale ha dichiarato un cessate il fuoco, mentre altri gruppi armati e il Governo non lo hanno rispettato; l’Afghanistan, dove i negoziati di pace programmati a marzo sono stati rinviati e i Talebani rifiutano adesso il cessate il fuoco, se non sarà il Governo a fare il primo passo; il Burkina Faso, dove le crescenti violenze riducono drammaticamente l’accesso a cibo, acqua e servizi sanitari di base per la popolazione, mentre le restrizioni adottate per prevenire la diffusione del virus hanno peggiorato condizioni di vita già impossibili; il Sud Sudan, dove i finanziamenti per gli sforzi di pace sono destinati al contenimento dell’epidemia.
“Da quando è iniziata l’epidemia, tutto è bloccato – ha detto Gansonré Fatimata, uno dei beneficiari di Oxfam a Kaya in Burkina Faso – non possiamo uscire, incontrarci, lavorare. Tutto è diventato più difficile e sono spaventato dall’incertezza del futuro e dal virus. Prima del Covid faticavamo a mettere in tavola cibo sufficiente, ora è praticamente impossibile”.
E intanto continua la vendita di armi a livello globale. “Il Consiglio di Sicurezza si dovrebbe dimostrare all’altezza del momento, capace di leadership e tempestività – aggiunge Pezzati –. Ma prima di tutto occorre coerenza da parte di quei molti paesi che, pur sostenendo l’appello del Segretario Guterres, continuano a vendere armi, condurre operazioni militari e supportare indirettamente parti in conflitto”.
Sono più che evidenti gli interessi economici in gioco, se si tiene conto che solo l’anno scorso la spesa militare ha raggiunto i 1.900 miliardi di dollari, cifra che supera di 280 volte l’appello delle Nazioni unite per la risposta globale al coronavirus.
Interessi che solo nell’ultimo periodo si sono così manifestati: la britannica BAE Systems ha inviato un aereo cargo in Arabia Saudita; la Russia ha ordini con anticipi già saldati per carri armati pesanti, già testati in Siria; la Francia continua ad alimentare la guerra in Yemen, vendendo armi all’Arabia Saudita; la Germania ha autorizzato la vendita di un sottomarino all’Egitto in aprile; il Canada ha revocato in aprile la sospensione dell’esportazione di armi in Arabia Saudita.
“Per molti paesi il cessate il fuoco è l’unica chance di arrivare a una pace stabile, e conseguentemente alla possibilità di contenere la pandemia da coronavirus – continua Pezzati –. Quasi un terzo della popolazione mondiale ha bisogno che la proposta di cessate il fuoco globale si concretizzi immediatamente, anche se questo non eliminerà le cause profonde di molti conflitti. Perché ciò avvenga sarà necessario coinvolgere gli attori locali nei diversi paesi, in veri processi di pace con un concreto aiuto economico e la guida della comunità internazionale.”
Dopo decenni di violenza, intere popolazioni sono stremate e oggi più che mai esposte al contagio in Paesi, dove i sistemi sanitari sono del tutto inadeguati e l’economia è paralizzata. In Yemen oltre 20 milioni di persone “non hanno accesso a cure di base e l’80% della popolazione dopo 5 anni di conflitto ed embargo imposti dalla Coalizione saudita, dipende esclusivamente dagli aiuti umanitari per poter sopravvivere – spiega Pezzati -. Se affrontare la diffusione del Covid19 in un paese in pace è già estremamente complesso, in un paese in guerra come lo Yemen, dove ci sono in tutto solo 520 posti di terapia intensiva e 194 ventilatori polmonari, rischia di essere praticamente impossibile. Allo stesso tempo alimentare i conflitti in corso attraverso la vendita diretta o indiretta di armamenti, soprattutto in questo momento, è disumano”.
A tal proposito Oxfam ha lanciato un appello urgente a tutti i Paesi, che stanno continuando a esportare armi destinate a raggiungere zone di conflitto a interrompere immediatamente ogni vendita ed esportazione. Lavorando al contrario per fare pressione sulle parti in conflitto perché accettino un cessate il fuoco globale, che porti ad una pace duratura.
“La speranza – conclude Pezzati – è che proprio a partire da questa pandemia si possa iniziare a costruire un mondo in cui la tutela della vita e diritti umani fondamentali, possano venire al primo posto. Comprendendo davvero che nessuno può salvarsi, se prima non ci salviamo tutti”.
A questo si è aggiunta una petizione per chiedere all’Italia un sostegno più forte ad un “cessate il fuoco globale”: in particolare che si impegni per far crescere il numero degli stati aderenti ad un cessate il fuoco globale; sospenda tutte le vendite e i trasferimenti di armi alle parti in conflitto che non stanno aderendo al cessate il fuoco; incrementi l’impegno finanziario a sostegno del Piano globale di risposta umanitaria delle Nazioni Unite.
com.unica, 14 maggio 2020