Il ricordo di un Papa che ha fatto la Storia, i 100 anni di Karol Wojtyla
Sulle tracce del Papa Santo nella sua Cracovia. Parla il Cardinale Stanislaw Dziwisz, per oltre quarant’anni suo segretario particolare.
In occasione del centenario di Giovanni Paolo II (nato a Wadowice il 18 maggio 1920), riproponiamo un articolo di qualche anno fa pubblicato su “L’Unione Sarda”. Primo pontefice non italiano dal 1523, Karol Wojtyla è ricordato oggi soprattutto per il suo eccezionale carisma e per l’influenza decisiva in campo geopolitico, in particolare nella caduta del comunismo. Ma è stato anche teologo, filosofo, poeta, drammaturgo. Nel corso del suo lungo pontificato (durato 27 anni) ci ha lasciato ben 14 encicliche su temi fondamentali del suo tempo e ancora di grande attualità: la pace e i diritti umani, la sofferenza, il rapporto tra fede e ragione, il ruolo della Chiesa all’inizio del terzo millennio.
Cracovia è la città che più di ogni altra è indiscutibilmente legata al ricordo di Giovanni Paolo II. In quella che fino al 1509 è stata la capitale della nazione polacca Karol Wojtyla ha soggiornato a lungo prima di essere chiamato al soglio pontificio. A partire dal lontano 1938 quando il giovane Lolek (il soprannome con cui era noto da ragazzo) vi giunse accompagnato dal padre per frequentare l’Università.
Lo spirito di Karol Wojtyla sembra aleggiare in particolare nelle vie del centro storico della città, la cosiddetta Città Vecchia, inclusa nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco a partire dal 1978. Le tracce appaiono in tutta la loro evidenza non appena ci si affaccia nella magnifica e immensa piazza del Mercato, che si estende su un quadrilatero di duecento metri per lato e dove spicca in tutta la sua solennità la Basilica gotica di Santa Maria Vergine (XIV secolo), uno dei simboli religiosi della città. Desta non poca sorpresa e meraviglia scoprire che la statua posta al centro della piazza non raffiguri un imperatore o un generale ma un poeta – Adam Mickiewicz – che pure non è nato a Cracovia ma che qui è stato ed è ancora molto amato, anche dallo stesso Karol Wojtyla.
Un vero e proprio inno all’arte e alla bellezza, segno inequivocabile del ruolo di capitale culturale della nazione polacca, che ha conservato nel corso dei secoli. Un fascino che irradia tutta la città antica grazie a una straordinaria ed equilibrata combinazione di stili di epoche diverse, tra chiese gotiche e barocche, chiostri medievali e palazzi rinascimentali. Dalla piazza principale, in pochi minuti si arriva ai piedi del colle di Wawel, dominato dal maestoso castello che per secoli ha costituito il centro del potere politico e religioso, residenza di principi e di vescovi. Qui sorge la Cattedrale gotica dei Santi Venceslao e Stanislao, considerata un po’ il Pantheon della nazione polacca. Più di ogni altro monumento esso offre al visitatore l’anima più profonda della nazione, con un concentrato sublime di storia, arte e religione.
Al colle di Wawel si giunge dopo aver attraversato la piazza Maria Maddalena e l’elegante via Kanonicza, che prende il nome dai canonici di Cracovia che in questa strada risiedevano per tutta la vita. E al numero 19 vi è quella che è conosciuta come la Casa di San Stanislao, dal 1994 sede del Museo dell’Arcidiocesi, dove ha vissuto per diversi anni da sacerdote il futuro Papa Giovanni Paolo II, fino alla nomina ad Arcivescovo della città. Qui è possibile immergersi totalmente nel mondo di Karol Wojtyla attraverso quegli oggetti che ne hanno caratterizzato tutto il suo percorso umano e spirituale: l’orologio, il diploma di dottorato in Teologia, il suo tavolo da lavoro con una vecchia macchina da scrivere nera. C’è anche la canoa con cui solcava la Vistola, la bicicletta; non mancano nemmeno gli abiti talari che ha indossato da quando fu ordinato sacerdote nella Cattedrale di Wawel nel 1946. E poi alle pareti tantissime foto in bianco e nero, a partire dall’infanzia a Wadowice (suo paese natale), immagini particolarmente significative che lo ritraggono soprattutto al fianco di moltitudini di giovani.
Poco distante, in via Franciszkanka, sorge il Palazzo Vescovile dove siamo attesi dall’Arcivescovo Cardinale S.E. Stanislaw Dziwisz. Appena varcato l’ingresso, nel cortile possiamo ammirare una statua dedicata al Pontefice, donata dalla scultrice Jole Sensi Croci nel 1980 per il suo sessantesimo compleanno. Gli appartamenti e gli uffici dell’Arcivescovo sono al primo piano, dove si trova anche, sopra il portale principale, la finestra dalla quale il Santo Padre si affacciò più volte e dove tenne i famosi “dialoghi con i giovani” in occasione dei pellegrinaggi in terra polacca.
Don Stanislao – così continuano a chiamarlo ancora oggi in Italia – è conosciuto dal grande pubblico soprattutto per essere stato per ben 40 anni segretario particolare di Karol Wojtyla. È quindi, senza ombra di dubbio, il custode privilegiato e più attendibile della sua memoria, avendo condiviso con lui le tappe più significative del lungo pontificato. Lo ricordiamo sempre accanto al Santo Padre nelle visite pastorali, in occasione degli incontri con i capi di Stato di tutto il mondo, quando fu il primo a soccorrerlo subito dopo l’attentato in piazza San Pietro. Ma l’immagine forse più eloquente e densa di pathos che è rimasta maggiormente impressa nella mente dei fedeli è legata ai funerali di Giovanni Paolo II: quella di don Stanislao che, tremante e profondamente turbato, con gli occhi di milioni di persone puntati addosso, si avvicina a passo lento alla bara per ricoprire per sempre con un velo di seta bianco il volto di colui che gli aveva fatto da padre e da maestro per una vita.
“Era l’ultima volta che avrei visto il suo volto – racconta il Cardinale – e per questo facevo tutto molto lentamente, desideravo che quegli attimi non finissero mai. Poi nel momento in cui deposi quel velo sul viso avvertii immediatamente che l’inquietudine per quel doloroso distacco era in certo senso mitigata dalla constatazione che il Pontefice ormai era già entrato nella casa del Padre: finalmente lo aveva di fronte, poteva guardarlo in faccia. Forse solo allora mi resi conto che la sua avventura terrena era giunta davvero al termine e quando mi inginocchiai a pregare davanti alla bara iniziai a ripercorrere con la mente tutti i quarant’anni trascorsi accanto a Lui.”
Quarant’anni: quasi una vita consacrata all’uomo che forse più di ogni altro ha influenzato la storia del secolo appena concluso e dell’inizio del Nuovo Millennio. Un’avventura umana che ha inizio nel lontano 1957 quando il giovane Stanislao, figlio di un operaio e di una casalinga di Raba Wyzna, un piccolo villaggio ai piedi dei Monti Tatra, giunse a Cracovia per frequentare il seminario, avendo già maturato la vocazione al sacerdozio. Karol Wojtyla era il suo professore di Teologia Morale, e proprio dalle sue mani, il 23 giugno 1963 ricevette gli ordini sacri. Ma la vera svolta avvenne nell’ottobre di tre anni più tardi, quando Monsignor Wojtyla lo convocò nel palazzo di via Franciszkanka per offrirgli l’incarico di segretario particolare. Don Stanislao non può certo dimenticare le parole del futuro Pontefice con cui lo accolse, fissandolo subito dritto negli occhi, senza molti convenevoli: “Verrai da me, qui potrai proseguire gli studi e mi darai una mano nella mia attività giornaliera, ci sono tante cose da sbrigare. Puoi cominciare oggi stesso, quando esci da qui vai dal Cancelliere che ti farà vede l’abitazione”.
Il Cardinale Dziwisz, che non ha mai nascosto la sorpresa e la meraviglia per quell’incarico inaspettato, aveva già dato ampia prova di possedere tutte le qualità indispensabili per assolvere a un incarico così delicato e impegnativo: riservatezza, ottime doti organizzative, capacità di sopportare grandi carichi di lavoro. E, aggiungiamo, – scrutandolo attentamente nel momento in cui scandisce lentamente le parole – un’invidiabile serenità interiore accompagnata da un’assoluta sobrietà nel modo di porsi all’interlocutore: pochi fronzoli e nessun aggettivo fuori posto benché debba esprimersi in una lingua che non è quella madre.
“Debbo confessare che quella chiamata mi colse di sorpresa ma ne fui felice perché sin dai primi incontri avevo cominciato a vedere don Karol come un modello di riferimento, come l’incarnazione dell’uomo perfetto, di un Santo. Un uomo completo come cristiano, sacerdote, maestro ed esempio per i giovani: testimone ideale di Gesù Cristo. Quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo da vicino hanno potuto constatare la profondità della sua vita spirituale, che si manifestava soprattutto nella preghiera: pregava sempre, la sua vita è sempre stata contrassegnata dalla preghiera. Non era mai superficiale, nemmeno quando aveva a che fare con le persone più semplici e per tutti riusciva sempre a trovare le parole giuste di conforto, anche di fronte alle situazioni più complicate e apparentemente insormontabili.” Anche con gli ultimi della terra, i poveri, gli ammalati. Don Stanislaw ricorda in particolare un episodio avvenuto a San Francisco, nel corso della sua visita negli Stati Uniti nel 1987: “Tra la folla c’era una famiglia con un bambino, malato di Aids da cui tutti si erano allontanati. Il Papa invece si è voluto avvicinare, ha baciato le sue mani, lo ha stretto a sé e benedetto e poi lo ha ‘restituito’ alla sua famiglia.”
L’inizio della sua collaborazione con Karol Wojtyla avvenne in anni difficili e allo stesso tempo ricchi di grandi fermenti spirituali e teologici, caratterizzati dalle novità che arrivavano dal Concilio Vaticano II, all’insegna di una maggiore apertura al mondo della Chiesa. I riflessi di quei cambiamenti che provenivano da Roma non tardarono a toccare anche la Polonia, proprio grazie all’opera di Karol Wojtyla che a quel consesso partecipò, prima dalle retrovie e in seguito sempre più da protagonista. “Si può ben affermare – spiega don Stanislao – che lui sia stato a pieno titolo un uomo del Concilio. Ricordo bene che rendeva partecipe l’intera diocesi di quella straordinaria esperienza e allo stesso tempo cercava di mettere in pratica quegli insegnamenti. Cercava insomma di far comprendere a tutti, fino al più umile dei credenti, quello che è stato il vero spirito del Concilio”.
La conversazione con don Stanislao prosegue toccando tutti gli aspetti salienti del pontificato, senza peraltro tralasciare quelli legati più strettamente all’uomo Karol Wojtyla, alla sua forte personalità. “Quel che di lui mi ha immediatamente colpito – spiega – è soprattutto lo straordinario carisma, che sapeva così bene irradiare in particolare verso i giovani. Ma sapeva esercitarlo nel modo migliore anche con le persone importanti, con i grandi della terra. Non si faceva mai condizionare con nessuno in quanto i principi cristiani che professava non erano negoziabili. Lui voleva sempre incontrare e parlare con tutti, anche con i dittatori, per affermare con forza la propria visione di pace e di solidarietà umana tra le nazioni, di giustizia sociale. “Non c’è dubbio – prosegue ancora – che stiamo parlando di un uomo che con la sua opera e la sua testimonianza spirituale ha cambiato la storia del mondo, che ha impresso una svolta decisiva con la sua azione paziente a fianco di chi combatteva per la libertà”.
Non abbiate paura! Chi non ricorda quel forte ed efficace richiamo che ha caratterizzato la sua azione sin dalla sua prima liturgia domenicale: un vero e proprio incitamento e incoraggiamento che il Papa ha voluto lanciare soprattutto ai giovani, ma non solo. L’ha ripetuta più volte con forza quell’esortazione così pressante, nelle omelie domenicali come in occasione delle visite pastorali. Ecco, forse se vogliamo cercare di comprendere il significato più profondo del suo pontificato dobbiamo partire proprio da quelle semplici parole. Don Stanislao non a caso fa continuo riferimento ad esse nel corso del colloquio.
“Un discorso fondamentale che puntava a smuovere le coscienze, così come lui stesso aveva già fatto quando radunava i giovani polacchi che volevano battersi contro la dittatura comunista. Non dimentichiamo che tutti i dittatori hanno sempre fatto leva sulla paura per mantenere il loro potere. Lui è sempre stato particolarmente vicino alla gente che soffre, ai Paesi che soffrono per la mancanza dei diritti umani fondamentali”.
Sono i temi che ci portano direttamente all’oggi, al pontificato di Papa Francesco che non a caso fa un continuo riferimento alla necessità di sconfiggere la paura in tutte le sue declinazioni. “Non c’è dubbio che sia evidente la continuità con l’opera di Giovanni Paolo II – chiarisce don Stanislao – ho accompagnato il Santo Padre di recente in Brasile in occasione delle Giornate Mondiali della Gioventù e ho potuto riscontrare da vicino la sua grade capacità di entrare in piena sintonia con i più giovani, di riscaldarne i cuori”.
Una continuità ben simboleggiata anche dall’annuncio che la prossima GMG si svolgerà proprio a Cracovia. “La notizia è stata accolta qui con grandissima gioia. Ho detto subito dopo averla appresa che si tratta di un vero dono per la Chiesa e una lode a Cristo. Questa decisione è un’espressione di gratitudine a Dio per la prossima canonizzazione di Giovanni Paolo II”.
Sebastiano Catte, Com.Unica/L’Unione Sarda 18 maggio 2020