52 anni fa l’assassinio di Bob Kennedy: segnò il destino di una generazione
Con il discorso integrale che tenne due mesi prima di morire in seguito a un altro assassinio che scosse profondamente l’America, quello di Martin Luther King
Esattamente 52 anni fa, il 6 giugno del 1968, Robert Kennedy il fratello più giovane di JFK, venne assassinato nella hall dell’hotel Ambassador di Los Angeles. Era nato il 20 novembre del 1925, terzo figlio maschio di Joseph e Rose, avviato alla politica come i fratelli e già ministro della giustizia nel governo presieduto dal fratello maggiore.
Dopo la morte di JFK Bob aveva scelto la via del Senato e si era avvicinato al movimento dei diritti civili: “Amore, saggezza, solidarietà per coloro che soffrono, giustizia per tutti, bianchi e neri”: era questo il suo motto. Il giorno in cui venne assassinato Bob Kennedy aveva incontrato i suoi sostenitori. Aveva appena trionfato nelle primarie in California, e la via per la sua candidatura alla Casa Bianca era tutta in discesa. Al momento degli spari c’erano decine di persone attorno a lui, compresi i giornalisti, e cinque fra i presenti restarono feriti. Il colpo mortale gli fu sparato alla testa: secondo l’autopsia aveva un foro d’entrata del proiettile nella tempia destra. A premere il grilletto fu Shiran Shiran, un giovane di origine siriana-palestinese. Fu subito arrestato e condannato a morte, pena poi tramutata in ergastolo, che sta ancora scontando. Secondo molti osservatori la sua mano era armata dal potente capo del sindacato dei camionisti Jimmy Hoffa, che Bob aveva fieramente combattuto durante la sua attività nella commissione anti corruzione del Senato.
Quei colpi di pistola spensero per molti anni la speranza di molti americani (e non solo) in un mondo migliore e cambiarono il destino di una generazione. “Una generazione che in Europa si era mobilitata nelle piazze, nelle università, nella Sorbona a Parigi, a Valle Giulia a Roma e che si era riconosciuta in quell’America si congedò” – ha osservato di recente lo storico Giovanni De Luna.
Solo due mesi prima l’America aveva assistito sgomenta a un altro assassinio, quello di Martin Luther King, a cui lo stesso Bob si sentiva molto vicino. La sera di quell’omicidio Robert Kennedy doveva parlare in un sobborgo di afroamericani a Indianapolis. Fu lui a dare la notizia e mentre in molte altre parti degli Stati Uniti quella notte ci furono duri scontri e proteste, ad Indianapolis la situazione rimase calma. Riportiamo qui per intero il suo discorso, da cui emerge con forza la sua visione della giustizia e dei diritti civili.
Il discorso di Indianapolis
Martin Luther King ha dedicato la sua vita alla causa dell’amore e della giustizia per tutti gli esseri umani, ed è morto proprio a causa di questo suo impegno. In questo momento così difficile per gli Stati Uniti, dovremmo forse chiederci che tipo di nazione rappresentiamo e quali sono i nostri obiettivi.
Può certo esserci amarezza, odio, e desiderio di vendetta tra le persone di colore che si trovano tra voi, viste le prove che ci sono dei bianchi tra i responsabili dell’assassinio.
Possiamo scegliere di muoverci in questa direzione come nazione, in una ulteriore polarizzazione, dividendoci neri con neri, bianchi con bianchi, pieni di odio gli uni verso gli altri. O possiamo invece fare uno sforzo per capire, come ha fatto Martin Luther King, e sostituire a questa violenza, a questa macchia di sangue che si è allargata a tutto il paese, un tentativo di comprendere attraverso la compassione e l’amore.
A quelli di voi che sono tentati di lasciarsi andare all’odio e alla sfiducia verso i bianchi per l’ingiustizia di quello che è accaduto, posso soltanto dire che provo i loro stessi sentimenti in fondo al mio cuore. Ho avuto anch’io qualcuno della mia famiglia ucciso, anche se da un uomo bianco come lui.
Ma dobbiamo fare uno sforzo negli Stati Uniti, dobbiamo fare uno sforzo per comprendere, per superare questi momenti difficili.
Il mio poeta preferito è Eschilo. Egli scrisse: “Anche mentre dormiamo, il dolore che non riesce a dimenticare cade goccia a goccia sul nostro cuore fino a quando, pur nella nostra disperazione e persino contro la nostra volontà la saggezza prevale attraverso la grazia di Dio”.
Non abbiamo certo bisogno di divisioni negli Stati Uniti, non abbiamo bisogno di odio, né di violenza o anarchia. Abbiamo invece bisogno di amore e saggezza, compassione gli uni verso gli altri, e di un sentimento di giustizia verso tutti coloro che ancora soffrono nel nostro paese, siano essi bianchi o neri.
Questa sera vi chiedo quindi di tornare alle vostre case e di dire una preghiera per la famiglia di Martin Luther King. Ma, cosa ancora più importante, vi chiedo di dire una preghiera per il nostro paese che tutti amiamo, una preghiera perché possiamo provare quell’amore e quella compassione di cui parlavo poco fa. Possiamo fare molto nel nostro paese. Ci saranno indubbiamente momenti difficili. Ne abbiamo avuti in passato e ne avremo sicuramente in futuro. Non siamo ancora, purtroppo, alla fine della violenza, dell’anarchia e del disordine.
Ma la grande maggioranza dei bianchi e dei neri di questo paese vuole migliorare la qualità della nostra vita e vuole giustizia per tutti gli esseri umani che vivono nella nostra terra.
Dedichiamoci a perseguire quello che i greci scrissero tanti anni fa: domare la natura selvaggia dell’uomo e rendere gentile la vita in questo nostro mondo.
Dedichiamoci a questo, e diciamo tutti una preghiera per il nostro paese e per la nostra gente. Grazie.
(a cura di Sebastiano Catte, com.unica 6 giugno 2020)