L’intervista di Alain Elkann alla ricercatrice tedesca Mareike Ohlberg: «Non sono ancora riusciti ad arrivare fin dove vorrebbero» (da La Stampa)

Ricercatrice tedesca, Mareike Ohlberg è esperta di politica internazionale, in particolare della Cina dove ha vissuto e lavorato diversi anni. È coautrice, assieme all’accademico australiano Clive Hamilton, del libro Hidden Hand – Exposing How the Chinese Communist Reshaping the World, appena pubblicato.

Nel vostro libro scrivete che la guerra fredda per la Cina non è mai finita. Perché? 

«Dopo la fine della guerra fredda, l’Occidente ha vissuto un momento di trionfo. Per il Partito comunista cinese (PCC), le cose sono state diverse: dopo il sanguinoso giro di vite contro il movimento democratico di Tienanmen nel 1989 e il successivo scioglimento dell’Unione Sovietica e del blocco orientale nei primi Anni 90, il Partito si è trovato in un mondo in cui erano rimasti pochissimi partiti comunisti. Il PCC era convinto che dal momento che l’Unione Sovietica era scomparsa, l’Occidente avrebbe concentrato tutte le sue risorse per trasformare la Cina in uno stato democratico attraverso l’impegno economico e l’infiltrazione culturale. Mentre l’Occidente era impegnato ad approfondire i legami economici con la Cina, il PCC si preparava per un nuovo confronto ideologico. Pertanto, per il Partito, la vecchia Guerra Fredda e la nuova guerra delle idee si sono semplicemente susseguite».

Lei afferma che il Partito comunista cinese è determinato a modellare il mondo a sua immagine, senza sparare un colpo. Ci stanno riuscendo? 

«Non sono ancora riusciti ad arrivare fin dove vorrebbero. Tuttavia, sono molto avanti. Le multinazionali evitano di offendere il governo cinese, cercando perfino di controllare ciò che i dipendenti dicono sui social nel loro tempo libero. Le compagnie aeree e le catene alberghiere indicano Taiwan come ‘Taiwan, Cina”. Gli artisti hanno difficoltà a esporre le proprie opere se c’è la possibilità che possano offendere il PCC. E i governi hanno paura di parlare di questioni come i campi di concentramento nello Xinjiang o la legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong perchè temono che il governo possa rompere i rapporti con loro».

Nel 2021 il PCC compirà 100 anni. Lei dice che la comunità internazionale non è riuscita a comprendere il ruolo globale che il PCC svolge in Cina. Come mai? 

«Abbiamo lasciato il Partito in gran parte fuori dal quadro. Ci riferiamo a Xi Jinping come presidente della Cina e pensiamo all’esercito popolare di liberazione come all’esercito cinese, anche se è fedele al Partito, non al governo. Ció è dovuto al fatto che ci sono pochi altri Paesi con un sistema politico equivalente e un singolo partito così fortemente fuso con lo Stato. Ció oscura il contesto perché una parte della politica estera cinese è guidata dagli interessi del Partito comunista».

Il Partito vede la strategia del fronte unito come una scienza basata sui fondamenti marxisti/ leninisti. 

«La strategia fu sviluppata nella prima metà del XX secolo e usata per giustificare l’alleanza del PCC con il suo grande rivale nazionale, il Partito nazionalista, contro i giapponesi. Al PCC ora piace affermare che si tratta di una “scienza” basata su principi oggettivi. L’idea è quella di coalizzare tutte le forze contro il “nemico principale”, che può cambiare nel tempo o in base al contesto».

E’ vero che la politica estera cinese deve cercare amicizia con i Paesi europei per contrastare il potere americano? 

«Su scala globale, gli Stati Uniti sono il “nemico principale” della Cina che deve essere indebolito e isolato dai suoi alleati. Nel breve e medio termine, l’idea è di mantenere l’Europa neutrale in un conflitto tra Cina e Stati Uniti. Direi che siamo quasi a questo punto. A lungo termine, il governo cinese vuole che l’Europa si schieri dalla parte della Cina».

Nel 2017 Xi Jinping ha detto che l’amicizia dovrebbe essere coltivata per il Partito o per il bene pubblico. Questo significa che non c’è libertà? 

«L’amicizia è un concetto politico e gli amici sono risorse strategiche. Per quanto riguarda la libertà, è vero che il Partito esercita un controllo sempre maggiore sui propri membri e sulla società. Se qualcosa è “politico”, ci si aspetta che le persone si allineino con il Partito, mentre nel campo apolitico c’è libertà di fare, pensare o discutere a proprio piacimento. Sotto Xi la portata di ciò che è “politico” si è ampliata».

Le recenti rivolte di Hong Kong e Taiwan sono pericolose perla stabilità del regime? 

«Il PCC vede le massicce proteste di Hong Kong come una minaccia alla sicurezza del proprio regime. La tesi ufficiale è che forze straniere stanno istigando le proteste per causare problemi al PCC. Questa è una sciocchezza. Ma in un certo senso, Hong Kong e Taiwan sfidano il Partito. Entrambi sono esempi di popolazioni che aspirano a una democrazia, mentre per il PCC la democrazia in Cina non funziona».

Le autorità sanitarie hanno gestito in modo trasparente la vicenda del coronavirus? «No. Hanno nascosto informazioni, messo a tacere chi ne dava notizia e mentito alla comunità internazionale. Ora stanno impedendo una seria indagine sull’origine del virus».

Ho la sensazione che nel suo libro non condanni le misure del presidente Trump nei confronti della Cina. «Ci sono molti problemi con la politica cinese di Trump. Sulla Cina dice molte cose giuste, ma per le ragioni sbagliate. Tuttavia, è meglio dell’approccio delle grandi economie d’Europa, che vogliono continuare ad avere un dialogo costruttivo con il PCC e non si rendono conto che ci vogliono due interlocutori per dialogare. Gli Stati Uniti hanno una visione più realistica del PCC».

L’Occidente è stato troppo dipendente dalla Cina economicamente e finanziariamente? «Spesso sovrastimiamo il potere che il governo cinese ha sudi noi e cediamo troppo rapidamente quando minaccia ritorsioni. Prendiamo la Germania come esempio. Di tutte le economie europee, è la più esposta al mercato cinese, ma è una dipendenza concentrata in pochi settori e grandi società. E quando si guarda più da vicino, si scopre che la Cina beneficia molto della presenza di queste aziende sul mercato cinese. Pertanto, la maggior parte delle misure di ritorsione avrebbe un impatto anche sulla Cina. È come quello che è successo di recente in Australia. Nonostante il peggioramento dei rapporti diplomatici, la Cina ha aumentato la sua importazione di risorse australiane negli ultimi mesi. Se hai un prodotto o un servizio di cui la Cina ha bisogno, il governo non lo interromperà per punirti. Nel peggiore dei casi, ci sarà qualche azione simbolica. La Cina ha bisogno di noi tanto quanto noi di lei».

In che modo le democrazie possono diventare più resilienti? 

«Con una comprensione più realistica di cos’è il PCC e che cosa vuole, possiamo vedere dove ci sono sovrapposizioni di interesse tra la Cina e i Paesi occidentali. Possiamo lavorare con il PCC in queste aree mentre continuiamo a lottare contro le violazioni dei diritti umani e i suoi tentativi di censura ».

Lei dice che un coordinamento tra gli alleati è vitale, ma Trump non pare dell’idea. 

«Il coordinamento è fondamentale e ciò richiederà sforzi su entrambe le sponde dell’Atlantico. Gli Usa devono capire che hanno bisogno di tutti gli alleati che possono trovare e l’Europa deve capire che la sua politica cinese è obsoleta».

Alain Elkann, La Stampa 2 agosto 2020

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