Il gruppo si è avvalso, sin dall’inizio, della collaborazione di personaggi di primo piano della cultura italiana come Umberto Eco, Franco Fortini, Gianni Rodari, Italo Calvino.

Cominciamo con la prima mattina quella del 5 di agosto, ovvero “O Gorizia tu sei maledetta” ascesa a grande notorietà più per le accese polemiche che essa aveva suscitato per la sua presentazione e provocatoria esecuzione al Festival dei Due mondi di Spoleto, che per la canzone in sé. Era stata una esposizione fatta da membri del “Nuovo canzoniere Italiano” ovvero una associazione musicale che si rifaceva ai “Cantacronache” un gruppo che, dalla metà degli anni Cinquanta si contrapponeva alle sciroppose canzoni del Festival di Sanremo e produzione musicale dell’epoca, e quindi si era dato parecchio da fare per una sistematizzazione e riproposizione di tutto il patrimonio della canzone popolare italiana.

I Cantacronache era un Gruppo nato a Torino nel 1957, e fin dall’inizio si era avvalso della collaborazione di personaggi di primissimo piano della cultura italiana, del calibro di Umberto Eco, Franco Fortini, Gianni Rodari, Italo Calvino. Lo stesso Calvino aveva scritto il testo, su musica di uno dei componenti Sergio Liberovici, di un paio di loro canzoni, “Dove vola l’avvoltoio” “Oltre il ponte”, di fortissimo impatto politico. Per la cronaca il Gruppo si era sciolto nel ‘62 ma molti dei suoi componenti erano confluiti nell’appunto “Nuovo canzoniere Italiano” e come fatto cenno, furono proprio esponenti di tale “Canzoniere” Fausto Amodei, Michele Straniero e la cantante Sandra Mantovani, tutti confluiti dal Gruppo dei Cantacronache, che a Spoleto nel giugno del ‘64 attaccarono i versi e la nenia della canzone “O Gorizia tu sei maledetta”, suscitando un vero putiferio, per il senso estremamente crudo del testo… “o vigliacchi che voi ve ne state colle mogli nei letti di lana, spregiatori di noi carne umana…

Analizziamo però un po’ più approfonditamente tale testo: il frasario non è da “umil fante“ della prima Guerra mondiale, e meno che mai di reparti speciali, tipo arditi: non c’è alcun senso di ironica provocazione, intento canzonatorio o di rassegnata melanconia, tipo i Bombacè o le canzoni degli alpini, laddove invece la malinconia si fa rabbia e pura invettiva, come indica il titolo stesso della canzone e ulteriori brani del testo sempre violentissimo: “traditori signori ufficiali che la guerra l’avete voluta, scannatori di noi carne venduta, rovina della gioventù, questa guerra ci insegna a punir” (in una successiva interpretazione il “scannatori” diventa “spregiatori” e il carne venduta, diviene “carne umana”, fu tolta la frase “rovina della gioventù, ma rimase “questa guerra“sostituendo il “punir” con il “pugnar”). Fu proprio questa la strofa, che in verità non era stata prevista, ma a causa di un abbassamento di voce della Mantovani, Michele Straniero aveva preso la palla al balzo per inserirla nell’esibizione, con ulteriore intento provocatorio, che scatenò quel putiferio, tra grida, insulti, improperi, lancio di oggetti, portando alla interruzione e provocando anche una denuncia per “vilipendio delle Forze Armate” ma che ebbe anche larga diffusione nella stampa, decretandone un successo inusitato.

Il successo si palesò subito già da quella stessa estate divenendo un repertorio quasi obbligato in manifestazioni di sinistra, e cantata non solo dal gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano erede dei Cantacronache, ma da tutti i cantanti “impegnati”: oltre la Mantovani, Giovanna Marini, Caterina Bueno, Maria Carta, Francesco De Gregori, fino a Soledad Nicolazzi; non ci giurerei, ma mi pare proprio che fu anche intonata ai funerali di Togliatti in quel settembre del 1964. Canzone terribile ma anche stupenda, davvero la quintessenza dell’atmosfera della prima guerra mondiale, però, c’è da dubitare fortemente che la canzone sia originaria di tale periodo: troppo “invettiva/manifesto” che dà tutta l’idea della composizione a tavolino, molto molto dopo gli eventi reali. Si è detto che un anonimo militare l’aveva sentita intonare da soldati subito dopo la presa di Gorizia nell’agosto del 1916, ma francamente ci credo poco.

La censura militare, i famigerati Tribunali Speciali erano fin troppo attivi durante quella guerra: se davano luogo a denunce e punizioni solo se qualcuno intonava il Bombacè della cartolina di Trieste, o portavano a severissime inchieste per un cartello, dove degli anonimi soldati avevano denominato la propria Brigata “Brigata Coglioni” facendo cenno ad una usanza molto diffusa, data la poca fantasia dei Superior Comandi, che faceva si che le Brigate che si erano maggiormente distinte in fatti d’armi, venissero sempre preferenziate in ulteriori azioni estremamente pericolose, erano cioè “sfottute” dando motivo a quell’epiteto di “Brigate coglioni”; difficile quindi per non dire impossibile che una canzone corale di tale impatto potesse essere cantata da reparti combattenti di prima linea.

La verità è che mai e poi mai, prima di quel Festival dei due Mondi del 1964, neppure alle manifestazioni del PCI, ai Festival dell’Unità, quando magari si cantava Bandiera rossa, ovviamente l’Internazionale, si era accennato alla impietosa “O Gorizia tu sei maledetta!” quindi proprio non me la sento di metterla nel novero delle canzoni di protesta originarie di tale guerra, diciamo che essa rientra in tale elenco, ma con un balzo di tempo che la fa collocare nel novero di un patrimonio a posteriori di musica e protesta, una canzone non “della” guerra ma “sulla” guerra. Ecco! diciamo accanto ad un’altra canzone destinata ad avere ancora maggiore impatto “Bella ciao”, altro cavallo di battaglia del Nuovo Canzoniere Italiano che in quello stesso periodo e sempre nello stesso Festival dei Due Mondi si diceva che era stata rispolverata da un vecchio canto della Resistenza, la cui diffusione però nel periodo ovvero 1943-45, non solo non è per nulla accreditata, ma anche contestata vibratamente da esponenti della guerra partigiana non ultimo il giornalista Gorgio Bocca che asseriva che né motivo, né parole, aveva mai sentito prima di quella metà degli anni Sessanta.

Fu anche detto che una registrazione di una sua esecuzione cantata, risalisse al Festival della Gioventù comunista a Praga nel 1947 cui partecipò un giovane Italo Calvino, ma anche qui nessuna prova. Mentre la canzone più famosa della Resistenza rimaneva per tutti “Fischia il vento, urla la bufera” sul refrain della canzone russa Katjusha di cui il partigiano ligure Michele Cascione, grande amico del già più volte citato Italo Calvino, aveva composto i versi. Questa canzone si! accreditata con certezza assoluta al periodo di riferimento. Il punto è che il Gruppo dei Cantacronache non era stato solo attivo nel recuperare testi e melodie della tradizione libertaria, ma era stato anche estremamente prolifico in merito all’ideazione di nuove composizione: i già citati canti su testi di Calvino, quindi “la Zolfara” una canzone ispirata all’uccisione di otto minatori in località Gessolungo nel lontano 1881, testo e musica di Straniero e Amodei del 1958, portata al grande successo da Ornella Vanoni nei primi anni sessanta, ma soprattutto a quel famosissimo “Per i morti di Reggio Emilia” scritto o e inciso da Fausto Amodei all’indomani della strage di Reggio Emilia dell’estate 1960 sotto il Governo Tambron, che è ancora oggi una delle canzoni più celebrate e cantate del repertorio della sinistra.

Ecco dunque la mia perplessità e relativi dubbi: ho il fortissimo sospetto che autori del calibro di un Amodei, di uno Straniero, di un Liberovici di una Mantovani, che avevano scritto canzoni della potenza di quelle citate, anche come pura musica, straordinarie, che avevano fatto parte sia dei Cantacronache che del Nuovo Canzoniere Italiano, e quindi esperti raffinati musicisti, abbiano voluto fare una piccola forzatura storica: rinunciare alla paternità del testo e musica e trasferirne la nascita ai fatti di origine, ovvero anquella mattina del 5 di agosto in cui “si muovevan le truppe italiane, per Gorizia e le terre lontane, … ed anche la ancora più famosa “ mattina in cui mi sono alzato, e ho trovato l’invasor…”. Le canzoni successive a quel 1964 si fanno indubbiamente più internazionali, appuntandosi su fatti che avvengono un po’ dappertutto: il maggio francese, la contestazione, gli slogan cadenzati i “c’est n’est que un debut continuons le combat” l’invasione sovietica di Praga, da noi in Italia il crudo “Contessa” di Pietrangeli “compagni dai campi e dalle officine, prendete la falce e portate il martello, scendete giù in piazza, picchiate con quello” che è del 1966 ma che fu una sorta di inno proprio nelle manifestazioni nostrane del ‘68, da Valle Giulia, di cui lo stesso Pietrangeli ne scrisse una canzone in risposta alle famose critiche di Pasolini, alle occupazioni dell’Università, e dei licei, con i libri di Marcuse sottobraccio, in bocca sempre nuovi slogan cadenzati di ispirazione francese ed anche ulteriori fatti di cronaca come “primo d’agosto Mestre sessantotto”una canzone di Gualtiero Bertelli, che era come Pietrangeli un ulteriore militante del “Nuovo Canzoniere italiano” ed infine parecchie canzoni meno militanti, a volte addirittura successi commerciali, tipo quelle di Fabrizio De Andrè, Francesco Guccini, il francese Georges Brassens con la grossa tradizione di canzoni di cantanti beat/folk americani che avevano il loro nume tutelare in Bob Dylan. Infatti “Blowin in the wind”, “The times they are a changing”, “Masters of war”, e che si rifacevano alla tradizione “lobo/beat” di Woody Ghutrie, Peter Seeger e successivamente con la splendida voce di Joan Beaz che aveva anche cantato la nostra “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” incisa anche da Gianni Morandi.

Un notevole impatto sulla canzone libertaria di protesta, ha anche la canzone sudamericana, da quella con tema la rivoluzione di Fidel Castro a Cuba, ove campeggia il Comandante Che Guevara, la celebre “Hasta siempre” e, specie negli anni Settanta dopo i fatti del Cile del settembre 1973, gli Inti Illimani e il loro “el pueblo unido jamàs sarà vencido”. Il periodo successivo, gli anni ‘Ottanta, ‘Novanta, lo Yuppismo, la fine del Comunismo cosidetto Reale, il capitalismo trionfante con il consumismo ormai imperante, la pubblicità, le privatizzazioni, Reagan negli Usa, poi i due Bush, fino all’attuale Trump, la Thatcher in Inghilterra, Berlusconi da noi in Italia e i suoi tristarelli eredi/epigoni, l’Europa unita delle Banche e dei particolarismi, hanno come abbassato il volume di tutta la tradizione della canzone libertaria e di protesta. Forse impotente a cantare di un mondo che non ha neppure il coraggio di manifestare tutta la sua negatività, ma si nasconde, si maschera, e bussa alla tua porta assumendo l’aspetto, come dice una canzone di Bob Dylan, del vagabondo che ha indosso il vestito che tu portavi l’altra volta.

(Mario Nardulli/com.unica 6 agosto 2020)

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