Gli effetti del Covid sulle imprese: giù il fashion, sale il food
I risultati di un’indagine di Jakala: crollo delle vendite, licenziamenti in arrivo e strategie commerciali poco efficaci
Queste, in sintesi, le conseguenze più chiare sulle imprese dopo l’emergenza Covid-19: vendite crollate, licenziamenti in arrivo e strategie commerciali poco efficaci affliggono fashion e tempo libero che cedono il passo, a sorpresa ma non tanto, ad una ristorazione sempre più social. Secondo l’analisi di Jakala, espresse durante una videoconferenza dedicata al tema, le imprese sono cambiate molto più di quel che si pensi. Lo sanno bene le associazioni di categoria, che negli ultimi mesi hanno assistito ad un fenomeno senza precedenti ed assolutamente imprevedibile: mentre il mondo dell’abbigliamento ha conosciuto un calo repentino (vedi il celebre caso di Inditex, che ha chiuso ben 1200 negozi fisici ed a cui fanno capo i marchi Zara, Pull&Bear, Stradivarius, Bershka, Oysho, Zara Home, Massimo Dutti e Uterque), quello della ristorazione è cresciuto in maniera esponenziale.
Ma non basta. Nike ha comunicato che le vendite globali sono crollate del 38% con una perdita di 790 milioni di dollari che fa impressione se paragonata ai 989 milioni di profitto registrati lo scorso anno. Gli effetti non si sono fatti attendere: John Donahoe ha comunicato via mail ai dipendenti che inizieranno i primi licenziamenti. In casa Adidas non va meglio, e se H&M chiude 8 negozi in Italia circa 17 mila negozi rischiano di non riaprire lasciando a casa 35 mila persone, stando a quanto spiega Renato Borghi, presidente di Federazione moda Confcommercio. Risultato? Semplice come l’uovo di Colombo: chiuse o limitate buona parte delle attività d’intrattenimento, al cittadino medio non resta che rifugiarsi nelle sale di un ristorante per trascorrere un po’ di tempo in relax con la famiglia e gli amici. O, perché no, farsi consegnare una cena giapponese a domicilio per regalarsi una serata diversa dal solito. A conferma di questo dato spicca, tra le varie, l’aumento di richieste di affiliazione arrivate al patron del gruppo Giappo Enrico Schettino, anche presidente di Federfranchising Napoli in seno a Confesercenti.
“Da quando abbiamo riaperto – spiega l’imprenditore – la nostra segreteria riceve almeno tre richieste di informazioni al giorno, mentre prima ne arrivavano tre a settimana e già ci sembrava un buon trend. La spiegazione, verosimilmente, sta nel fatto che chi investiva prima nelle attività d’intrattenimento serale così come imprenditori nel settore abbigliamento, ha dovuto cercare altri prodotti su cui investire: la ricchezza, come sa chi mastica di economia, molte volte è sempre la stessa ma semplicemente si sposta su altri segmenti. Questo è quanto accaduto a noi, complice anche il lancio di due nuovi format che si sono affiancati a quello classico dei locali Giappo e che consentono una diversificazione dell’investimento”. Il riferimento è a Giappoke, la linea di locali dedicata all’hawaiian sushi ovvero la nuova tendenza food da oltreoceano, il poke, ed a Bao Burger ovvero il nuovo format di street food in cui il bao, “piccolo sacchetto”, è un panino cotto a vapore, quintessenza dell’etnico. Il Bao Burger si veste di nuovo attraverso la reinterpretazione della cultura asiatica In chiave “Made in Italy”, resa ancora più forte dalla contaminazione fusion tra Oriente ed Occidente. A questo, si aggiunge l’abilità degli imprenditori 4.0 nel valorizzare la comunità in cui è inserito il punto vendita attraverso una rinnovata presenza sulle piattaforme di social network, strumenti di marketing sempre più indispensabili.
“In Italia, dove il mercato Ho.Re.Ca. vale circa 84 miliardi di euro, c’è ancora un 30% di potenziale non sfruttato in termini di bacini di influenza dei vari brand per un totale di circa 11,5 miliardi di euro di valore – ha precisato recentemente Alessandro Olivari di Jakala nel corso di una recente videoconferenza sul tema -. L’emergenza Covid ha cambiato molti aspetti del business foodservice accelerando una digitalizzazione già in atto sia lato retailer che lato cliente. Quest’ultimo si è aperto maggiormente all’utilizzo di modalità innovative per interagire con il brand che, a sua volta, ha dovuto evolvere la propria offerta e la customer experience. Un fenomeno che, ora, mette in campo anche un rinnovato rapporto con il punto di vendita fisico”.
Secondo l’analisi di Jakala, infatti, a fronte di un aumento del bacino di clienti raggiungili (con forte un incremento della fascia over 55 le cui ricerche online sono cresciute del +20%), i brand che sono riusciti a intercettare i trend in atto ne stanno raccogliendo i primi frutti. Ma quali sono questi trend? Innanzitutto, la comunicazione: «Il 77% dei clienti ricorda e apprezza quando un brand comunica come il marchio sia utile alla “nuova” vita di tutti i giorni; mentre l’86% pensa prima a quei brand con cui sono ingaggiati emozionalmente al fine di soddisfare un bisogno», ha affermato Olivari.
A livello di contenuti ciò significa porre maggiore attenzione alla territorialità, ossia: promuovere le eccellenze del territorio e valorizzare la comunità in cui è inserito il punto vendita. Il tutto attraverso una rinnovata presenza sulle piattaforme di social network, strumenti di marketing sempre più indispensabili. «In Italia, dove il mercato Ho.Re.Ca. vale circa 84 miliardi di euro, c’è ancora un 30% di potenziale non sfruttato in termini di bacini di influenza dei vari brand per un totale di circa 11,5 miliardi di euro di valore», ha precisato Olivari.
Ecco allora che per conquistare questa nuova fetta di mercato diventano sei le aree su cui intervenire: customer experience e innovazione del layout, sviluppo di nuovi business model economicamente sostenibili (come l’accentramento delle operazioni di delivery), implementazione del CRM e di programmi di loyalty per fidelizzare il cliente, sfruttamento dei media digitali targetizzati su un audience locale, razionalizzazione della footprint, differenziazione geografica delle politiche di pricing e promozione.
com.unica, 14 agosto 2020