7 settembre 2005, addio a Sergio Endrigo
“Da quella volta non l’ho rivista più Cosa sarà della mia città Ho visto il mondo e mi domando se Sarei lo stesso se fossi ancora là Non so perché stasera penso a te Strada fiorita della gioventù Come vorrei essere un albero che sa Dove nasce e dove morirà…”. Ma Sergio Endrigo, l’adolescente autore di questa bella e nostalgica canzone titolata “1947”, non era l’albero ma solo una delle tante foglie degli alberi delle strade fiorite di Pola, la sua città natale, foglie che il vento della guerra spazzò via e sparse come anime esuli in cerca di rifugio.
Morì a Roma il 7 settembre del 2005 con un mostro dentro i polmoni saturi di amarezza e di angoscia dopo aver visto il mondo. Un mondo che preferiva vedere con gli occhi del poeta inseguendo i versi dei vari Pier Paolo Pasolini, Vinicius de Moraes, di Giuseppe Ungaretti e accompagnandosi alle note liriche di Toquinho e Luis Bacalov. E come per scacciare le brutture di un mondo impossibile restò sempre a guardare le cose con gli occhi dell’amore e con l’ingenuità che solo i bambini possiedono. Per questo si appassionò alle favole dei testi di Gianni Rodari e pensando sempre agli alberi scrisse e ci tramandò le cose che ogni giorno raccontano segreti a chi le sa guardare ed ascoltare “…Per fare un tavolo ci vuole il legno Per fare il legno ci vuole l’albero Per fare l’albero ci vuole il seme Per fare il seme ci vuole il frutto Per fare il frutto ci vuole il fiore Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore…”.
Se solo smetteva di pensare al mondo delle favole in Sergio Endrigo ritornava la rabbia e l’amarezza come quando scrisse quella canzone nata dalle letture di Calvino e di Pratolini, quella “Ragazza di Bube” censurata dal casa discografica che cantava “Se il tempo è galantuomo io son figlio di nessuno Vent’anni son passati e il nemico è sempre là Ma i tuoi compagni ormai non ci son più Son tutti al ministero o all’aldilà Ci fosse un cane a ricordare che Andavi per i monti con due mitra e tre bombe a mano”.
Ma l’amore vince su tutto e grazie a Sergio Endrigo continueremo a cantare i versi di “Io che amo solo te” pensando a “…gente che ha avuto mille cose, tutto il bene, tutto il male del mondo. Io ho avuto solo te e non ti perderò, non ti lascerò per cercare nuove avventure. …Io che amo solo te, io mi fermerò e ti regalerò quel che resta della mia gioventù”.
(Franco Seccia/com.unica, 7 settembre 2020)