Alcune riflessioni dello storico Mario Setta sul modello istituzionale statunitense

Se le elezioni finiranno con l’allontanamento e la fine politica di un mostro umano, come Donald Trump, come appare certo dai risultati finora confermati, risorgerà la storia americana, nella quale siamo inseriti come uomini e come italiani, non dimenticando l’azione di un grande italiano, Cristoforo Colombo, che vi era arrivato il 12 ottobre 1492. Una data e una scoperta che cambiarono la storia mondiale. La particolare attenzione alle elezioni americane, mostrata in questi giorni nelle televisioni e nella stampa italiana, è un chiaro segno dell’interesse che suscita la politica americana. Soprattutto per quel che è stata l’America e quel che è chiamata ad essere ancora per il futuro, nonostante i vari e numerosi presidenti che non sempre hanno tenuto alto l’ideale dei padri fondatori. L’aspetto più interessante ed efficace del modello istituzionale statunitense consiste nella “provvisorietà” delle cariche, difatti un presidente degli USA non lo sarà mai a vita e i vari Hitler e Mussolini non troverebbero mai dimora eterna. Finito il mandato, si rientra nell’anonimato. Come se il potere si autonegasse.

Il nuovo Presidente Joe Biden e la sua vice Kamala Harris

Nella Dichiarazione di indipendenza, redatta da Jefferson e approvata a Filadelfia il 4 luglio 1776, si afferma: “Quando una lunga serie di abusi e di usurpazioni […] mette in piena evidenza il disegno di ridurre un popolo alla soggezione di un dispotismo assoluto, esso ha il diritto e il dovere di abbattere un simile governo e di provvedere con nuove garanzie alla propria sicurezza futura”. Parole così rivoluzionarie espresse in termini giuridici e apodittici non si trovano in altre Costituzioni, anche se, purtroppo, la Costituzione del 1787 non risolse la questione della tratta dei negri, catturati e ingabbiati come bestie e spediti nelle fattorie degli Stati del Sud.

Alexis De Tocqueville, nell’opera “La democrazia in America”, scritta dopo un suo soggiorno negli USA, affermava: “Le due razze sono legate l’una all’altra, senza tuttavia confondersi ed è per esse altrettanto difficile separarsi completamente o unirsi”. E ci fu la “guerra civile”. Gettysburg, in Pennsylvania, è oggi il monumento storico in cui, nel 1863, fu combattuta la battaglia decisiva della guerra di secessione. Non fu direttamente una guerra di liberazione dei negri, anche se, in seguito, nel 1865, fu approvato il XIII emendamento che aboliva la schiavitù in tutti gli Stati dell’Unione. Ma proprio a Gettysburg, il 19 novembre 1863, Lincoln aveva tenuto un discorso, che ancor oggi resta un insegnamento per ogni nazione che voglia essere democratica: “government of the people, by the people, and for the people”. Il programma di Lincoln era sostanzialmente moderato, ma non fu sufficiente per salvargli la vita. Fu assassinato da un sudista a colpi di pistola.

Cento anni dopo, un altro assassinio scosse l’America: quello di John F. Kennedy. Anche lui aveva cercato di realizzare un programma politico di rinnovamento, definito “nuova frontiera”, con l’intento di attuare una democrazia completa, superando le divisioni sociali e razziali. Un tentativo morto sul nascere. Visitando Berlino, allora la città-carcere cinta dal muro della vergogna, Kennedy aveva pronunciato la famosa frase in tedesco: “ich bin ein berliner” (io sono un berlinese), volendo così affermare come la politica americana fosse in difesa della libertà dei popoli. La frase, divenuta celebre, fu pronunciata il 26 giugno 1963, durante il discorso tenuto a Rudolph Wilde Platz, di fronte al Municipio di Schöneberg, mentre era in visita ufficiale alla città di Berlino.

Un dato storico indiscusso per la salvaguardia della democrazia è il contributo determinante degli Stati Uniti nelle due guerre mondiali, Senza la partecipazione di quel grande Paese e le centinaia di migliaia dei suoi morti, l’Europa e il mondo sarebbero stati sotto la dominazione dei “totalitarismi”. Purtroppo, e spesso, nell’ambito di alcuni Stati degli USA, la libertà appare come una chimera. Basti pensare al problema della pena di morte. E sulla discriminazione razziale, di cui si è scritto e dibattuto moltissimo, le soluzioni restano ancora un palliativo. Il sogno di Martin Luther King, l’uomo che s’era battuto energicamente per far riconoscere i diritti civili alle popolazioni di colore, è svanito sotto i colpi d’un sicario che l’ha assassinato nell’aprile del 1968.

Alcuni anni fa, in visita tra gli Amish, una comunità religiosa che ha rifiutato l’elettricità per uno stile di vita fermo ai tempi della colonizzazione, parlando con un amico nero sono stato colpito da queste sue considerazioni: “Noi siamo oriundi africani. Ma ora siamo americani. Ci sentiamo americani. Gli Amish hanno una loro privacy: vivono in una riserva. Ma noi non vogliamo riserve. Non vogliamo ghetti. Noi siamo americani neri, come ci sono americani bianchi. Abbiamo dato sudore e sangue per questa nazione, che amiamo e dalla quale vogliamo essere amati e rispettati”.

Mario Setta, com.unica 8 dicembre 2020

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