Cancro, un affare delle famiglie dimenticate dalle Istituzioni
“Dimensioni comunicative, Relazionali e Psicosociali in Oncologia”, il 5° Convegno nazionale promosso dall’Associazione Vivere Senza Stomaco (Si Puo’!)
In Italia oltre 3 milioni e mezzo di persone vivono dopo il cancro. Guarire significa anche considerare l’impatto che la malattia ha avuto sull’esistenza, sul lavoro, sulle relazioni sociali del paziente e di chi lo circonda. Oggi 1/3 delle persone con cancro presenta una condizione di disagio emozionale – nota con il termine di distress emozionale – caratterizzato da fenomeni come demoralizzazione, irritabilità e difficoltà del sonno.
Claudia Santangelo, Presidente dell’Associazione Vivere Senza Stomaco si (Puo’!), ha sottolineato che: “Le Istituzioni devono dare risposte concrete a chi convive con il cancro. La sofferenza dell’anima altera l’intero organismo e troppo spesso all’interno degli ospedali questo aspetto viene trascurato. La medicina non si deve scordare della persona. Il cancro, che sia allo stomaco o da qualche altra parte, è un alieno con cui bisogna comunicare”.
Sulla figura dello psiconcologo e la formazione psicosociale degli operatori sanitari si è discusso lunedì 30 novembre in occasione del 5°Convegno dell’Associazione Vivere Senza Stomaco (Si Puo’!) dal titolo: “Dimensioni comunicative, Relazionali e Psicosociali in Oncologia”, al quale hanno partecipato illustri esperti della scuola ferrarese, da lungo tempo impegnata negli studi psicosociali connessi al cancro.
L’ASSENZA DI RISORSE. Nonostante sempre più medici denuncino la necessità di avere psiconcologi nei propri reparti, gli ultimi dati raccolti ci dicono che su 195 servizi offerti sul territorio 104 sono prestati dalle organizzazioni no profit con il 62% gestiti da personale precario e spesso discontinuo. Ciò dimostra un trend poco incoraggiante: “Lo sviluppo dei servizi di psiconcolgia in Italia è stato solo parziale. Nonostante gli interventi a livello europeo, le risorse per l’implementazione di tali servizi sono modeste” afferma il professor Luigi Grassi, Ordinario di Psichiatria dell’Università di Ferrara.
Un’altra criticità riguarda la formazione degli operatori medici e degli infermieri: “Il tentativo di creare una scuola professionalizzante che formi i medici, gli infermieri, il personale paramedico, gli assistenti sociali e i familiari nell’affrontare e supportare un paziente, è ostacolato dalla mancanza di una politica sociosanitaria di investimento in ambito psicosociale, i fondi sono pochi e le cure legate alla sfera della psiche non sono sponsorizzabili come la vendita di un farmaco” dichiara Rodolfo Passalacqua, Direttore del reparto di medicina e oncologia dell’ospedale di Cremona.
La mancanza di una formazione adeguata provoca anche un distacco medico-paziente dal punto di vista comunicativo: “al punto che circa il 60% dei medici tende a normalizzare la paura del paziente per il timore stesso di non avere mezzi adeguati per proporre percorsi specifici di psicoterapia”, aggiunge Grassi.
IL RUOLO DEL CAREGIVER. Rosangela Caruso, Professore Associato di Psichiatria presso l’Università Estense ha messo in luce il faticoso processo di adattamento del caregiver, che da persona più vicina al paziente è sottoposta a un grande stress emotivo sia nell’attesa della diagnosi che nel momento della comunicazione delle cure, che dilaga nella fase adattiva di convivenza con il trauma. “Lo stato di salute del caregiver è fondamentale, la malattia infatti si riflette anche su questa figura tanto che oltre il 50% chiede interventi di training per migliorare le proprie prestazioni sia dal punto di vista pratico sia in termini di supporto emozionale nell’assistenza del paziente”. La diagnosi della patologia provoca uno choc all’interno dell’intero nucleo familiare all’ membro reagirà in modo diverso a seconda della relazione con il malato. Da qui il suggerimento di includere la malattia nelle dinamiche interpersonali, ma allo stesso tempo di continuare a condividere interessi e passioni precedenti.
LA VITA DOPO IL CANCRO. I dati evidenziano come la popolazione in vita dopo la malattia, sia maschile che femminile, sia in aumento in tutto il mondo. Ciò comporta la necessità di sviluppare dei modelli di screening per aiutare coloro che guariscono perché come ha spiegato Maria Giulia Nanni, professore Associato di psichiatria dell’Università di Ferrara: “Guarire non corrisponde al ritorno di una vita identica a quella di prima.
È reale il rischio che la vita possa essere limitata da vissuti traumatici di ansia, preoccupazione persistente nei confronti della propria salute e problemi associati all’immagine corporea”. Da ciò emerge la necessità di interventi finalizzati a promuovere la dignità e la spiritualità della persona per promuovere una crescita personale che tenga conto dei valori e delle risorse del paziente.
com.unica, 3 dicembre 2020