All’una del pomeriggio di ieri centinaia di fanatici sostenitori del presidente americano uscente Donald Trump, tra cui molti armati, hanno fatto irruzione nell’edificio del Campidoglio mentre il Congresso americano era riunito per quella che avrebbe dovuto essere una semplice formalità: riconoscere la vittoria del democratico Joe Biden alle elezioni di novembre. Almeno così è sempre stato: l’unico precedente risale al 1814, quando le forze britanniche avevano marciato su Capitol Hill, dando l’edificio alle fiamme. Il gruppo di estremisti è riuscito ad arrivare fino all’ufficio di Nancy Pelosi e sono entrati nelle aule interrompendo la ratifica del voto, prvocando l’evacuazione di tutti i parlamentari. Nei corridoi del Senato i rivoltosi trumpisti erano in grado di vagare liberamente, mentre cercavano membri del Congresso che consideravano nemici. Uno di questi è salito sul palco e, secondo quanto riportato da un giornalista, ha urlato: “Trump ha vinto le elezioni”. Nel corso dell’assedio, durato cinque ore, una donna sostenitrice di Trump è stata ferita durante uno scontro con la polizia ed è morta in ospedale. Il bilancio alla fine della serata è di tre morti e 52 persone arrestate.

Poco prima dell’irruzione il senatore repubblicano Todd Young aveva provato a far ragionare i trumpiani che assediavano gli ingressi. “La legge conta più delle opinioni”, diceva. “Ma le opinioni contano per noi!”, ribattevano quelli. “E io ho fatto un giuramento al cospetto di Dio! Di Dio!”. La polizia ha evacuato parte degli uffici, ha usato i lacrimogeni, ha provato senza successo a bloccare l’assalto della moltitudine contro il processo ordinato della democrazia americana, aizzato da due mesi di propaganda senza interruzioni. Anzi: “da anni di propaganda senza interruzioni” fa notare oggi Daniele Raineri sul Foglio.

È evidente che alla base di tutto c’è il fatto che Donald Trump non abbia mai accettato l’esito del voto e anzi aveva incoraggiato la manifestazione a Washington, incitando i suoi sostenitori. A seguito dell’irruzione nel palazzo del Congresso si è rivolto con un video ai suoi sostenitori invitandoli a tornare a casa ma continuando a parlare di brogli, giustificando nei fatti le azioni violente. Il messaggio ed altri post successivi sono stati successivamente rimossi dai social principali, che hanno bloccato l’account del presidente uscente.

ll Congresso, nella notte italiana, si è poi riunito di nuovo per certificare la vittoria di Biden, respingendo tutti i ricorsi pretestuosi. “A chi oggi ha seminato il panico nel nostro Campidoglio dico: non avete vinto. La violenza non vince mai, la libertà vince. E questa è ancora la casa del popolo” ha detto il vicepresidente americano, Mike Pence (a cui Trump aveva invano chiesto di non certificare il voto del Collegio elettorale, cosa che il vicepresidente non ha il potere di fare). “Non ci piegheremo all’illegalità o all’intimidazione. Siamo di nuovo ai nostri posti” gli ha fatto eco il capo dei senatori repubblicani, Mitch McConnell, parlando di “insurrezione fallita” (Corriere della Sera). 

“Siamo arrivati alla fine dell’era Trump, e ora c’è una luce in fondo al tunnel: abbiamo resistito 4 anni, all’inaugurazione di Joe Biden mancano 14 giorni e arriveremo in fondo nonostante quello che sta succedendo a Capitol Hill», afferma Charles Kupchan, ex consigliere di Obama e professore di relazioni internazionali all’università di Georgetown, che risponde al telefono dalla sua casa di Washington alle domande del Corriere. Per Kupchan le responsabilità di quanto accaduto non sono solo di Trump: “Il presidente ha grandi responsabilità, ma le hanno anche parecchi membri del partito repubblicano. Per certi versi, credo che il comportamento del partito sia anche più preoccupante di quello del presidente: Trump è un individuo, ma il partito non lo ha fermato. Capisco che il presidente sia popolare con la base, ma gran parte dei repubblicani ha scelto consapevolmente di non fare l’interesse degli Stati Uniti e del popolo americano”.

com.unica, 7 gennaio 2021

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