La vita dell’imprenditore aquilano, che vive a Rochester (USA), raccontata come un romanzo

L’AQUILA – Anno nuovo, libro nuovo. In corso di stampa è imminente l’uscita, per i tipi delle Edizioni One Group, del volume “Mario Daniele, il sogno americano”, libro biografico a cura del giornalista e scrittore Goffredo Palmerini. Il corposo volume – 352 pagine, con un corredo di 321 belle immagini in bianco e nero – racconta la vita di Mario Daniele, eclettico imprenditore di origine aquilana, self made man negli Stati Uniti tra Detroit (Michigan), Rochester (New York) e Delray Beach (Florida), ma con un incipit migratorio assai particolare in Canada. Una vita che pare un romanzo, con quel tanto di avventura, sentimento, sana temerarietà, coraggio e intraprendenza. Innervata sulla forte indole della nostra gente di montagna, la tenace determinazione di Mario Daniele ci consegna questa storia fuori dall’ordinario, con le stesse parole del protagonista.

Scrive Francesca Pompa, presidente One Group: “Quasi un romanzo questo racconto di vita vissuta. Mario Daniele, protagonista d’una storia di emigrazione “quasi per caso”, diventata man mano il sogno americano realizzato, la racconta con grande freschezza nei suoi appunti, riportati in fedele narrazione dal curatore Goffredo Palmerini attraverso una scrittura bella, scorrevole e coinvolgente. Un costante parallelo tra il paese natale nell’Abruzzo aquilano, Castelnuovo, e i luoghi della sua emigrazione negli Stati Uniti: così Mario Daniele descrive la vita sua e della famiglia, sul filo delle emozioni e dell’amore mai sopito per la terra d’origine. Un’avventura fatta di coraggio, tenacia, capacità d’intrapresa, talento imprenditoriale. Ma anche di valori, solidarietà, servizio verso la comunità italiana negli States, della quale egli è uno stimato e riconosciuto esponente. Anche attraverso questa storia di vita, dell’emigrazione italiana un’altra piccola ma significativa tessera, si arricchisce quel mosaico di esperienze esemplari che del nostro fenomeno migratorio costituisce parte rilevante nella Storia d’Italia, sul piano sociale, economico e culturale.”

Mario Daniele è nato a Castelnuovo di San Pio delle Camere (L’Aquila) il 12 maggio 1946. Poco più che adolescente mette in luce un talento imprenditoriale, con l’avvio di varie attività a Castelnuovo. Nel 1966, in servizio di leva nell’Aeronautica, negli ultimi sei mesi di servizio militare viene inviato in Canada, come meccanico. Vi resta dopo il congedo. Si trasferisce poi negli Stati Uniti, dove da oltre mezzo secolo opera in vari campi di attività commerciale e imprenditoriale, dapprima nell’area di Detroit e dal 1974 a Rochester, nello stato di New York. Attività che negli ultimi anni si sono estese anche in Florida. Oltre che imprenditore – nei settori della ristorazione, costruzioni, immobiliare, commerciale, alberghiero, import e servizi – Mario Daniele è fortemente impegnato in campo sociale, comunitario e istituzionale, in ruoli di significativo rilievo. Per oltre 15 anni è stato Vice Console onorario d’Italia a Rochester. Intenso il suo impegno anche in campo filantropico e nella solidarietà. Numerosi gli incarichi di rappresentanza e responsabilità ricoperti (presidente Italian American Cultural Center, esponente Istituto europeo Robert Schuman in Usa, NIAF, Rotary International, Muscolar Dystrophy Association, amministratore ospedale Unity Behavioral Health, presidente Humanitas, ed altri). Diversi riconoscimenti gli sono stati conferiti negli Stati Uniti e in Italia (Ellis Island Medal of Honor, Premio Zimei, Premio Valigia di Cartone) e segnalano la stima e il prestigio che Mario Daniele ha conquistato sul campo nel corso della realizzazione del suo sogno americano. Sposato dal 1969 con Flora Gasbarre, hanno due figli, Anthony e Danny, e cinque nipoti. 

Nella Presentazione che apre il volume scrive tra l’altro Goffredo Palmerini: “[…] Qualche anno fa Mario incaricò una persona a Rochester per raccogliere le memorie che man mano gli raccontava, per riorganizzarle in uno scritto da pubblicare. Quando però quella persona gli consegnò una prima parte del racconto, egli stentò a riconoscersi nella storia, tanto che la liberò dall’incarico, dopo averla ricompensata per il lavoro svolto. Me la raccontò questa vicenda un paio di anni fa, assai deluso. […] Avvertii la sua amarezza nel vedere in difficoltà un desiderio coltivato nel profondo del cuore. Fu in quel momento che gli offrii una disponibilità, però condizionata: avrebbe dovuto essere proprio lui, Mario, attraverso appunti e ricordi – scritti in qualunque idioma – a raccontarmi la sua storia. Io l’avrei solo trasposta in un italiano chiaro, leggibile, scorrevole, riportando con fedeltà nel racconto quel grande patrimonio di sensibilità, desideri, sogni, nostalgie, amore per la terra natia, voglia di conquistare il proprio futuro in terra straniera, che sono sentimenti così fortemente presenti negli emigrati ma che sfuggono a chi non ha confidenza e conoscenza del fenomeno migratorio italiano. […]

Occorre anche precisare lo spirito che ha mosso Mario a raccontarsi. Non certo per mettere in luce il frutto della sua laboriosità, del suo talento, del suo indubbio “fiuto” imprenditoriale, della sua determinazione a migliorare sempre. La decisione di raccontarsi è soprattutto riservata alla sua famiglia, ai figli, ai nipoti e alla successiva generazione, perché rimanga qualcosa di più duraturo, come lo è un libro, quando la memoria orale andrà affievolendosi. In fondo questo racconto è anche dedicato alla comunità di Castelnuovo – il borgo dal quale la storia prende origine – ed alla sua gente oltre confine, in Canada e negli Stati Uniti, con la quale Mario ha avuto relazioni di forte intensità. Ciascuno da questi ricordi trarrà stimolo per rammentare altre storie, arricchendo quella memoria condivisa che dà alimento al senso di comunità, sia di Castelnuovo nell’aquilano, come pure alle comunità italiane delle città del Canada e degli Stati Uniti laddove Mario ha intessuto la sua vicenda umana e imprenditoriale, lasciandovi sempre un segno positivo d’impegno sociale, di generosa solidarietà e di servizio alla comunità. Restano esemplari gli anni resi come Vice Console d’Italia a Rochester, una carica onoraria nella quale Mario Daniele ha dato il meglio di sé per servire la comunità italiana. L’apprezzamento al suo servizio “diplomatico” onorario – annota infine Palmeriniè un ulteriore prestigioso riconoscimento ad una vita spesa anche per gli altri, nel campo dell’associazionismo, del sociale, della solidarietà. Egli con il suo esempio rende onore alla terra d’origine e all’Italia.

Il libro, che presto sarà disponibile in Italia, sarà stampato anche negli Stati Uniti. La famiglia Daniele lo darà in omaggio ai tanti connazionali che vivono a Rochester e alla cospicua rete delle loro amicizie in tutti gli States che hanno radici italiane. La famiglia Daniele, inoltre, sta pensando anche a un’edizione in lingua inglese, per i lettori americani. Il libro, quando sarà tradotto, sarà pubblicato direttamente negli Stati Uniti.

Goffredo Palmerini

Goffredo Palmerini, nato a L’Aquila il 10 gennaio 1948, è giornalista e scrittore. Scrive su giornali e riviste in Italia e sulla stampa italiana all’estero. E’ nella redazione di numerose testate giornalistiche in Italia e, come collaboratore e corrispondente, presso diversi giornali all’estero e importanti agenzie internazionali. Ha pubblicato i volumi “Oltre confine” (2007), “Abruzzo Gran Riserva” (2008), “L’Aquila nel mondo” (2010), “L’Altra Italia” (2012), “L’Italia dei sogni” (2014), “Le radici e le ali” (2016), “L’Italia nel cuore” (2017), “Grand Tour a volo d’Aquila” (2018), “Italia ante Covid” (2020). Numerosi premi e riconoscimenti internazionali gli sono stati conferiti per l’attività in campo giornalistico – il XXXI Premio Internazionale Emigrazione sezione Giornalismo (2007), il Premio internazionale di Giornalismo “Gaetano Scardocchia” (2017), il Premio Giornalistico Nazionale “Maria Grazia Cutuli” (2017), il Premio Giornalistico dell’Anno 2017 dall’Associazione Stampa italiana in Brasile, il Premio internazionale “Fontane di Roma” (2018) – e in campo culturale il Premio Internazionale “Guerriero di Capestrano” (2008), il Premio Speciale “Nelson Mandela” per i Diritti Umani (2014), il Premio Nazionale Pratola per la Letteratura (2020), e diversi altri riconoscimenti.


L’introduzione al libro di Goffredo Palmerini

CASTELNUOVO E L’ALTIPIANO

Un tempo, prima che la grande emigrazione prosciugasse di braccia queste aride terre dell’Abruzzo montano, l’altipiano che si snoda dai resti dall’antica città vestina di Peltuinum fino al magnifico borgo di Navelli era un giardino di mandorli in fiore, a primavera. Perle bianche tenuamente tendenti al rosa ingioiellavano i campi distesi sull’acrocoro. E più ancora gli acclivi che nei due lati ne erano cornice, trapuntati di borghi dalle splendide architetture e vestigia d’antichi castelli e fortezze sulle sommità dei colli, a presidio di quelle comunità. Sulla piana, in sequenza, magnifiche chiese di pietra, con le facciate romaniche squadrate, indorate dal sole. Correva, lungo l’altipiano dove da secoli si coltiva lo zafferano – l’oro rosso più buono del mondo – l’antico “tratturo magno”, la grande via della transumanza.

Era largo oltre centodieci metri, il tratturo. Prendeva avvio dai contrafforti amiternini, già patria di Caio Crispo Sallustio, superando di lato il colle dove nel 1254 venne fondata L’Aquila, e si dispiegava come “un erbal fiume silente” fino alla Puglia, alla Capitanata di Foggia, dove le greggi dai monti andavano per otto mesi a svernare. Dunque su quel tratturo, dalle terre dei Sabini e dei Vestini – gli antichi popoli italici di questa parte d’Abruzzo -, per oltre due millenni e fino a qualche decennio fa, i pastori hanno scritto storie di fatica, sofferenze, relazioni umane e commistioni di culture, accompagnando le loro greggi verso le campagne del Tavoliere pugliese.

Vita dura, grama, specie in queste terre sassose dell’Abruzzo interno da cui negli scorsi due secoli fiumi d’emigranti sono partiti per le Americhe, poi per l’Europa e l’Australia. E con loro sono partite le braccia, quelle stesse che dalle balze inerpicate verso l’imponente catena del Gran Sasso prima carpivano dai sassi scampoli di terra da coltivare, per il parco nutrimento di famiglie ricche solo di bimbi, o che pascevano le greggi dei grandi armentari. L’antico tracciato del “tratturo magno”, superata l’erta di Poggio Picenze, all’altezza di Barisciano – esposto con le case a mezzogiorno sul fianco della montagna a sinistra – deviava leggermente a destra verso l’antica città di Peltuinum, guardata a vista e quasi presidiata dal borgo di Castelnuovo, con le sue case allineate sul fianco di un colle, l’unico nel mezzo dell’altipiano.

Castelnuovo, il cui antico nome era Castronuovo (dal latino castrum, borgo fortificato), era nato dopo l’anno Mille dall’unione di due villaggi. Nel 1254 è tra i castelli fondatori dell’Aquila, la nuova città edificata con il concorso di una settantina di castelli che avrà per tre secoli un importante ruolo economico, politico, culturale e spirituale anche fuori dal Regno. Castelnuovo ne segue le vicende, anche quando nel 1423, durante l’assedio durato 13 mesi operato Braccio da Montone alla città dell’Aquila, viene esso stesso occupato dalle truppe braccesche, fin quando gli Aquilani, usciti in campo aperto ad affrontare gli assedianti, il 2 giugno 1424 a Bazzano non feriscono a morte Braccio e vincono la guerra. Le vicende storiche di Castelnuovo sono contrappuntate da devastanti terremoti: nel 1461, quando il paese fu distrutto dal sisma (…Castelnuovo divenuto un mucchio di sassi, caduti anche i torrioni delle mura comuni colla morte di 28 persone… scrisse Anton Ludovico Antinori negli Annales), poi ancora raso al suolo dal terremoto del 2 febbraio 1703, infine il 6 aprile del 2009, quando il centro storico del borgo è stato devastato dai crolli, con cinque vittime rimaste sotto le macerie. Con l’unificazione d’Italia nel 1862 Castelnuovo era stato annesso al Comune di San Pio delle Camere. Attualmente il paese sta gradualmente rinascendo dai danni del terremoto del 2009, compresa la chiesa dei Santi Stefano e Silvestro, posta sulla sommità del colle con accanto il campanile in pietra d’origine medievale, guardiani spirituali del borgo e dell’altipiano.

Dal rilievo del colle dove sorge, Castelnuovo domina la vista dell’antica città vestina di Peltuinum, di cui restano importanti vestigia archeologiche su un territorio condiviso con il vicino comune di Prata d’Ansidonia. L’impianto urbano dell’antica Peltuinum, che gradualmente sta tornando alla luce con campagne pianificate di scavi archeologici, offre un ordine di mura romane all’interno del quale è stata rinvenuta un’area sepolcrale che si aggiunge alla necropoli esterna risalente fino al VII secolo a.C. La fondazione di Peltuinum secondo i canoni urbanistici romani si colloca alla metà del I secolo a.C., in un periodo di riorganizzazione amministrativa che si conclude con l’accentramento del potere nelle mani di Ottaviano Augusto. Proprio in quest’area centrale dell’Italia, nel territorio dei Vestini, si costituisce un importante polo urbano, sia per le vie di comunicazione (qui passava la Claudia Nova, realizzata nel 47 d.C. con l’imperatore Claudio, che collegava Amiternumalla Tiburtina Valeria), sia per lo sfruttamento agricolo locale e di più vasta portata, sia infine per la regolamentazione del transito delle greggi in transumanza. Al primo secolo d.C. si collocano la sistemazione dell’area urbana, con la costruzione di una cinta muraria e di un’area monumentale, i cui scavi hanno finora riportato alla luce un tempio, prospettante sul foro, e un teatro.

Le fonti antiche riportano un forte terremoto che nel V secolo dovette interessare Roma e gran parte dell’Italia centrale. I risultati di scavo sull’area di Peltuinum portano ad individuare nel sisma del 443 l’evento calamitoso che provocò il graduale abbandono della città romana. La popolazione iniziò a lasciare la città, anche a causa delle guerre che segnavano sempre di più la debolezza dell’Impero romano. E nel clima di insicurezza la gente di Peltuinum si spostò verso luoghi e posizioni più difendibili, che poi andranno a costituire i borghi ancor oggi visibili. Dal V secolo in poi molte le spoliazioni perpetrate agli edifici principali della città, tanto che abbondante materiale lapideo è rintracciabile nelle murature delle chiese e nei castelli di Prata d’Ansidonia, Castelnuovo, Bominaco e significativamente nella splendida chiesa di San Paolo.

I primi scavi archeologici nell’area di Peltuinum risalgono al 1983-‘85. Essi furono condotti sotto la supervisione del prof. Paolo Sommella, che allora insegnava Urbanistica Antica presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Le indagini sul campo vennero effettuate in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica d’Abruzzo, la Comunità Montana della Piana di Navelli ed altri Enti locali. Con le prime ricerche di scavo venne indagata l’area pubblica della città romana, costituita dal tempio forense e dal teatro. Sotto la direzione di Adele Campanelli della Soprintendenza Archeologica d’Abruzzo, tra il 1986 e il 1996 vennero effettuati restauri e opere di consolidamento che riguardarono soprattutto il tratto occidentale delle mura, la porta ovest, tempio e porticus, una piccola parte del teatro nonché il fortilizio medievale. Di nuovo sotto la guida del prof. Sommella, a partire dal 2000, le ricerche nell’area archeologica sono state riprese nell’ambito di un progetto europeo. Dal 2001 lo scavo didattico e la ricerca sono diretti dalla prof. Luisa Migliorati, della Sapienza Università di Roma. Nel 2009 la Soprintendenza d’Abruzzo ha intrapreso una campagna di scavo nell’area della necropoli pre-romana fuori dalle mura della città.

Queste brevi notizie di Castelnuovo e della sua storia, fortemente ancorata a quella della città di Peltuinum, ci disegnano il contesto dal quale, nel corso del Novecento e particolarmente nel secondo dopoguerra, gran parte della popolazione dei borghi dell’altipiano e della stessa Castelnuovo prese la via dell’emigrazione, nelle Americhe, nei paesi d’Europa – Svizzera, Francia, Belgio, Germania -, e in Australia. E’ qui a Castelnuovo che ha inizio la storia che racconteremo, la vita di Mario Daniele, una vita che pare un romanzo, con quel tanto di avventura, sentimento, sana temerarietà, coraggio e intraprendenza. Innervata sulla forte indole della nostra gente di montagna, la tenace determinazione di Mario ci consegna questa storia fuori dall’ordinario, con il racconto del protagonista stesso.

com.unica, 11 gennaio 2021

*Nella foto in alto le tre generazioni della famiglia Daniele

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