Recovery Plan, tanti obiettivi ma senza strumenti per raggiungerli
Sono fondate le critiche di Renzi al piano del governo? Le voci autorevoli degli economisti Tommaso Monacelli (docente di Politica economica alla Bocconi) e Enrico Giovannini (ex Presidente dell’Istat)
Nel dibattito di questi giorni sulla crisi di governo pochi parlano di contenuti, sommersi dalle urla da curva sud degli odiatori di professione che ripetono, dipingendo immancabilmente Matteo Renzi come il peggiore degli irresponsabili, il solito ritornello: “Ma come, una crisi di governo in piena pandemia?” Accuse e invettive che quasi mai entrano nel merito del contendere e che provengono spesso da coloro (e qui sconfiniamo nel grottesco) che negli ultimi anni hanno dato prova di populismo eversivo propugnando il superamento della democrazia parlamentare e arrivando persino alla richiesta di impeachment del Presidente della Repubblica.
Ma l’accusa di irresponsabilità per aver aperto la crisi in una fase delicatissima come quella che stiamo attraversando può essere ribaltata sostenendo che sarebbe necessario un deciso cambio di passo e un forte shock proprio nel momento in cui il governo mostra preoccupanti segni di immobilismo e incapacità nell’affrontare questioni decisive per i prossimi anni e che andranno a incidere sul futuro delle giovani generazioni.
Il tema caldo è quello del Recovery Plan (il cosiddetto Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), che mette a disposizione ben 222 miliardi, suddivisi in 6 missioni principali. Il testo approvato dal Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2021 stabilisce le misure che dovranno dare attuazione in Italia al programma Next Generation EU, ritenuta da tutti come la grande occasione per lo sviluppo dell’Italia. Un piano definito da Renzi “privo di ambizione per il futuro del paese”.
Per valutare la fondatezza di queste obiezioni è bene ascoltare voci autorevoli e indipendenti dai partiti. Come quella di Tommaso Monacelli, professore ordinario di Politica Economica all’Università Bocconi di Milano, che ha analizzato a fondo il documento del governo e ne ha scritto sul sito di informazione economica “La Voce.info”. L’economista, così come molti suoi colleghi, è molto critico nei confronti del governo che, afferma, “lascia l’impressione di un documento meramente politico, volto a salvaguardare (forse) equilibri di breve periodo, ma lontano dal formato che, in linea di principio, la Commissione europea pretenderà dai diversi paesi membri.” “Il Recovery Plan (o Pnnr) – sottolinea – è il più importante piano di politica economica degli ultimi trenta anni. Ma la sua seconda versione è un documento politico senza analisi economica, con obiettivi contraddittori e che non corrisponde a quanto chiede la Commissione.”
“Uno degli aspetti che colpisce maggiormente nella struttura del Piano” – continua Monacelli – è il fatto che nel proprio impianto sembra non corrispondere a quanto tecnicamente richiesto dalla Commissione, perché non fornisce indicazioni sugli strumenti con cui raggiungere gli obiettivi. “Per esempio, secondo le richieste della Commissione, non basta certamente indicare l’obiettivo di allocare tot miliardi per raggiungere la cosiddetta parità di genere. Bisogna tradurre questi obiettivi in ‘target’ ben definiti. Per esempio, quanti asili nido? Dove? Utilizzando quanti miliardi? Con che scadenza temporale? E non solo. La Recovery and Resilience Facility della Commissione richiede che siano indicati anche gli obiettivi economici che si intendono raggiungere con tale piano. Per esempio: costruire x mila nuovi asili con l’obiettivo di far crescere l’occupazione femminile dell’x per cento entro il 2026. Dovendo tenere presente che al momento opportuno, se tali obiettivi non saranno stati raggiunti, la Commissione non procederà all’erogazione di fondi.”
La realizzazione sarà quindi piena di condizionalità, sotto le quali il paese rischia fra pochi anni di rimanere schiacciato. Una responsabilità grandissima nei confronti dell’Europa per il paese che è il massimo beneficiario dell’intero piano Next Generation EU.
Uno sforzo che richiederebbe un “governo politico” per i prossimi “due anni, decisivi per affrontare l’emergenza, ma anche per impostare il futuro del Paese”, afferma in un’intervista rilasciata a Huffington Post Enrico Giovannini, economista, ex ministro del Lavoro nell’esecutivo presieduto da Mario Monti, ex presidente dell’Istat e ‘anima’ dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo sostenibile (ASviS) che promuove in Italia l’Agenda 2030 elaborata dall’Onu per uno sviluppo sostenibile. Giovannini tifa per la “stabilità per la trasformazione”, ma non è tenero con la bozza di ‘recovery plan’ elaborato dal governo Conte. Perché richiede “una forza politica notevole” decidere – ad esempio – di destinare alle fonti rinnovabili di energia “i 20 miliardi l’anno che attualmente vanno alle fonti fossili”.
“Manca la visione del Paese nel 2030”, sottolinea l’economista, “mancano tabelle dettagliate con indicatori di risultato…”. E sui ristori: “Stiamo aiutando tutti, anche imprenditori che non hanno futuro. Invece bisognerebbe aiutare le aziende ’senza speranza’ a riconvertirsi…”. Se avessimo usato quei soldi per aiutarli a far ripartire l’attività magari in un altro luogo, o a far partire un’attività diversa o a unirsi in imprese più robuste sarebbe stato diverso. Ma davvero noi pensiamo che i nostri centri storici saranno pieni di bar che sopravviveranno con la vendita di tramezzini all’ora di pranzo a chi andrà in ufficio tutti i giorni? Tantissime imprese pensano di usare lo smart working anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Quindi, tante persone passeranno la giornata nei pressi della propria abitazione, il che potrebbe essere una opportunità per nuovi esercizi di prossimità. Forse avrebbe più senso finanziare nuove iniziative che assistere chi spera soltanto che tutto torni com’era.”
Sebastiano Catte, com.unica 16 gennaio 2021
Fonti: La Voce.info e Huffington Post