La musica può rendere gli uomini liberi” affermava Bob Marley, indimenticabile chitarrista e attivista giamaicano, ma il tema di Marley cui la di lui citazione si riferiva era la lotta contro l’oppressione politica e razziale e l’invito all’unificazione dei popoli di colore come unico modo per raggiungere la libertà e l’isonomia.

Marley è morto 40 anni fa quando il globalismo era appena in timida fase sperimentale. Oggi, in piena epoca globalista, i problemi non sono più l’oppressione razziale, ma l’oppressione della “macchina”, del “sistema”; il mondo è cambiato e canti e suoni, purtroppo, non risolvono i nostri guai!

Questo nuovo ordine mondiale, conseguenza del grande reset globalista, tutto d´un colpo ha mandato alla malora la gradevole espressione “Canta che ti passa” e le leggiadre rime del Petrarca “Perché cantando il duol si disacerba”. Perbacco, quelli erano altri tempi!

Se così non fosse, gli italiani, che sono notoriamente un popolo ” canterino” (7 su 10 – secondo una curiosa statistica – cantano sotto la doccia), dovrebbero essere senza “duol” e “liberi come il sole”, così come canta Massimo Di Cataldo. Ciò stante, hai voglia di cantare canzoni e stornelli, caro popolo… l´espediente non funziona; meglio ripiegare su blues e spiritual. Siamo oramai schiavi e la musica gospel dedicata al Creatore se non ci ridarà la perduta libertà potrà almeno alleviare tanto o quanto le nostre sofferenze.

Noi crediamo di essere liberi e di vivere nel progresso, ma ci illudiamo. Il vero progresso non è solo tecnologico. Per Seneca, infatti, Il progresso non è buono in se stesso, ma solo se la filosofia lo orienta verso la saggezza. E non è certamente il nostro caso, dal momento che esso è lo strumento materiale e distruttivo che, in mano di pochi, massifica la gente. Altro che puntare alla saggezza!

Ebbene, non siamo liberi; siamo solo illusi. Ci illudiamo di vivere in un mondo reale, ma la verità è che, oggi, quello che vediamo è il mondo artatamente costruito per nascondere la verità: ovvero noi altro non siamo che dei prodotti creati dalla globalizzazione. Viviamo una vita di menzogna che non è quella che vorremmo vivere, ma quella che ci è stata imposta dagli architetti di questa grande illusione. In sostanza, siamo il prodotto finale di ciò che altri al nostro posto hanno deciso, senza il nostro consenso, del nostro modo di vivere.

Matrix, film di fantascienza scritto e diretto dai fratelli Andy e Larry Wachowski, che molti di noi certamente ricordano, ha magistralmente rappresentato l’illusione della realtà. E che la realtà sia una semplice illusione molto persistente ce lo ricorda ancora una volta Albert Einstein.

La globalizzazione ci ha imposto il dominio della tecnologia o più semplicemente della “Macchina” governata dall’Alta Finanza e, così facendo, ci ha catapultati in un mondo tecnologico e irreale ove non siamo più gli artefici del nostro destino e liberi di esercitare i nostri diritti.

Oggi, ad esempio, la nostra maggiore preoccupazione è la pandemia e trascuriamo appunto i nostri diritti, ma la vita va vissuta e non soltanto protetta, insegna Seneca. A che serve mantenerci in vita senza poter vivere liberamente?

Che strazio, che empietà! L’individuo, ridotto a “uomo massa” (espressione cara a Ortega y Gasset, uno dei maggiori esponenti dell’esistenzialismo europeo), non solo sopravvive oppiato e compiacente col sistema, ma non aspira a migliorarsi e per di più gioisce della propria mediocrità. Siamo disgraziatamente schiavi del Nuovo Ordine Mondiale e di tutto ciò che lo compone, ma nessuno reagisce. Tutt’altro!

La dittatura delle piattaforme digitali, un esempio tra tanti altri, oramai non ha più limiti. Si comporta in maniera poliziesca, autoritaria e infingarda. Ma chi ne parla, a chi interessa? Facebook e Twitter recentemente hanno oscurato gli account di Donald Trump, molti twit dell’account ufficiale Potus e il canale di Steve Bannon su YouTube.

Facebook ha poi censurato un video del cardinale Juan Sandoval Íñiguez, arcivescovo emerito di Guadalajara, per aver ipotizzato che i leader globalisti potrebbero sfruttare la pandemia del coronavirus per creare un nuovo ordine mondiale e miglior sorte non è toccata al social network Parler, oscurato anch’esso dalle piattaforme.

Più da vicino: il quotidiano Libero ha subito analoga sorte e Federico Palmaroli, in arte ‘Osho’, si è visto sparire da Facebook la propria pagina. E non parliamo di WhatsApp che unilateralmente, ancorché sommersa dalle critiche, ha annunciato ancora un pericoloso cambio di politica sulla privacy.

Bloccare e senza possibilità di ricorso un giornale o un’opinione significa bloccare la democrazia, la libertà di espressione. Eppure la società dell’informazione, gli ordini di categoria e i gruppi casinisti di turno non hanno prestato la benché minima attenzione a quanto accaduto. E il nostro governo? Beh, quello te lo raccomando: in altre faccende affaccendato, non ha ancora percepito che si tratta di un grave problema di coscienza fondamentale. Probabilmente pretendiamo troppo.

Alla politica non interessa il pensiero di Koch, Heidegger, Sant’Agostino, San Paolo, Kant, Rousseau e via dicendo. Non è pane per i suoi denti. Eppoi, la cultura costa denaro! In sostanza, gli oligopoli mediatici privati, a seconda dell’interesse di politica economica che li anima, fanno – indisturbati – il bello o il cattivo tempo. E solo chi non vuole vedere non vede che la posta in gioco è la nostra libertà. Quella d’espressione, in particolare, dal momento che essi rappresentano la principale fonte d’informazione dei nostri tempi.

Essi si sostituiscono sostanzialmente ai competenti organi statali nella gestione della discussione pubblica, violano l´art. 21 della nostra Costituzione e nel contempo si sentono d’avere in mano l’Anello del potere anche perché esenti da responsabilità in quanto non soggetti ad alcuna normativa.

A questo punto, considerato che l’arbitrarietà delle decisioni dei signori della comunicazione è tenuta in non cale da parte di qualsiasi autorità, auguriamoci che quantomeno il potere giudiziario nostrano, ancorché sottosopra per la recente vicenda Palamara, o la Corte di Giustizia dell’UE possa porre fine all’immunità delle Big Tech e alla dittatura di censura sociale di questi onnipotenti satrapi dell’informazione.

Ad ovest, oltreoceano, qualcosa si muove. I democratici USA ritengono il social di Zuckerberg responsabile di quanto successo nel 2018: l’uso dei dati di Cambridge Analytica da parte dei repubblicani sarebbe stato un fattore determinante nella vittoria di Trump. Ciò stante, il nuovo presidente Biden sembrerebbe intenzionato ad abrogare la Sezione 230, atto legislativo che, in pratica, impedisce ai giganti della Silicon Valley di essere citati in giudizio per le notizie che gli utenti pubblicano. Mah, sono ancora solo voci… speriamo. Sperare appartiene alla vita! 

Ma ecco che in fin dei conti sorge una domanda: siamo veramente liberi se costretti a vivere una vita omologata che altri hanno confezionato per noi? Assolutamente no! Saremo veramente liberi solo allorché ridiventeremo padroni di noi stessi.

Ci riusciremo? Lasciamo che il futuro ce lo dica! Sarà difficile, ma non impossibile. D’altronde, si dice che bisogna volere l’impossibile perché esso accada. Anche se il popolo, ahinoi, oramai avvilito e rassegnato sembra aver fatto proprio un vecchio adagio: “La libertà è la facoltà di scegliere le proprie schiavitù”.

Giuseppe Arnò*, com.unica 1 febbraio 2021

*direttore La Gazzetta italo brasiliana

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