In libreria “La guerra dei 6 giorni non terminò con mio padre”
Articoli, diari e riflessioni scritti da Alberto Baumann dal ’67 al ’69 nella raccolta curata dal figlio, il giornalista Alan Davìd
“… Del mio credere ti lascio l’origine, la luminosa durezza di essere Ebreo. A te la volontà incorruttibile. A te soffrire piuttosto che subire. Del mio piangere ti lascio il sospiro; quello che viene e dischiude la speranza”.
Alberto Baumann
La coscienza della propria identità che affonda le radici nel profondo. La consapevolezza di appartenere ad un popolo, ad una terra antica, e sentirne il richiamo ancestrale, anche per chi, come Alberto Baumann è nato a migliaia di km di distanza. Una vita intera alla ricerca di una risposta alla domanda più semplice e pura di questo mondo: “perché? Perché questo odio, frutto di ignoranza, di pregiudizio, di convenienza, vissuto in prima persona sulla propria pelle già da bambino, costretto ad errare nelle campagne toscane per paura di essere preso dai Tedeschi. È cresciuto nella Resistenza Alberto Baumann, (1933-2014) come maestra di vita la strada che gli ha impartito le lezioni più belle, il significato dell’amicizia, della solidarietà, il lottare per un ideale, il non lasciarsi scorrere addosso la vita.
Tutto questo insieme all’amara consapevolezza scaturita da millenni di discriminazioni vissuti da un popolo perennemente in lotta e sulla sua stessa pelle. Il piccolo “Berzi” è costretto a nascondersi nelle campagne toscane per sfuggire alle retate dei tedeschi, escluso dalla scuola per le leggi razziali, privato di un padre che per la sua condizione di apolide fu fatto salire su un treno, in manette, davanti agli occhi innocenti di un figlio, che lo vede tornare chiuso in un mutismo “senza sorriso” dopo 8 lunghi anni di confino. Una lunga diaspora quella di Alberto Baumann, iniziata dall’infanzia. Artista poliedrico, giornalista, scrittore, poeta, creatore di format televisivi, ma prima di tutto un uomo, un ebreo, un combattente che ha risposto alla violenza e all’ingiustizia della storia con le armi della ragione, della cultura, della bellezza, della filosofia e della poesia.
“Alberto era certamente laico, talvolta addirittura ateo, ma rimaneva profondamente ebreo. Il suo era puro amor di popolo, sin da quando a ricordarglielo furono le Leggi Razziali del ’38, fino alla sua perenne lotta contro le ingiustizie”, scrive di lui il figlio Alan Davìd. Perché l’antisemitismo, l’odio per gli ebrei e per Israele, sono tre facce della stessa medaglia. Lo scopriamo nel libro “La guerra dei 6 giorni non terminò con mio padre” a cura di Alan D. Baumann, Città del Sole Edizioni. Emozioni, riflessioni, diari, appunti. Capolavori letterari scritti da Baumann sotto forma di articoli dal ’67 al ’69 dopo lo scoppio della Guerra dei 6 giorni e raccolti dal figlio Alan Davìd a circa 7 anni dalla morte del padre. Alberto ha dedicato tutto sé stesso al dovere morale della memoria. Per non dimenticare, per tramandare l’orrore di quella violenza disumana che dopo il nazismo serpeggia nel mondo. Allora come oggi.
Il 5 giugno del ‘67 scoppia la Guerra in Medio Oriente. Da una parte Israele e dall’altra Egitto, Siria e Giordania ma anche Iraq, Algeria, Arabia Saudita e Kuwait entrano in guerra al fianco dei fratelli arabi per annientare lo stato ebraico. Dalle assolate piazze della capitale, in una Roma densa di promesse, Baumann sente la necessità di partire alla volta di Israele. Per replicare a quel “perché, per una risposta alle sue domande, per capire, per esserci. “Pur essendo rimasto convinto della sua irreligiosità, il suo essere parte del Popolo Ebraico richiedeva una necessaria presenza fisica oltre che morale” spiega il figlio. Grato alla moglie per aver compreso, per averlo lasciato andare. Quando giungerà a Gerusalemme, non c’ è già più traccia della Guerra. Tutti ne parlano, ma il popolo d’Israele ha vinto ed è abituato a ricominciare. Ha già ricostruito, cancellato, perché la vita va avanti. E gli ebrei lo sanno bene.
Nasce proprio durante questo viaggio l’idea di fondare un giornale ebraico, come ricorda Lia Levi nella prefazione. “Shalom” (titolo nato dall’intuizione della moglie di Alberto, la pittrice Eva Fischer) diviene il portavoce effettivo delle risposta politica e culturale del tempo, racconta il voltafaccia della Sinistra che si schiera contro lo Stato d’Israele, ma anche della morte di Martin Luther King, e a pochi mesi di distanza di quella di Robert Kennedy, il 5 giugno del ’68, in occasione del primo anniversario della guerra dei 6 giorni. Un momento storico che ancora una volta è segnato dall’antisemitismo e dalla violenza. Baumann ne diventa l’interprete, attraverso pagine di riflessioni da cui traspare attraverso una sottile, dolente ironia, lo sdegno per chi attenta in ogni parte del mondo alla dignità dell’Uomo, come già avvenuto in Polonia, nella penisola balcanica, in Russia. Come accaduto durante la Shoah, come purtroppo potrebbe accadere ancora oggi.
Scrive Alan David: “Tutto quanto scritto allora potrebbe essere recente, ma questo non è positivo tranne solo per il piacere della lettura: significa che l’uomo non impara”. Lo aveva compreso Alberto Baumann, istrionico, circense, polimata, ma l’amore per la vita è più forte della testimonianza della storia. La speranza non può e non deve morire. E allora bisogna scrivere, parlare denunciare, ribellarsi, attraverso le parole, le emozioni, attraverso i colori di “Sogni capovolti”. È questo il significato più profondo della sua straordinaria produzione artistico letteraria. Solo la memoria e la forza della testimonianza e della parola può ricordarci chi siamo, e salvare il mondo dall’odio.
Alan Davìd Baumann è nato a Roma il 15 maggio 1964. Ha fondato nel 2005 e dirige tuttora la testata giornalistica on-line “L’ideale” (https://www.lideale.info). Nel 2015 ha creato “ABEF – archivio Baumann e Fischer” e nel 2020 è nata la Fondazione Eva Fischer. Dichiara di Vendere Fantasia: una figura professionale che ne incorpora tante altre. 30 anni di esperienza che hanno forgiato questo job, attraverso la raccolta di idee, emozioni, colori. Relazioni e connessioni tra grafica, giochi di parole, marketing, contatti, informatica, editoria, mostre d’arte, convegni, giornalismo, creazioni di logo, concetti, ecc. Unire pensieri ad azioni, far diventare fatti le parole. Rendere realtà la fantasia, significa portare avanti le proprie idee rendendole di facile impatto ed utilità, come lo scrivere per chi non sa (fra le prime nozioni del giornalismo), senza offuscarne il gusto, la qualità, l’obbiettivo di spartire le proprie idee. “Vendere Fantasia”, perché solo grazie ad essa si può attivare una condivisione positiva e tramutare un’esistenza passiva. Vendere immaginazione condita con creatività.
Silvia Gambadoro, com.unica 10 febbraio 2021