Mario Draghi e il potere a tre
Melvyn Krauss (professore emerito di Economia alla New York University): “Con Draghi l’Italia avrà un peso maggiore nella leadership europea”
La nascita del governo Draghi ha suscitato una curiosità e un’attenzione da parte della stampa internazionale e degli opinion makers verso l’Italia che non si riscontravano da anni. Così, grazie al prestigio e all’autorevolezza di cui gode nel mondo l’ex governatore della Bce, l’Italia sembra essere tornata a giocare un ruolo importante nello scacchiere internazionale. In particolare in Europa, dove la leadership potrebbe spostarsi verso un modello triangolare: come Primo Ministro, Draghi sarà un membro influente del Consiglio europeo e di fatto uno dei principali leader insieme ai suoi omologhi francese e tedesco Emmanuel Macron e Angela Merkel. Il professor Melvyn Krauss, docente di Economia alla New York University, è tra i tanti che condividono questo orientamento e in un articolo pubblicato su Project-Syndicate sottolinea l’impronta fortemente europeista e allo stesso tempo ancorata a un’alleanza sempre più stretta con gli Stati Uniti del nuovo governo presieduto da Mario Draghi.
“L’ascesa di Draghi al palcoscenico europeo insieme a Macron e Merkel implica anche delle relazioni più strette tra l’UE e gli Stati Uniti – sottolinea Krauss. Il Presidente statunitense Joe Biden non poteva trovare migliore alleato in Europa. Il nuovo governo, ha promesso Draghi, sarà ‘fortemente a favore dell’Europa e dell’Atlantico, in linea con lo storico allineamento italiano.’ Ciò segna uno stacco dalla politica estera di Giuseppe Conte, che aveva avvicinato l’Italia alla Cina. Draghi sta dando all’alleanza atlantica la possibilità di rigenerarsi dopo quattro anni di sconsideratezza strategica di Donald Trump. Sulla NATO, Biden e Draghi hanno la stessa linea. Entrambi sotengono la presenza delle truppe statunitensi in Europa ed entrambi vogliono un maggior contributo finanziario da parte della Germania al budget della difesa comune. Un punto ancor più importante è che i due vedono gli Stati Uniti come ultimo protettore dell’indipendenza dell’Europa.”
Pertanto l’atlantismo di Draghi e i sentimenti pro-americani sono troppo profondi affinché lui possa sostenere la spinta attuale, sostenuta da Macron e da gran parte dell’élite, per una maggiore “autonomia strategica” dell’UE. Ma avendo la stessa visione di Macron su diverse altre questioni, “Draghi potrebbe ammorbidire la sua linea rispetto a quest’argomento spinoso.”
“La posizione di Draghi sulla sicurezza europea è tuttavia solida, quindi, per l’immediato futuro, non ci sarà un rimpiazzo delle truppe statunitensi in Europa”, prosegue l’economista. Con la scomparsa dell’influenza di Trump negli Stati Uniti, svanirà anche l’ansia europea rispetto all’affidabilità della garanzia di sicurezza dell’America, il che potrebbe smorzare persino la sensazione che sia necessaria una maggiore “autonomia strategica”. Il forte sentimento di atlantismo di Draghi dovrebbe rafforzare il sostegno all’allineamento atlantico da parte di tutto il Consiglio europeo, agendo quindi da contrappeso alla forza moderatrice della Merkel che tende a volte a lasciare che gli interessi commerciali della Germania prevalgano sui legami transatlantici e sulla sicurezza europea. “Maggiore sarà l’influenza di Draghi nel triangolo del potere europeo (e il suo passato incarico alla BCE sembra dargli un peso considerevole con la Merkel), più dura sarà l’UE con il Presidente russo Vladimir Putin e con gli autocrati di casa propria come l’Ungheria di Viktor Orbán e la Polonia di Jarosław Kaczyński.”
Ma il forte atlantismo di Draghi non è evidentemente in conflitto con le prospettive di un’Europa più unita, spiega ancora Krauss: “Quando era Presidente della BCE, Draghi non ha infatti salvato l’euro solo per preservare l’adesione dell’Italia alla moneta unica, come sostengono i suoi denigratori dei paesi del nord, ma l’ha fatto per salvare lo stesso progetto europeo. Allo stesso modo, non ha introdotto l’alleggerimento quantitativo semplicemente per salvare le obbligazioni italiane, ma l’ha fatto per rafforzare l’integrazione tra nord e sud. Ora sta sostenendo il Recovery fund non solo per aiutare l’Italia e altri paesi del sud a superare le conseguenze economiche della pandemia, ma anche per rendere permanente il più audace sforzo congiunto fatto finora volto a integrare il nord e il sud europeo. Il prossimo passo di questo procedimento potrebbe essere l’introduzione di un vero Eurobond e il sostegno di Draghi a un simile strumento di debito congiunto potrebbe rivelarsi decisivo.”