A duecento anni dalla nascita di un autore che con “Le fleurs du mal” ha inventato un nuovo modo di fare poesia. Una riflessione di Pierfranco Bruni

Charles Baudelaire  nasceva a Parigi il 1821 e moriva il 1867. Siamo al bicentenario. Fu il vero maestro di Marcel Proust.  Baudelaire rompe tutti i moduli, anzi tutti gli “steccati” e, rompendo questi steccati, crea un nuovo modo di fare poesia, quel nuovo modello di fare poesia che è l’esplosione della parola, del verso, del linguaggio e lo fa in termini semantici veri e propri, in una Francia che era ancora accarezzata dalla fase post rivoluzionaria, dall’Illuminismo. Baudelaire rompe questi steccati sul piano della comunicazione linguistica e usa una terminologia, quindi una semantica, in cui la parola, sia nella traduzione dal francese, ma anche restando nella lingua francese, ha un significato e un significante abbastanza coreografico. 

Questo risultato lo ottiene servendosi di tematiche abbastanza innovative che hanno, in seguito, rivoluzionato tutta la poesia europea, perché l’innovazione della poesia europea nasce, appunto, proprio da Baudelaire e nasce poiché usa un linguaggio abbastanza rivoluzionario, ma anche perché utilizza delle problematiche rivoluzionarie e tra queste problematiche c’è la questione riferita al tema del viaggio, al tema della morte, al tema del rimorso, al tema del male di vivere.

Le fleurs du mal non sono altro che questo rompere, questo spaccare, questo “spacchettare” il concetto di una psicologia analitica del linguaggio poetico in una dimensione onirica. La poesia resta al di là e al di sopra di qualsiasi forma di psicoanalisi, in quanto la poesia è linguaggio esistenziale, è l’antropologia dell’uomo e quando parla dei fiori del male non fa altro che recitare un’alchimia del dolore.

Siamo a un concetto forte con Baudelaire, forte e innovativo: l’alchimia, appunto. In Baudelaire c’è questa alchimia e l’alchimia forte è rappresentata da questi fiori del male che non dovrebbero essere letti, in una prima interpretazione, come una vera e propria maledizione. Il fiore in sé è una purificazione, una bellezza, ma Baudelaire parla anche della bellezza, però il male è il maligno, il maledetto, e questo male maledetto, maligno, che cattura la coscienza del poeta e la coscienza degli uomini del ‘900 successivamente, è una profezia che ci fa comprendere come l’inquietudine dell’uomo è tutta sospesa a un filo, il filo dell’alchimia.

Quando Baudelaire ci recita questo Spleen (siamo in due momenti della poesia de I fiori del male e lo Spleen) avvertiamo questo esplodere del verso del linguaggio. Questa sezione presenta in sé la caratteristica di una poesia che non è più romantica, che perde la sensualità del romanticismo, ma che recupera quella sensitiva malattia dell’anima e la sensualità del romanticismo diventa la sensualità alchemica che è tutta una visione, una dimensione  in cui l’onirico prende il sopravvento.

Ci sono diverse considerazioni che possiamo fare perché con lo Spleen siamo alla musica dell’esplosione, alla parola musicale che diventa esplosione, ma in termini tematici siamo a una dimensione in cui il concetto di alchimia diventa forte.

Desidero ricordare alcuni versi di Baudelaire, tra cui Il serpente che danza. 

Così:

“I tuoi occhi in cui nulla si rivela
di dolce né d`amaro,
sono gioielli freddi in cui si lega
il ferro all`oro.
Quando cammini con quella cadenza,
bella d`abbandono,
fai pensare a un serpente che danza 
in cima ad un bastone. 
Sotto il fardello della tua pigrizia
la tua testa d`infante
dondola mollemente con la grazia 
d`un giovane elefante,
e il tuo corpo si inclina allungandosi
come un vascello sottile 
che fila ripiegato spenzolando 
i suoi alberi in mare”.

Una poesia molto forte che ci inserisce in quella contestualizzazione riportandoci ad alcuni simboli che sono prettamente sciamanici. Una cultura sciamanica non intesa come vizio e come forma, bensì una cultura sciamanica che diventa “forma” e “maschera”. E qui si ritorna a Pirandello sul quale mi sono già soffermato nel mio saggio “La follia e la maschera” (Nemapress). Pirandello non fa altro che recuperare la “forma” e la “maschera” attraverso la dimensione onirica del mondo sciamanico. 

Sia in Baudelaire sia in Pirandello sono presenti due concetti forti: la caratteristica dell’uomo che diventa personaggio e il viaggio attraverso il mare e attraverso le terre. In Baudelaire è presente proprio questa tematica dell’uomo e il mare. 

C’è una poesia dal titolo L’uomo e il mare che ci introduce in questa visione e in questa dimensione che sono caratteristiche fondamentali.

Si legge: 

“Uomo libero, tu amerai sempre il mare!
Il mare è il tuo specchio; contempli la tua anima
Nello svolgersi infinito della sua onda,
E il tuo spirito non è un abisso meno amaro.
Ti piace tuffarti nel seno della tua immagine;
L’accarezzi con gli occhi e con le braccia e il tuo cuore
Si distrae a volte dal suo battito
Al rumore di questa distesa indomita e selvaggia.
Siete entrambi tenebrosi e discreti:
Uomo, nulla ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi,
O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze
Tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti!
E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli
Vi combattete senza pietà né rimorsi,
Talmente amate la carneficina e la morte,
O eterni rivali, o fratelli implacabili!”.

Baudelaire, che costruisce questo modello dell’alchimia del dolore, della contestualizzazione de I fiori del male, dei relitti, dei frammenti, della frammentazione del verso, è anche quel poeta che interpreta e traduce (per Baudelaire interpretare e tradurre sono una interazione – intermediazione) un testo dal titolo” Il giovane incantatore” nel quale ritrovo tutte quelle dimensioni oniriche che conducono all’incantesimo, alla magia, all’alchimia.

È opportuno citare una frase molto bella dello scrittore francese Jean Cocteau “Gli specchi dovrebbero riflettere un momentino prima di riflettere le immagini”. Gli specchi, la riflessione, le immagini. Tre caratteristiche che troviamo anche dentro I fiori del male e lo Spleen di Baudelaire, tre dimensioni che hanno caratterizzato tutta l’opera di Baudelaire.

Il giovane incantatore è un brevissimo scritto che ci fa capire come questa visione e dimensione onirica siano, entrambe, onirica e notturna. Esse rappresentano uno scavo all’interno di quella grotta che è la grotta del dolore di Leopardi. In fondo Baudelaire e Pirandello costituiscono un duetto all’interno di una letteratura del tragico che supera la rappresentazione del reale, ma recupera il dolore; il concetto del dolore di un’epoca che non è soltanto il concetto del dolore di un uomo, ma il concetto del dolore che permea tutta una letteratura che porta dentro di sé le ferite delle emozioni.

Baudelaire diventa il punto di contatto, il punto di riferimento importante e significativo. Dentro questa forma dell’incantesimo del giovane incantatore  dovremmo pensare a ricontestualizzare un poeta che, pur essendo vissuto in un’epoca ormai superata e superabile dal sentimentalismo e dal classicismo, porta in sé tutti i germi che hanno fatto della letteratura uno scavo interiore e parcellizzato nel Decadentismo.

Con Baudelaire siamo in una prima fase del Decadentismo in cui si racchiudono i lineamenti da una parte pirandelliani e, dall’altra parte, leopardiani. Invito al viaggio! La lettura di Manlio Sgalambro  e di Franco Battiato è uno scavare baudeleriano perfetto nella metafora del viaggio viaggiare: 

“Ti invito al viaggio
in quel paese che ti somiglia tanto.
I soli languidi dei suoi cieli annebbiati
hanno per il mio spirito l’incanto
dei tuoi occhi quando brillano offuscati.
Laggiù tutto é ordine e bellezza,
calma e voluttà.
Il mondo s’addormenta in una calda luce
di giacinto e d’oro.
Dormono pigramente i vascelli vagabondi
arrivati da ogni confine
per soddisfare i tuoi desideri.
Le matin j’écoutais
les sons du jardin
la langage des parfums
des fleurs”.

Epoche diverse, contestualizzazioni diverse, geografie diverse, ma è presente tutto un sistema letterario che diventa un sistema esistenziale. Baudelaire è l’interprete degli intrecci tragici e mitici che percorrono il viaggio come esistenza e decadenza. Baudelaire: “Là non c’è nulla che non sia beltà, ordine e lusso, calma e voluttà”. Un poeta che inventa la liricità e la disperante malinconia che attraverserà l’inquieto nostro vivere. Il viaggio e il tempo sono dentro Baudelaire. Dopo Baudelaire la letteratura non sarà più la stessa.

Pierfranco Bruni, com.unica 9 marzo 2021

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