Al via uno studio clinico Cnr, la sperimentazione monitorerà gli effetti di Interferone beta in 60 pazienti

La terapia domiciliare del Covid-19 dei pazienti con sintomi lievi costituisce uno degli aspetti più importanti nella gestione clinica dei pazienti Covid-19, oltre a rappresentare un argine fondamentale per evitare ricoveri inappropriati e con essi il sovraffollamento degli ospedali.

In questo contesto si inserisce uno studio promosso dall’Istituto di farmacologia traslazionale (Ift) del Consiglio nazionale delle ricerche, disegnato in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, che dopo essere stato approvato dall’AIFA è ora pronto ad arruolare pazienti sul territorio romano. La sperimentazione sarà svolta dall’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive (INMI) “Lazzaro Spallanzani” che con l’Unità Speciale di Continuità Assistenziale Regionale (USCAR) monitorerà gli effetti di Interferone beta in 60 pazienti paucisintomatici over 65 nel proprio domicilio. I risultati della sperimentazione saranno analizzati dall’Istituto Superiore di Sanità per valutare l’efficacia del trattamento nel ridurre la progressione a forme più severe e nell’accelerare la negativizzazione.

Promotori dello studio sono Filippo Belardelli, già direttore del Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare dell’ISS, ora ricercatore senior associato presso il Cnr-Ift, e Giuseppe Sconocchia del Cnr-Ift. Lo sperimentatore principale sarà Emanuele Nicastri (Direttore della U.O.C. Malattie Infettive ad Alta Intensità di Cura dello Spallanzani), che si avvarrà della cooperazione di Pier Luigi Bartoletti e Ombretta Papa, referenti delle USCAR.

Gli interferoni svolgono un ruolo essenziale nelle infezioni virali, agendo come un campanello di allarme. Diversi studi, alcuni dei quali condotti nei laboratori dell’ISS, hanno dimostrato che in aggiunta ad un’attività antivirale diretta, che si esprime al meglio nelle prime fasi dell’infezione, l’interferone beta possiede anche spiccate proprietà immunomodulatorie tra cui l’induzione di anticorpi e la stimolazione di risposte cellulari contro il virus.

“È noto”, afferma Belardelli, “che i soggetti anziani mostrano una fisiologica riduzione dei livelli di interferone, il che li rende più vulnerabili alle infezioni. È oramai chiaro che gli interferoni abbiano un ruolo chiave nel controllo delle fasi più precoci di replicazione del Coronavirus e nell’attivazione del sistema immune. Ed è proprio da qui che nasce il razionale dello studio, ovvero ripristinare nei pazienti anziani livelli ottimali di interferone nelle prime fasi dell’infezione”.

“Ci aspettiamo”, aggiunge Eleonora Aricò, coordinatrice del progetto per l’ISS, “che il trattamento con Interferone possa stimolare una migliore risposta immunitaria contro il virus, minimizzando così il rischio di progressione della malattia”.  

“L’Interferone beta è da tanti anni in clinica e stavolta verrà usato ad un dosaggio basso che non dovrebbe avere effetti collaterali”, precisa Sconocchia. “Altri studi clinici lo hanno utilizzato in pazienti affetti da Covid-19, ma sempre in stadio più avanzato di malattia, quando forse era troppo tardi. Il razionale innovativo del presente studio risiede quindi nella tempistica del trattamento che infatti avverrà a casa dei pazienti”.

 “La diffusione di nuove varianti virali”, afferma Nicastri, “mostra l’importanza di identificare farmaci anche domiciliari capaci di contrastare il virus sin dalle prime fasi di infezione riducendo la sintomatologia nei soggetti più vulnerabili al Covid-19”.

com.unica, 1 aprile 2021

Fonte Cnr

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