Il tempo? Se non me lo chiedi so cos’è. Ma se me lo chiedi non lo so più” – Sant’Agostino.

E ancora oggi il tempo rimane un interrogativo: una straordinaria dimensione intorno alla quale si è costruita la storia della nostra evoluzione e con la quale noi tutti conviviamo credendo di sapere cosa sia. La tradizionale concezione raffigura il tempo suddiviso in tre parti: passato, presente e futuro, ma è certamente l’ultima di esse quella che più incuriosisce e talvolta spaventa.

L’ignoto e, in particolare, la conoscenza del futuro hanno sempre affascinato l’essere umano. Nell’antichità profetizzavano vati e oracoli, ma col passare del tempo ad essi si sono succeduti chiromanti e maghi fino ad arrivare, in un contesto più generale, agli autori di pregevoli opere letterarie o cinematografiche. Questi ultimi ci rappresentano il futuro attraverso gli occhi della fantascienza, prevalentemente distopica; uno dei generi più amati degli ultimi tempi.

A volte, però, ci si domanda se la fantascienza distopica possa davvero predire il futuro. Beh, giudicate voi: a parte le ben note e impressionanti profezie orwelliane, riguardanti la diffusione pervasiva della tecnologia dentro e fuori dalle nostre case, ci sembra interessante menzionare, tra gli altri, Margaret Atwood che in “The Handmaid’s Tale”, scritto nel lontano 1985, ha previsto addirittura l’assalto al Congresso USA. Orbene, la domanda misteriosa che da sempre in molti si pongono è: Qual è il futuro che ci aspetta?

Possiamo formulare un pronostico, ma non c’è nulla di sicuro: Il futuro del mondo è incerto, per dirla con le parole del professore John J. Mearsheimer, autore di “Ritorno al futuro”. Gli stessi futurologi per fare un preventivo su ciò che avverrà si trovano in forte difficoltà nell’interpretare i dati di cui oggi dispongono. Comunque, una certezza emerge: se non si prenderanno da subito decisioni intelligenti, il domani sarà di gran lunga peggiore del presente.

Her (Lei), premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale, è un film scritto e diretto da Spike Jonze nel 2013, che rappresenta un futuro molto prossimo in cui i computer hanno un ruolo di primissimo piano nella vita delle persone: la tecnologia si è perfezionata al punto di sopraffare l’intelligenza umana che alla compagnia di un proprio simile preferisce quella di un sistema operativo (OS). 

Ciò stante, oggi più che mai non v’è chi non veda che una nuova forma di vita robotizzata sia una preoccupante incognita per l’umanità. Recentissima la notizia secondo cui, dopo la Cina, anche la Russia scommette sul riconoscimento facciale come strumento di controllo sociale e di censura. Più garantista, per fortuna, l’Europa che affronta con cautela detto problema, oggetto di discussione in Parlamento europeo attraverso apposito progetto di legge. Sulla stessa linea l’Italia: il Garante per la privacy ha dato recentemente parere sfavorevole alla scansione biometrica dei volti col sistema Sari Real Time da parte del ministero dell’Interno in quanto esso non è conforme alla normativa e “realizzerebbe, per come progettato, una forma di sorveglianza indiscriminata/di massa”.

Ma alla fine cos’è che veramente ci preoccupa?

In questi tempi in cui la tecnologia condiziona la nostra vita e l’impatto della presenza umana si fa sentire sulla geologia di tutto il pianeta, le maggiori inquietudini sono sostanzialmente due:

1 – L’avanzamento tecnologico: ovvero il panico per la progressiva scomparsa del lavoro a causa dell´uso capitalistico della robotica e, soprattutto, per l’incombente sopravvento dell’intelligenza artificiale.

2 – La nuova era geologica: ovvero l’antropocene (neologismo che definisce l’epoca geologica attuale in cui il pianeta Terra si sta avvelenando da quando l’uomo ha preso le redini di molti eventi prima governati da madre natura).

Sull’avanzamento tecnologico sorgono molti timori. Le cose certe si aspettano, mentre quelle dubbie si temono, affermava Seneca (Certa expectantur, dubia metuuntur). L’uomo ha creato la macchina: la creatura si ritorcerà beffardamente contro il creatore? È una possibilità dal momento che la questione apre scenari distopici: c’è, difatti, chi prevede che le macchine sostituiranno progressivamente gli uomini e chi, addirittura, teme che questi potrebbero persino perderne il controllo.

Per quanto riguarda, poi, la nuova era geologica, un messaggio più che significativo ce lo offre il docufilm “Antropocene, l’epoca umana”, che illustra le paurose e devastanti conseguenze dell’azione umana sul pianeta. L’uomo da ospite collaborativo nella vita sulla Terra si è trasformato viepiù in padrone assoluto, mettendo in atto strategie di sviluppo economico di portata così impattante sull’ambiente da influenzare il tempo geologico.

A questo punto, come comportarci?

Beh, l’essere umano da sempre ha modificato l’ambiente in cui vive, adattandolo alle proprie necessità. A volte lo ha fatto con buon senso e a volte sicuramente meno, tant’è che oramai ci troviamo, secondo quanto denunciato dai più autorevoli esperti in clima e dai meteorologi, in stato di allerta massima. Vero è che la natura è capricciosa, sì, ma a renderla tale contribuisce fortemente, senza ombra di dubbio, la mano profanatrice dell’uomo, cui, di conseguenza, la natura si ribella.

Non violentare la natura, ma obbedirle” era l’invito che in tempi remoti Epicuro rivolgeva all’umanità ed è in questo senso che dovremmo impostare il nostro sistema di vita se non vorremo porre fine a questo nostro mondo, spesso definito “cane”, ma certamente non solo per sua colpa. Durante la pandemia si è visto che la natura ha riconquistato molti spazi prima occupati dall’uomo, dunque sarebbe intelligente che, nella ripartenza post virale, i governi impostassero i nuovi programmi di sviluppo finalmente basati su un’economia prettamente verde ed ecosostenibile. Davvero un bell’inizio!

L’intelligenza artificiale, il secondo problema in causa, non è più una disciplina da laboratorio di scienziato matto o pura fantascienza, ma una realtà le cui applicazioni sono ampiamente implementate nella nostra vita quotidiana. Il segreto, è chiaro, sta nel saper utilizzare e dominare la “macchina” in qualsiasi stadio della sua evoluzione. Un buon esempio ci arriva dalla biomimetica: “una disciplina scientifica recente che si occupa di imitare e riprodurre consapevolmente idee, soluzioni e processi naturali nel mondo artificiale”. Or dunque natura rispettata e tecnologia appropriata al servizio dell’uomo e del di lui benessere.

Se però si eccede oltre i limiti tollerabili, penetrando nell’ambito della scienza del male di mengheliana memoria e utilizzando cervelloticamente la biogenetica tramite ricercatori senza scrupoli, la creatura, siatene certi, inevitabilmente si ribellerà al proprio creatore. E sul sentimento di rivolta ci piace ricordare, a parte il classico “2001: Odissea nello spazio” (film fantascientifico di Stanley Kubrick del 1968), alcuni autorevoli pezzi letterari e cinematografici in cui i personaggi si ribellano al proprio autore, così come i “replicanti” al proprio creatore: Pirandello (racconti: Personaggi) e Ridley Scott (fantafilm: Blade Runner).

Non a caso, a proposito degli eccessi, Orazio affermava: “Est modus in rebus: sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum” (C’è una misura nelle cose: vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto). Ancora prima, secondo Aristotele, la virtù umana altro non è che il punto di equilibro tra due opposti errori, l’uno dei quali pecca per eccesso e l’altro per difetto. Si tratta ovviamente di un non facile equilibrio, ma riusciranno coloro che reggono i destini del mondo a farlo proprio, anche se per il solo tempo necessario a capire che il mondo veramente umano, quello dei sentimenti e delle emozioni, non dovrà trasformarsi in opzionale dell’universo tecnologico e che la Natura che stanno distruggendo, citando Hubert Reeves, è quel Dio che stanno venerando”?

Or bene, speriamo fortemente di sì, se non vogliamo perdere la speranza di un futuro migliore!

Giuseppe Arnò*, com.unica 1 maggio 2021

*Direttore della Gazzetta Italo brasiliana

L’immagine in alto, tratta dal film “2001 Odissea nello spazio” si trova nella mostra “Stanley Kubrik: The Exhibition” al Contemporary Jewish Museum di San Francisco

Condividi con